di Michele Giorgio – Il Manifesto
È uno
Stato a sovranità limitata – una sorta di Portorico del Medio Oriente? –
quello che Benyamin Netanyahu ha in mente per i palestinesi, in ciòche
resterà della Cisgiordania dopo le prossime ondate espansive degli
insediamenti israeliani. Secondo Radio Israele è, più o meno, questo che il premier israeliano ha spiegato alla ministra degli esteri australiana Julie Bishop che gli aveva chiesto cosa intendesse quando parla di sostegno a uno “Stato palestinese”. Netanyahu,
in visita ufficiale per quattro giorni in Australia, ha aggiunto che
l’insistenza di Israele a mantenere il controllo di sicurezza di tutta
l’area deriva dai “fallimenti” delle forze internazionali chiamate a sorvegliare i
confini del Paese. E non è passata inosservata la mancanza di
riferimenti alla soluzione dei Due Stati nella dichiarazione rilasciata
dal primo ministro al termine dell’incontro con il suo omologo
australiano Malcom Turnbull.
Netanyahu parla sempre più spesso di uno Stato palestinese “minus”, senza sovranità reale. Il via libera di Donald Trump a soluzioni “alternative” ai Due Stati ha galvanizzato il premier israeliano,
spingendolo a fare una retromarcia parziale rispetto al riconoscimento
che fece nel 2009 del diritto dei palestinesi all’indipendenza. In
questo modo non deve rimangiarsi – come gli chiede la destra religiosa,
“Casa ebraica” – quanto affermò otto anni fa e allo stesso tempo può
teorizzare uno Stato-non Stato arabo tra Israele e la Valle del
Giordano, ottenendo qualche iniziale ma importante consenso sulla scena
internazionale. Netanyahu perciò torna alla sua teoria, resa esplicita in un editoriale apparso una ventina di anni fa sulla stampa americana
– una sorta di orazione funebre degli Accordi di Oslo che lui stesso
aveva contribuito ad affossare durante i suoi primi tre anni da premier
(1996-99) –, sull’impossibilità per alcuni popoli di
conquistare la piena autodeterminazione se ciò mette in pericolo la
sicurezza di un altro popolo. Unico cruccio per il premier,
almeno a dar credito a quanto riferiva ieri sera il giornale Haaretz,
l’assenza, per il momento, di un accordo con Trump sulle colonie.
Le indiscrezioni della radio israeliana sul contenuto del
colloquio tra Netanyahu e la ministra australiana Bishop sono giunte
mentre a Ginevra il presidente palestinese Abu Mazen si rivolgeva ai
rappresentanti dei Paesi nel Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani per
denunciare quello che ha descritto come il tentativo di Israele di
imporre un sistema di apartheid. Ha quindi lanciato un appello
per la difesa del principio dei Due Stati e a stabilire un regime di
protezione internazionale che garantisca la fine della «violazione dei
diritti fondamentali» del popolo palestinese. Dopo aver
denunciato il terrorismo, Abu Mazen ha ribadito la «piena disponibilità a
lavorare in un spirito positivo», anche con l’Amministrazione Trump.
Disponibilità destinata a cadere nel vuoto secondo le previsioni degli
analisti palestinesi e di quei settori del partito Fatah e dell’Autorità
nazionale palestinese che non condividono la linea “soft” scelta da Abu
Mazen nei confronti della nuova Amministrazione Usa che si mostra
apertamente schierata dalla parte di Tel Aviv e disinteressata ad un
accordo israelo-palestinese fondato sulle legalità internazionale.
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