Lasciamo per un attimo da parte l’interminabile telenovela della
giunta romana, alziamo lo sguardo sul campo da gioco e facciamo il
punto.
Sin qui il movimento 5 stelle ha avuto un successo clamoroso
e senza precedenti (nonostante qualche incidente di percorso come le
europee del 2014): ha conquistato una quota molto consistente di
elettorato, l’ha mantenuta per 4 anni ed oggi è uno dei due partiti che
possono competere per il governo. Chapeau!
Questo successo si è basato essenzialmente su una ragione di fondo:
il M5s ha svelato la finta alternativa fra due forze sostanzialmente
omogenee come il Pd e Forza Italia, entrambe espressioni di una casta
impresentabile, ed ha posto più in generale il problema della pessima
qualità delle nostre classi dirigenti.
E questo ha fatto confluire le simpatie di settori molto diversi di
elettorato delusi dei rispettivi partiti (dalla Lega all’Idv, dal Pd
all’ex An, a Rifondazione e Sel ). Una confluenza varia tenuta insieme
dalla magia della protesta e dalla furbizia di non dichiararsi né di
destra né di sinistra per non scontentare nessuno, ma senza il cemento
di una cultura politica nuova che fondesse le diverse anime. Diciamolo,
il M5s ha avuto sponsor efficacissimi come Silvio Berlusconi, Mario
Monti, Enrico Letta e, il più grande di tutti, Matteo Renzi. Senza la
loro illuminata opera di governanti, Grillo e Casaleggio, da soli, non
ce la avrebbero mai fatta.
Detto questo, i problemi veri iniziano ora. Il M5s
ha fatto diverse battaglie di opposizione molto apprezzabili, come
quella sul jobs act, la “riforma” costituzionale o quella della Banca
d’Italia, e di questo non gli si dà atto quanto meriterebbe, però, fare
opposizione è una cosa e governare è un’altra e non è affatto automatico
che, quando gli altri cadono, tu sia pronto ad esser l’alternativa.
Costituirsi in alternativa di governo richiede molte altre cose:
la fantasia per non calcare sempre le stesse strade fallimentari e
inventarne di nuove, la conoscenza di un mondo che cambia velocemente,
la capacità tecnica di prospettare alternative concrete ed articolate e
non vuoti slogan, la visione organica dei problemi con una visuale a
360°, l’individuazione del nemico con cui scontrarsi e i possibili
alleati da trovare, una squadra affiatata e capace, una organizzazione
vasta e diffusa in grado di reggere il consenso.
Tutte cose che, diciamocelo, il M5s oggi non ha. Guardate che, con
la scissione del Pd è iniziato (solo iniziato, ma continuerà) il
processo di ridefinizione dell’offerta politica ed il M5s deve
modificare la sua offerta, renderla ancora più appetibile e “positiva” se non vuole essere scavalcato dai fatti.
Il movimento ha avuto ragione nel denunciare l’impresentabilità delle
classi dirigenti attuali, ma non ne ha ancora costruita una di
ricambio. Tutto si è risolto in un processo a chi ha governato che, alla
fine, ha rigettato la stessa idea di gruppo dirigente, sostituito da un
casuale succedersi di “cittadini qualunque” nei posti istituzionali a
disposizione. Allora su questo capiamoci: chi pensa che la signora Maria
di Voghera possa fare il ministro degli Esteri non ha capito niente.
Quel posto (come tutti gli altri dall’Economia alla Giustizia, dai
Lavori Pubblici all’Istruzione ecc.) richiede una preparazione
specifica. Mettere un incompetente in un posto particolarmente
importante e delicato può produrre disastri inimmaginabili (e guardate a
Trump). Il crimine maggiore compiuto da Pd, Forza Italia, Lega eccetera
è stato quello di aver distrutto la stessa idea di competenza, con i
loro governi zeppi di personaggi esperti solo nel far carriera.
Pensate al problema del debito pubblico: di fronte al disastro
combinato in questi decenni, chiunque è legittimato a pensare “Ma questo
lo saprei fare anche io che, in più, sono una persona onesta che non fa
la cresta sulla spesa”. Noi dobbiamo riscoprire il valore della
competenza e del merito, questa è la principale battaglia culturale da
fare. E qui sento di dover prevenire l’obiezione di alcuni: ma il
movimento serve a fissare la politica, poi i ministeri li affidiamo ad
degli esperti delle materie, incaricati di eseguire i progetti politici
del movimento. Perfetto! Così viene fuori un “governo Monti in carta 5
stelle”.
In primo luogo, anche per formulare un progetto e controllare quello che fanno i “tecnici”,
occorre avere un livello di formazione adeguato. In secondo luogo, chi
segue la politica da almeno tre mesi sa che il diavolo nasconde la coda
nei particolari, per cui, spesso un progetto riformista
coraggiosissimo, poi viene affossato dal comma c dell’articolo 33 che
stabilisce il “combinato disposto” con quanto stabilito dalla legge 167,
che rovescia il senso del tutto in tre righe. La Dc fu maestra
insuperata di questa arte. Dunque, certi ruoli (come quelli di ministro o
di assessore) sono per loro natura politici e tali devono restare. Gli
esperti servono, ma come consulenti, la responsabilità politica deve
restare a chi è eletto.
Dunque, il problema è quello di formare una classe dirigente espressa dal movimento.
Ma, per costruire, formare, selezionale una classe dirigente degna di
questo nome, bisogna avere un’organizzazione in grado di farlo. Mi
rendo conto (e ne riparleremo) che il rigetto per i politicanti e le
loro liturgie induce ad una certa diffidenza verso il principio di
organizzazione, ma è un errore. Certo, l’organizzazione in quanto tale
contiene il rischio della burocratizzazione che bisogna combattere come
la peste, ma questo non significa che si possa fare a meno
dell’organizzazione, anche perché l’esperienza insegna che non c’è
peggior burocrate del burocrate spontaneista.
Dunque, l’organizzazione ci vuole e il web non la può sostituire. Pensiamo solo al lavoro di formazione: personalmente ho collaborato con Roberto Casaleggio nel corso per spiegare i sistemi elettorali
e sono sempre convinto che sia stata una bella esperienza, anzi,
Roberto aveva immaginato di fare altri cicli secondo un programma che,
purtroppo, non fece in tempo a formulare. Quindi, non sono affatto
insensibile all’uso delle nuove tecnologie anche a fini formativi, ma
non si può pretendere l’impossibile ed il web non è uno strumento
sufficiente per una formazione di livello più avanzato. E’ la stessa
ragione per cui, nell’università mi batto contro la “didattica on line”
che è una delle più solenni boiate degli ultimi anni. Quella on line è
una formazione “low cost” e, in quanto tale, non può dare più di tanto.
Voi vi fareste operare da un medico che ha preso la laurea per
corrispondenza o vi fareste difendere da un avvocato che ha studiato
sulle dispense in edicola? E cosa vi fa pensare che la politica o
l’economia siano cose più elementari della medicina o del diritto?
Il vero punto debole del M5s è proprio l’assenza di organizzazione.
In particolare per quanto attiene alla selezione dei candidati. Il
metodo on line fu una trovata della vulcanica fantasia di Roberto, di
fronte allo scioglimento anticipato delle camere, che prese il M5s alla
sprovvista. E la cosa, bisogna riconoscere, funzionò abbastanza, anche
se poi un quarto degli eletti è finito espulso (diciamolo: a volte, per
futilissimi motivi). E la cosa funzionò perché nuova ed inattesa, per
cui nessuno era in condizione di preparare una scalata alle liste. Ma,
adesso la cosa si sa e chissà quanti avvocati di mafiosi, infiltrati dei
più diversi servizi segreti, politici in disarmo che vogliono piazzare
il figlio o il nipote eccetera, si staranno già preparando da tempo ed
il voto on line è facilissimo da controllare, preparare e truccare. O
pensate che basti inviare un certificato penale in ordine? Attenti,
perché, in queste condizioni non so che M5s uscirà dalle prossime
elezioni, nelle quali, per di più, ci sarà il voto di preferenza.
Il M5s, non ha una organizzazione sul territorio (salvo
piccoli nuclei sproporzionati alla massa elettorale che riceve) e
rischia di soccombere di fronte ad una clientela ben organizzata.
Dunque, occhio a chi si candida e non facciamo affidamento sui casting e
sui certificati penali. Ma di questo e d’altro diremo ancora...
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