Dopo l’accordo raggiunto venerdi sera tra Giunta Raggi, costruttori e
AS Roma, il consiglio comunale di Roma adesso dovrà votare in aula una
nuova delibera sullo Stadio che di fatto sostituirà la precedente
delibera approvata dell’amministrazione Marino. Ma la battaglia sullo
Stadio potrebbe ancora spegnere il sorriso sul volto della sindaca
Raggi, dei palazzinari e degli amministratori dell’AS Roma.
Il via libera al documento, che dovrà essere elaborato dagli uffici
competenti, potrebbe arrivare entro un mese, sempre che sulla sua strada
non emergano – come sembra – ostacoli legislativi e amministrativi
all’approvazione all’edificazione dello Stadio per la Roma e altre
cubature a Tor di Valle.
Nel nuovo progetto viene affermato che ci sarà il taglio del 50%
complessivo della cubature (il 60% solo sul Business Park, con
eliminazione delle tre torri di Libeskind) e un potenziamento
dell’ecosostenibilità. Le opere pubbliche previste (anch’esse colpite da
una revisione “compensativa” al ribasso) saranno realizzate in due
fasi. Permane invece il problema delle cubature. La metà di 1.100mila
metri cubi resta sempre 550mila metri cubi rispetto ad un Piano
Regolatore che ne prevedeva al massimo 330mila (di cui lo stadio
rappresenta meno della metà). Quindi si costruirà poco meno di quei
600mila che erano la previsione iniziale, prima che il costruttore
Parnasi e il presidente della AS Roma Pallotta rilanciassero in alto
alla luce della disponibilità registrata dall’allora Giunta Marino.
Questa divaricazione tra Piano Regolatore e cubature concesse – anche
nell’accordo raggiunto venerdì sera – non è irrilevante sulla aderenza
della nuova delibera alle leggi.
“Tagliuzzando spazi tra un piano e l’altro, abbassando di qualche
metro l’altezza fissata a 200 metri, cucendo e scucendo metri tra
corridoi e pianerottoli, la giunta Raggi, ha scelto non di rigettare
quel progetto, ma di cucinare con i resti” commentava l’urbanista Antonello Sotgia, “Sembra
essere riuscita a mettere insieme quella manciata di superficie che
consente adesso di affermare a Luigi Di Maio: «È tutta un’altra cosa,
siamo di fronte ad un progetto sostenibile e rispettoso dei valori del
Movimento 5 Stelle». In pratica, diciamo noi, si è rimasti inchiodati “all’urbanistica contrattata”.
Come scrisse alcuni anni fa un veterano dell’urbanistica, Edoardo
Salzano, ad un certo punto nelle decisioni sulle città sono cambiate le
regole del gioco e sono state consegnate in mano agli interessi dei
costruttori privati: “La pianificazione espressiva d’una autorità
pubblica, quindi rivolta a regolare a priori (secondo un piano, un
disegno, un sistema di regole) l’attività degli operatori privati, è
stata definita “urbanistica regolativa” e ad essa si è opposta la
“urbanistica concertata”, o – più esplicitamente – “urbanistica
contrattata”.
Chi decide quindi che cosa serve o cosa non serve ad
una città? E’ ancora Salzano a spiegarlo riferendosi all’urbanistica
contrattata: “Essa perciò si manifesta ogni volta che l'iniziativa
delle decisioni sull'assetto del territorio non viene presa per
l'autonoma determinazione degli enti che istituzionalmente esprimono gli
interessi della collettività, ma per la pressione diretta, o con il
determinante condizionamento, o addirittura sulla base delle proposte di
chi detiene il possesso di consistenti beni immobiliari. Quando insomma
chi ha iniziativa è la proprietà, e non il Comune”. E' esattamente
lo scenario a cui abbiamo assistito a Roma sulla vicenda dello Stadio e
della cementicazione a Tor di Valle, dunque nessuna discontinuità
rispetto al passato.
C’è poi il problema del taglio delle opere pubbliche previste dal
progetto e ridotte nell’accordo siglato venerdi. Nell’accordo si afferma
che in una prima fase ci sarà il potenziamento della ferrovia
Roma-Lido, gli interventi sulla via del Mare, le opere di messa in
sicurezza idrogeologica del fosso di Vallerano nell’area di Decima.
Nella seconda fase invece ci sarebbe il ponte aggiuntivo sul Tevere e la
bretella sulla Roma-Fiumicino, che saranno realizzate successivamente. Dovrebbe decadere invece il prolungamento della metro B e alcuni
interventi nel quartiere della Magliana giudicati non pertinenti allo
stadio. Nel nuovo progetto ci sono poi altre zone d’ombra. Potrebbe
essere conservata una parte dell’ex ippodromo, per adempiere alle
sollecitazioni della Soprintendenza del Ministero dei Beni Culturali.
Ma, in sede di conferenza dei servizi, si dovrà tenere conto dell’iter
del vincolo sull’Ippodromo di Tor di Valle avviato dalla Soprintendenza.
Per questo motivo Parnasi e l’AS Roma (e la cordata finanziaria di
Pallotta) dovrebbero chiedere un’ulteriore proroga di un mese della
conferenza dei servizi, la cui scadenza veniva indicata per il prossimo 3
marzo.
Infine ci sono le opposizioni al progetto, riconfermate dai comitati
che in questi anni si sono battuti contro la cementificazione a Tor di
Valle, ma anche dentro al M5S capitolino. Sull’accordo con costruttori
la sindaca Raggi venerdì ha chiesto un pronunciamento ai consiglieri e
qui si sono registrate posizioni piuttosto articolate: due sono andati
via dalla riunione, tre hanno votato contro, uno si è astenuto. Tra i
consiglieri assenti dalla riunione, risulta che almeno due siano
contrari al progetto. In pratica almeno 7-8 consiglieri si sono opposti.
Il M5S ha 29 consiglieri comunali e la maggioranza in Assemblea
Capitolina ha bisogno di raggiungere quota 25. Rimanendo così le cose,
significa che il sindaca Raggi – per fare la nuova delibera su Tor di
Valle – potrebbe trovarsi ad aver bisogno dei voti delle opposizioni, in
particolare del Pd.
L'accordo per realizzare lo stadio per la Roma a Tor di Valle, con una
svolta a sorpresa rivendicata come un grande successo dalla sindaca M5S,
ha sdoganato la giunta (e lo stesso M5S) agli occhi dei poteri forti
come un interlocutore credibile.
Siamo in presenza di un salto di qualità che avrà ripercussioni anche
sul piano nazionale, aprendo la finestra al M5S di Grillo come una forza
politica con cui i gruppi finanziari e le imprese possono interloquire
di fronte allo sfaldamento dei partiti fino ad oggi riconosciuti come
interlocutori privilegiati (Pd e Forza Italia). Insomma la conventio ad excludendum contro
il M5S, dopo quello che si è visto a Roma, potrà essere rivista
radicalmente aprendo la strada ad un rapporto con una forza che si è
dimostrata “di governo” e non una minaccia “populista” verso gli
interessi dei poteri forti. Una forza capace di mediazione tra interessi
diversi, in pratica quello che era venuto a mancare con gli strappi di
Renzi e la scissione del Pd. Un cambiamento niente affatto irrilevante
sulle ragioni sociali (o ameno sulle aspettative create) del M5S, ma
niente affatto una sorpresa sulla natura e la composizione sociale del
movimento. Lo scossone sulla "politica" nei prossimi mesi non riguarderà
solo la scissione del Pd o le divisioni nella destra.
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