Chiamatela Nato Araba o, se preferite, Nuova Nato Araba visto che se ne parlò già al vertice di Sharm el Sheikh. Fatto sta che l’Iran deve ritenere così concreta la possibilità che alcuni paesi arabi possano coalizzarsi militarmente e rinnovare su nuove basi l’alleanza con gli Usa di Donald Trump, fino ad aprirsi ad una collaborazione strategica con Israele, che ha chiesto di scendere in campo al suo presidente moderato, Hassan Rouhani, per avvertire i “fratelli arabi” di non farsi attirare dai tentativi dello Stato ebraico di trovare alleati nella regione.
Parlando mercoledì a una conferenza, Rouhani ha invitato gli arabi a pronunciarsi contro qualsiasi avvicinamento a Tel Aviv. Teheran sa che quel pronunciamento non ci sarà.
Il dialogo a distanza, alla conferenza annuale sulla sicurezza tenuta qualche giorno fa a Monaco, tra il ministro israeliano della difesa Avigdor Lieberman e il ministro degli esteri saudita Adel Jubeir ha confermato quanto si siano fatte strette le relazioni tra Tel Aviv e Riyadh. Lieberman ha usato buona parte del suo intervento per ripetere le accuse che Israele muove all’Iran.
«Credo che per la prima volta dal 1948 il mondo arabo moderato, sunnita, comprenda che la più grande minaccia non è Israele, non gli ebrei e non il sionismo, ma l’Iran e i proxy iraniani», ha aggiunto ad un certo punto il ministro israeliano riferendosi al movimento libanese Hezbollah e ai guerriglieri Houthi in Yemen.
Musica per le orecchie del capo della diplomazia saudita Jubeir che ha ricambiato parlando della pace da realizzare per palestinesi e israeliani. Nelle ultime settimane, in particolare dopo l’incontro con Trump alla Casa Bianca, il premier israeliano Netanyahu è tornato a rilanciare la sua tesi, vecchia ormai di due-tre anni, di un mondo arabo sunnita pronto ad intavolare un dialogo strategico con Israele e sempre meno interessato alla questione palestinese. Per Netanyahu la soluzione al conflitto può e deve essere trovata nel quadro di un ampio coinvolgimento di questi paesi arabi.
L’ipotetica Nato Araba, aperta a Israele e forte dell’appoggio dell’amministrazione Trump tornata ad agitare il pugno di ferro contro l’Iran, è al centro di un dibattito intenso sulla stampa regionale o, per essere più precisi, di quei Paesi – Arabia Saudita, Emirati, Egitto e Giordania – che dovrebbero mettersi alla testa della coalizione militare. I commentatori, il più delle volte, cercano di rappresentare le posizioni dei loro governi.
«Questa Nato in stile arabo è una risposta naturale alla politica di Tehran – spiega Abderrahman ar Rashed su al Sharq al Awsat, megafono della monarchia Saudita – Emirati, Egitto, Giordania e Arabia Saudita cercheranno di mettere in piedi una forza militare che dovrà contenere l’Iran presente in Iraq e Siria e la sua influenza in Libano e Yemen favorita dal vuoto generato dalla linea della passata Amministrazione Usa».
Ar Rashed sminuisce il peso del rapporto con Israele: «Ciò che viene detto a proposito della cooperazione araba con Israele è una mera speculazione sul ruolo di un’alleanza che deve ancora essere formata. E anche se fosse vera questa cooperazione comunque rimarrà segreta e limitata». È la linea del re saudita Salman: lavorare, sempre di più, con Israele ma sempre dietro le quinte, per non attirare le proteste delle masse arabe contro il regno custode di Mecca e Medina.
Imaduddin Hussein, sul quotidiano egiziano al Shurouq, al contrario non esita a criticare il ruolo della Nato Araba. Molti governi (arabi), ricorda Hussein, hanno tenuto negoziati segreti con «il nemico» e hanno anche firmato con esso accordi mantenendo a parole posizioni dure contro Israele per paura della reazione dei loro popoli. «Possiamo essere in disaccordo con l’Iran – spiega Hussein – perché alcune delle sue politiche sono ostili alla nazione araba ma siamo anche d’accordo con la linea di Tehran nei confronti di Israele. Quindi – esorta – sosteniamo i fratelli arabi nel loro disaccordo con l’Iran senza però allearci con Israele contro l’Iran».
E questa è, più o meno, la posizione del presidente egiziano al Sisi, che negli ultimi tempi ha preso le distanze dall’integralismo anti-iraniano di Riyadh e lanciato a Tehran segnali di apertura. Secondo Sadi as Sabi del quotidiano iracheno as-Sabah, la Nato Araba sarebbe prima di tutta una reazione di alcuni paesi all’elezione a presidente di Trump e al desiderio di re Salman di sottrarsi al procedimento giudiziario in corso negli Usa sul presunto coinvolgimento saudita negli attentati alle Torri Gemelle.
As Sabi non crede alla Nato Araba, a suo dire questa idea tramonterà presto come tramontò «il Patto di Baghdad istituito nel 1955 con il pretesto di affrontare l’espansione comunista in Medio Oriente e che comprendeva il Regno Unito, l’Iraq, la Turchia, l’Iran e il Pakistan».
Senza dimenticare che tra i petromonarchi del Golfo non tutti guardano con ostilità a Tehran. Kuwait e Oman contestano la logica dello scontro che portano avanti l’Arabia Saudita e gli Emirati.
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