di Michele Paris
Nella serata di lunedì, il presidente americano, Donald Trump, ha
annunciato ufficialmente la nomina del generale Herbert Raymond McMaster
a consigliere per la Sicurezza Nazionale in sostituzione dell’ex
generale Michael Flynn, dimessosi settimana scorsa per avere mentito
alla Casa Bianca sul contenuto delle sue discussioni private con
l’ambasciatore russo a Washington.
La scelta di McMaster ha
fondamentalmente due implicazioni. La prima e più ovvia è legata
all’intenzione di Trump di continuare ad assegnare un ruolo prioritario
ai militari all’interno della sua amministrazione, mentre la seconda
indica un possibile precoce cambiamento di rotta sugli orientamenti
strategici USA che riguardano i rapporti con la Russia.
McMaster,
per cominciare, è almeno il quarto alto ufficiale – in servizio o a
riposo – a occupare un incarico cruciale nella formulazione delle
politiche relative agli affari esteri e alla “sicurezza nazionale” del
nuovo governo. Gli altri sono il segretario alla Difesa, James Mattis,
quello per la Sicurezza Interna, John Kelly, e il capo di gabinetto del
Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Keith Kellogg.
Dopo le
dimissioni di Flynn, quest’ultimo aveva svolto le funzioni di direttore
ad interim del Consiglio, mentre ora tornerà a occupare la posizione che
gli era stata assegnata in precedenza, diventando di fatto il numero
due di McMaster.
La stampa ufficiale americana ha accolto
largamente con favore la nomina del nuovo consigliere del presidente,
evitando del tutto i commenti critici che avevano accompagnato la scelta
di Michael Flynn, ritenuto da subito troppo accomodante nei confronti
del Cremlino.
Le doti attribuite spesso con entusiasmo a McMaster
si riferiscono soprattutto alle sue doti di comando, ma anche a quelle
“intellettuali” che gli hanno consentito di distinguersi nell’analisi
delle strategie militari e delle minacce alla sicurezza americana, ma
anche alla capacità di sapersi confrontare con i propri superiori o con
le autorità civili per la difesa delle proprie idee.
Quest’ultima
caratteristica, assieme al fatto di non avere ricoperto incarichi ai
vertici della NATO né di avere legami apparenti con gli ambienti
“neo-con”, ha convinto alcuni commentatori filo-russi a intravedere
nella nomina di McMaster una certa coerenza con quella di Michael Flynn
o, quanto meno, l’intenzione di Trump di provare a resistere alle
pressioni di quella parte della classe dirigente USA che chiede
continuità con le politiche di confronto verso Mosca adottate
dall’amministrazione Obama.
Trump avrebbe infatti messo da parte
altri candidati alla carica di consigliere per la Sicurezza Nazionale
facilmente riconducibili alla fazione dei “falchi” anti-russi, come l’ex
sottosegretario di Stato ed ex ambasciatore USA all’ONU, John Bolton, e
l’ex direttore della CIA, generale David Petraeus, in modo da avere al
proprio fianco una personalità disposta ad assecondare la propria
visione strategica.
In realtà, più che la semplice considerazione
riservata a Bolton o a Petraeus, è proprio la nomina stessa di McMaster
ad apparire come una concessione agli oppositori interni di Trump che,
nella comunità dell’intelligence, nel Partito Democratico e in una parte
di quello Repubblicano stanno alimentando la caccia alle streghe
anti-russa negli Stati Uniti.
Anche se McMaster non è
direttamente legato a questi ambienti, i suoi precedenti lasciano pochi
dubbi sulle posizioni relative alla Russia. Già distintosi come capitano
durante la prima Guerra del Golfo, il nuovo consigliere di Trump aveva
attirato l’attenzione proprio di Petraeus per essere stato il primo
comandante a reclutare con successo milizie tribali sunnite in Iraq che
avrebbero in seguito aiutato le forze di invasione americane a
combattere i cosiddetti “insorti” nel paese mediorientale.
A
fianco di Petraeus, il quale ha recentemente definito quella russa una
minaccia “senza precedenti” per gli Stati Uniti, McMaster ha scalato le
gerarchie dell’esercito, mentre più recentemente è stato coinvolto nella
“pianificazione strategica” del ruolo delle forze armate USA per il
futuro a fronte delle crescenti sfide planetarie.
Quasi tutti i
commenti di questi giorni sulla sua nomina hanno poi citato un suo libro
del 1997 sulla guerra in Vietnam, ampiamente diffuso tra i vertici
militari americani. In esso, McMaster criticava gli alti ufficiali del
suo paese e l’allora segretario alla Difesa, Robert McNamara, per non
avere offerto maggiore resistenza ai fallimentari piani militari del
presidente Johnson, definiti in sostanza troppo prudenti.
L’insistenza
su questo particolare, che rifletterebbe una qualche attitudine
anti-establishment del generale McMaster, sembra quasi un avvertimento a
Trump della capacità del suo nuovo consigliere a resistere ad eventuali
tentazioni filo-russe della Casa Bianca.
A definire ancora meglio
gli orientamenti di McMaster è stata però la soddisfazione espressa per
la sua nomina da parte di molti politici e commentatori che hanno
attaccato Trump per il suo approccio troppo tenero nei confronti della
Russia.
Tra i più entusiasti va segnalato il senatore
Repubblicano dell’Arizona, John McCain, finora probabilmente il più
feroce accusatore delle presunte interferenze di Mosca negli affari
americani, ma anche protagonista di accese critiche verso il
neo-presidente. L’ex candidato alla Casa Bianca ha elogiato Trump per
una scelta che non avrebbe potuto immaginare migliore.
Anche
dagli ambienti Democratici sono giunte parole di stima sia per McMaster
che per la decisione di Trump. Il deputato Adam Smith, della commissione
Forze Armate della Camera dei Rappresentanti, ha ad esempio definito la
nomina un chiaro miglioramento rispetto a Michael Flynn.
McMaster,
d’altra parte, negli ultimi anni è stato impegnato in prima persona
nell’elaborazione dei piani militari che hanno come obiettivo la Russia,
considerata da coloro che attaccano Trump come il principale ostacolo
al dispiegarsi dell’egemonia di Washington in aree cruciali del globo, a
cominciare dall’Europa, dal Medio Oriente e dall’Asia centrale.
Alcuni giornali americani lo hanno definito “tutt’altro che amico della Russia”. La pubblicazione Roll Call,
dedicata all’attività del Congresso USA, ha ricordato come lo scorso
mese di maggio McMaster avesse discusso presso l’influente think tank
Center for Strategic and International Studies (CSIS) della minaccia di
Mosca e dell’annessione della Crimea in termini assimilabili alla
retorica anti-russa dilagata in America in questi ultimi anni.
Nello
stesso intervento era rilevabile infine un vero e proprio compendio del
pensiero “neo-con”, così come delle apprensioni che animano la classe
dirigente americana per il declino del proprio paese.
Nel definire di natura “offensiva” gli obiettivi e le attività della
Russia, McMaster aveva accusato il Cremlino di volere il “tracollo
dell’ordine seguito alla Seconda Guerra Mondiale”, assieme allo
stravolgimento degli equilibri economici, politici e relativi alla
sicurezza del dopo Guerra Fredda, in modo da costruire nuovi scenari
“più favorevoli ai propri interessi”.
Se i rapporti di forza
all’interno dell’amministrazione Trump appaiono ancora in fase di
assestamento e il conflitto interno ai vari organi dello stato americano
tutt’altro che risolto, gli sviluppi più recenti suggeriscono un
progressivo avanzamento delle posizioni della fazione anti-russa. Le
dimissioni di Michael Flynn e la nomina a nuovo consigliere per la
Sicurezza Nazionale del generale McMaster non fanno altro che confermare
questa tendenza in atto.
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