È iniziata ieri l’offensiva dell’esercito iracheno per la conquista
della parte occidentale di Mosul ancora sotto il controllo
dell’autoproclamato Stato Islamico (Is). Ad annunciare il via alle
operazioni è stato il premier Haider al-Abadi sulla tv nazionale. Usando l’acronimo arabo invece di Is, il primo ministro ha detto che le forze irachene si stanno muovendo “per liberare per sempre il popolo di Mosul dall’oppressione di Daesh e dal terrorismo”.
“Questa è l’ora zero, stiamo per terminare questa guerra, se Dio vuole”
gli ha fatto poi eco l’ufficiale iracheno Mahmoud Mansour impegnato in
queste ore in prima linea nei combattimenti.
Baghdad aveva dichiarato Mosul est “completamente liberata” lo scorso mese dopo tre mesi di combattimenti violenti.
Ciononostante, la situazione è tutt’altro che pacificata anche in
quest’area: nella sola giornata di ieri si sono registrati due attacchi
suicidi. Un portavoce militare dell’esercito iracheno, il Brigadier
Generale Yahya Rasoul, ha confermato gli attentati (rivendicati subito
dall’Is) e ha detto che il loro obiettivo sono state, nel primo caso, le
tribù sunnite alleate di Baghdad dispiegate nel quartiere di Zihoour e,
nel secondo, le truppe irachene presenti nell’area di Nabi Yunis. Non è
chiaro però quante persone siano rimaste uccise. Secondo alcuni
ufficiali che hanno preferito restare anonimi, il primo attacco avrebbe
causato l’uccisione di un combattente sunnita e il ferimento di nove
persone, mentre nel secondo attentato sarebbero rimasti feriti cinque
soldati.
L’offensiva iniziata ieri è molto complessa: la zona occidentale di Mosul infatti ha strade strette ed è densamente popolata.
Il rischio per i civili è altissimo: le Nazioni Unite hanno già detto
che centinaia di migliaia di civili intrappolati nell’area sud ovest
della città si trovano “a rischio estremo” e hanno a disposizione scarse
quantità di cibo, acqua, carburante ed elettricità. Le operazioni militari hanno fatto registrare primi incoraggianti successi per il governo al-Abadi:
le truppe irachene hanno ripreso il controllo di 15 villaggi occupati
nel 2014 dall’Is. Un alto ufficiale delle Forze di risposta rapida del
Ministero degli interni, Abbas al-Juburi, ha riferito ieri alla stampa
che i militari, guidati dalle unità della polizia federale, sono
avanzati senza incontrare significativa resistenza nei villaggi a sud di
Mosul in direzione dell’aeroporto. Un altro reparto dell’esercito, fa
sapere il ministero degli interni, si sarebbe mosso invece verso il
villaggio di Bakhira, sempre nell’area sud ovest della città. Le
operazioni di terra stanno avvenendo anche grazie alla copertura aerea
della coalizione internazionale a guida statunitense che nella sola
giornata di sabato ha compiuto in città nove raid contro il “califfato”.
Un ruolo di primo piano nell’offensiva anti-Is lo stanno svolgendo anche le truppe speciali americane
che, secondo quanto ha riferito il Comando centrale Usa, sono impegnate
direttamente nelle operazioni belliche in sostegno delle truppe
irachene. Accanto al numero (per ora imprecisato) di combattenti a
stelle e strisce, non va dimenticato che diverse migliaia di militari
statunitensi (oltre 5.000) sono presenti sul territorio iracheno per
fornire sostegno logistico e addestramento alle truppe locali.
A confermare la presenza americana nei combattimenti è stato ieri anche il Segretario alla Difesa Usa James Mattis. Nel corso di una visita a sorpresa compiuta oggi in Iraq, Mattis ha poi provato a tranquillizzare gli iracheni: contraddicendo il presidente Donald Trump, l’alto ufficiale statunitense ha dichiarato che “gli Usa non intendono prendersi il petrolio iracheno”.
“Penso che tutti noi in questa stanza e tutti noi in America – ha
aggiunto – paghiamo il nostro gas e il petrolio e sono sicuro che
continueremo a farlo nel futuro”. Le parole di Mattis stridono con le
intenzioni di Trump il quale, sia durante la sua campagna elettorale che
nel corso di un incontro avuto lo scorso mese alla Cia, aveva usato
tutti altri toni. Parlando all’Intelligence, il neo presidente era stato
infatti chiaro: “le spoglie appartengono al vincitore, pertanto
dovremmo mantenere il petrolio”.
Trump ha però anche ribadito che sconfiggere l’Is è una priorità
della sua amministrazione. Un impegno riconfermato anche durante il suo
discorso d’insediamento alla Casa Bianca quando ha promesso che
sradicherà “completamente il terrorismo islamico dalla faccia della
terra”. Parole che hanno avuto una prima applicazione concreta lo scorso
28 gennaio quando ha dato a Mattis e a 30 alti ufficiali statunitensi
l’ordine di presentare entro 30 giorni un piano anti-Is sia in Iraq che
in Siria.
Mattis, per ora, preferisce temporeggiare affermando che non
discuterà con gli alleati iracheni di questioni specifiche. L’obiettivo,
afferma, è raccogliere prima informazioni. Negli ambienti militari
statunitensi le operazioni sul tavolo sono innanzitutto addestrare e
sostenere maggiormente le truppe locali e i gruppi siriani “moderati”
aumentando nello stesso tempo il lavoro d’intelligence. Il Pentagono preme anche per avere più libertà nel decidere le modalità di lotta al califfato.
In Siria, ad esempio, c’è chi suggerisce di mandare altre truppe
americane (tra cui anche unità di combattimento) soprattutto in vista di
un imminente assalto su Raqqa, la “capitale” siriana dello Stato
Islamico. Un’altra questione al momento in stand by è poi se offrire
armi e veicoli ai curdi siriani e se poterli addestrare. Da un lato,
infatti, le Ypg curde si sono rivelate di gran lunga la forza migliore e
più affidabile per sconfiggere l’Is. Dall’altro, però, ci sono le
proteste rumorose della Turchia, alleato chiave Usa e della Nato, che le
considera un gruppo terroristico.
Mentre prosegue l’offensiva nella zona ovest di Mosul, le
Nazioni Unite lanciano l’allarme per i civili rimasti intrappolati in
città. Secondo il Palazzo di Vetro quasi la metà dei negozi
alimentari è chiusa, i prezzi del cherosene e del gas da cucina sono
aumentati a dismisura e molte famiglie starebbero bruciando pezzi di
legno, mobili, plastica e immondizia per riscaldarsi. “La situazione è
angosciante” ha commentato laconicamente Lise Grande, coordinatrice
umanitaria per l’Iraq dell’Onu. Secondo le agenzie umanitarie tra i
250.000 e i 400.000 civili potrebbero scappare dalla città a causa
dell’offensiva. L’Onu ritiene che 750.000 persone siano ancora nella
zona occidentale di Mosul.
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