di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Non c’è nessuna
iniziativa di pace (dell’Ue), nessun tentativo di riprendere i negoziati
tra palestinesi e israeliani che possa avvenire senza il coinvolgimento
degli Stati Uniti». Su queste parole di Federica Mogherini, alta
rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, è spirato
ieri il “nuovo protagonismo mediorientale” dei leader europei, così lo
aveva definito qualcuno.
La spumeggiante e piuttosto insolita voglia di dirla tutta del
presidente francese Macron – che domenica all’Eliseo aveva condannato il
riconoscimento fatto da Donald Trump di Gerusalemme capitale di Israele
e aveva detto al suo ospite, il premier Benyamin Netanyahu, che la
città santa deve essere la capitale anche della Palestina – ieri è
arrivata sfiatata al Consiglio dei ministri degli esteri europei, come
una bottiglia di Coca cola lasciata aperta. Troppo dolce e senza gas.
Mogherini durante e dopo l’incontro con Netanyahu non ha
messo in alcun modo in discussione il ruolo degli Usa che pure in 24
anni di mediazione tra israeliani e palestinesi non ha prodotto alcun
risultato. Washington piuttosto ha avallato le politiche che
hanno affondato la soluzione a Due Stati, a cominciare dalla
colonizzazione dei Territori palestinesi occupati, fino al
riconoscimento unilaterale di Gerusalemme capitale di Israele.
Il fatto che Mogherini abbia affermato che «l’unica soluzione
possibile rimane quella dei Due Stati, secondo i confini del 1967, con
Gerusalemme capitale di entrambi», non è un passo in avanti. Le
dichiarazioni europee non seguite da decisioni concrete sono aria fritta
in un quadro dove il tempo gioca sempre a favore del premier
israeliano. «Ora assistiamo a questo vortice di condanne e proteste per
il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele ma tra dieci o
quindici giorni, se non ci saranno sviluppi, la crisi comincerà a
sgonfiarsi a non essere più di attualità per i governi
occidentali e anche per quelli arabi attenti a non incrinare i rapporti
con Israele. E proprio su questo puntano Netanyahu e Trump», diceva ieri
al manifesto lo scrittore e politologo israelo-americano Jeff
Halper, autore di “La guerra contro il popolo. Israele, i palestinesi e
la pacificazione globale”.
«Netanyahu – ha aggiunto – non deve far altro che chiamare alla
ripresa del negoziato con i palestinesi. La trattativa per la
trattativa, senza alcun obiettivo vero». Israele, ha concluso Halper,
«non ha alcuna soluzione per il conflitto se non quella che già abbiamo
davanti agli occhi, lo status quo, l’occupazione permanente dei
Territori, perché il suo governo è contro la nascita di uno Stato
palestinese. E ora che Trump e gli Stati Uniti gli hanno regalato
Gerusalemme, (il primo ministro) tirerà a guadagnare tempo per spegnere
le proteste e le aspirazioni dei palestinesi».
Per Netanyahu ieri l’incontro con i ministri degli esteri dell’Ue non
è stata una passeggiata ma sostenere, come ha fatto un’agenzia di stampa
italiana, che l’Europa abbia voltato le spalle a Israele è fuorviante,
una fake news. Il nulla di fatto è un buon risultato per il premier israeliano in un ambiente, quello europeo, che lui definisce «ipocrita».
«Ho detto ai ministri europei di smetterla di viziare i palestinesi,
che continuano ostinatamente a rifiutarsi di riconoscere lo Stato di
Israele». Invece i palestinesi l’hanno già riconosciuto Israele, dopo la
firma degli Accordi di Oslo nel 1993, con una seduta speciale a Gaza
del loro parlamento, il Consiglio Nazionale. Netanyahu in realtà vuole
il riconoscimento di Israele come “Stato del popolo ebraico” che i
palestinesi rifiutano perché potrebbe pregiudicare le residue speranze
di ritorno nella loro terra d’origine per i profughi delle guerre del
1948 e 1967 ed indebolire lo status dei palestinesi con cittadinanza
israeliana.
Che Netanyahu tornerà indenne dall’Europa, lo sapevano bene gli
esponenti palestinesi riuniti ieri davanti all’America House di
Gerusalemme Est a protestare contro la dichiarazione di Donald Trump.
«Gli appoggi di cui gode Israele sono innumerevoli e l’Europa e i Paesi
arabi se vogliono davvero schierarsi dalla parte del diritto, dalla
parte della Gerusalemme araba, devono fare molto di più. Siamo stanchi
delle solite frasi» spiegava Hatem Abdel Qader, personalità tra le più
note di Gerusalemme Est e rappresentante del partito Fatah nella zona
araba della città.
In quello stesso momento in varie parti della Cisgiordania,
come alla periferia di Ramallah e Betlemme e tra le zone H1 e H2 di
Hebron, centinaia di palestinesi sono scesi in strada a protestare
contro Trump e Israele. In serata Israele ha di nuovo bombardato Gaza
dopo un lancio di razzi o colpi di mortaio palestinesi. E non si è
saputo nulla del vertice trilaterale al Cairo tra il presidente
palestinese Abu Mazen, il re giordano Abdallah e il presidente egiziano
el Sisi.
Fonte
Le istituzioni UE e i politicanti faccendieri che le animano fanno veramente ribrezzo, arroganti coi più deboli (tutti quelli che subiscono le politiche di austerità, i migranti, chi reclama il diritto all'autodeterminazione ecc.) e zerbini coi potenti (in questo caso i sionisti d'Israele).
Ennesimo motivo in più per buttare quanto prima gambe all'aria questa unione di interessi sempre più particolari e avulsi dalla popolazione.
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