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26/02/2017

Roma. Sullo Stadio la giunta non si è “schiodata” dall’urbanistica contrattata. La partita non è chiusa

Dopo l’accordo raggiunto venerdi sera tra Giunta Raggi, costruttori e AS Roma, il consiglio comunale di Roma adesso dovrà votare in aula una nuova delibera sullo Stadio che di fatto sostituirà la precedente delibera approvata dell’amministrazione Marino. Ma la battaglia sullo Stadio potrebbe ancora spegnere il sorriso sul volto della sindaca Raggi, dei palazzinari e degli amministratori dell’AS Roma.

Il via libera al documento, che dovrà essere elaborato dagli uffici competenti, potrebbe arrivare entro un mese, sempre che sulla sua strada  non emergano – come sembra – ostacoli legislativi e amministrativi all’approvazione all’edificazione dello Stadio per la Roma e altre cubature a Tor di Valle.

Nel nuovo progetto viene affermato che ci sarà il taglio del 50% complessivo della cubature (il 60% solo sul Business Park, con eliminazione delle tre torri di Libeskind) e un potenziamento dell’ecosostenibilità. Le opere pubbliche previste (anch’esse colpite da una revisione “compensativa” al ribasso) saranno realizzate in due fasi. Permane invece il problema delle cubature. La metà di 1.100mila metri cubi resta sempre 550mila metri cubi rispetto ad un Piano Regolatore che ne prevedeva al massimo 330mila (di cui lo stadio rappresenta meno della metà). Quindi si costruirà poco meno di quei 600mila che erano la previsione iniziale, prima che il costruttore Parnasi e il presidente della AS Roma Pallotta rilanciassero in alto alla luce della disponibilità registrata dall’allora Giunta Marino. Questa divaricazione tra Piano Regolatore e cubature concesse – anche nell’accordo raggiunto venerdì sera – non è irrilevante sulla aderenza della nuova delibera alle leggi.

“Tagliuzzando spazi tra un piano e l’altro, abbassando di qualche metro l’altezza fissata a 200 metri, cucendo e scucendo metri tra corridoi e pianerottoli, la giunta Raggi, ha scelto non di rigettare quel progetto, ma di cucinare con i resti” commentava l’urbanista Antonello Sotgia, “Sembra essere riuscita a mettere insieme quella manciata di superficie che consente adesso di affermare a Luigi Di Maio: «È tutta un’altra cosa, siamo di fronte ad un progetto sostenibile e rispettoso dei valori del Movimento 5 Stelle». In pratica, diciamo noi, si è rimasti inchiodati “all’urbanistica contrattata”.

Come scrisse alcuni anni fa un veterano dell’urbanistica, Edoardo Salzano, ad un certo punto nelle decisioni sulle città sono cambiate le regole del gioco e sono state consegnate in mano agli interessi dei costruttori privati: “La pianificazione espressiva d’una autorità pubblica, quindi rivolta a regolare a priori (secondo un piano, un disegno, un sistema di regole) l’attività degli operatori privati, è stata definita “urbanistica regolativa” e ad essa si è opposta la “urbanistica concertata”, o – più esplicitamente – “urbanistica contrattata”.

Chi decide quindi che cosa serve o cosa non serve ad una città? E’ ancora Salzano a spiegarlo riferendosi all’urbanistica contrattata: “Essa perciò si manifesta ogni volta che l'iniziativa delle decisioni sull'assetto del territorio non viene presa per l'autonoma determinazione degli enti che istituzionalmente esprimono gli interessi della collettività, ma per la pressione diretta, o con il determinante condizionamento, o addirittura sulla base delle proposte di chi detiene il possesso di consistenti beni immobiliari. Quando insomma chi ha iniziativa è la proprietà, e non il Comune”. E' esattamente lo scenario a cui abbiamo assistito a Roma sulla vicenda dello Stadio e della cementicazione a Tor di Valle, dunque nessuna discontinuità rispetto al passato.

C’è poi il problema del taglio delle opere pubbliche previste dal progetto e ridotte nell’accordo siglato venerdi. Nell’accordo si afferma che in una prima fase ci sarà il potenziamento della ferrovia Roma-Lido, gli interventi sulla via del Mare, le opere di messa in sicurezza idrogeologica del fosso di Vallerano nell’area di Decima. Nella seconda fase invece ci sarebbe il ponte aggiuntivo sul Tevere e la bretella sulla Roma-Fiumicino, che saranno realizzate successivamente. Dovrebbe decadere invece il prolungamento della metro B e alcuni interventi nel quartiere della Magliana giudicati non pertinenti allo stadio. Nel nuovo progetto ci sono poi altre zone d’ombra.  Potrebbe essere conservata una parte dell’ex ippodromo, per adempiere alle sollecitazioni della Soprintendenza del Ministero dei Beni Culturali. Ma, in sede di conferenza dei servizi, si dovrà tenere conto dell’iter del vincolo sull’Ippodromo di Tor di Valle avviato dalla Soprintendenza. Per questo motivo Parnasi e l’AS Roma (e la cordata finanziaria di Pallotta) dovrebbero chiedere un’ulteriore proroga di un mese della conferenza dei servizi, la cui scadenza veniva indicata per il prossimo 3 marzo.

Infine ci sono le opposizioni al progetto, riconfermate dai comitati che in questi anni si sono battuti contro la cementificazione a Tor di Valle, ma anche dentro al M5S capitolino. Sull’accordo con costruttori la sindaca Raggi venerdì ha chiesto un pronunciamento ai consiglieri  e qui si sono registrate posizioni piuttosto articolate: due sono andati via dalla riunione, tre hanno votato contro, uno si è astenuto. Tra i consiglieri assenti dalla riunione, risulta che almeno due siano contrari al progetto. In pratica almeno 7-8 consiglieri si sono opposti. Il M5S ha 29 consiglieri comunali e la maggioranza in Assemblea Capitolina ha bisogno di raggiungere quota 25. Rimanendo così le cose, significa che il sindaca Raggi – per fare la nuova delibera su Tor di Valle – potrebbe trovarsi ad aver bisogno dei voti delle opposizioni, in particolare del Pd.

L'accordo per realizzare lo stadio per la Roma a Tor di Valle, con una svolta a sorpresa rivendicata come un grande successo dalla sindaca M5S, ha sdoganato la giunta (e lo stesso M5S) agli occhi dei poteri forti come un interlocutore credibile.

Siamo in presenza di un salto di qualità che avrà ripercussioni anche sul piano nazionale, aprendo la finestra al M5S di Grillo come una forza politica con cui i gruppi finanziari e le imprese possono interloquire di fronte allo sfaldamento dei partiti fino ad oggi riconosciuti come interlocutori privilegiati (Pd e Forza Italia). Insomma la conventio ad excludendum contro il M5S, dopo quello che si è  visto a Roma, potrà essere rivista radicalmente aprendo la strada ad un rapporto con una forza che si è dimostrata “di governo” e non una minaccia “populista” verso gli interessi dei poteri forti. Una forza capace di mediazione tra interessi diversi, in pratica quello che era venuto a mancare con gli strappi di Renzi e la scissione del Pd. Un cambiamento niente affatto irrilevante sulle ragioni sociali (o ameno sulle aspettative create) del M5S, ma niente affatto una sorpresa sulla natura e la composizione sociale del movimento. Lo scossone sulla "politica" nei prossimi mesi non riguarderà solo la scissione del Pd o le divisioni nella destra.

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