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12/12/2017

Iraq - Al Sadr disarma le proprie milizie

Il leader religioso sciita Moqtada al Sadr si prepara alle elezioni mostrandosi di nuovo, come fatto nel corso degli ultimi anni, figura nazionale e non settaria. Lo fa ordinando ai suoi uomini, le Brigate della Pace (l’ex Esercito del Mahdi, protagonista della resistenza sciita all’occupazione statunitense del decennio scorso), di consegnare le armi al governo centrale di Baghdad e di cedere tutte le zone controllate nel paese dopo la cacciata dello Stato Islamico.
 
Fa poi appello allo Stato: ora date un lavoro ai miliziani, ha detto, così che le Brigate della Pace possano trasformarsi in una sorta di organizzazione di sostegno alle famiglie irachene, a chi ha subito perdite a causa della guerra e a chi è rimasto ferito dal conflitto.

Pacificazione è la parola d’ordine di al-Sadr, impegnato da tempo ormai a mostrarsi come leader politico di riferimento, distante dall’Iran e sempre più vicino al Golfo, portatore di richieste di trasparenza e lotta alla corruzione. Questi gli slogan con cui negli ultimi anni ha portato in piazza migliaia di persone. Ma per rafforzarsi davvero ha bisogno anche di “eliminare” i nemici sul suo stesso fronte, quello sciita. Ovvero le Unità di mobilitazione popolare, le milizie sciite protagoniste della guerra all’Isis legate a doppio filo a Teheran.

Per questo al-Sadr ha condito il suo appello con un’altra richiesta: anche le milizie sciite consegnino le armi al governo centrale. Diversa la posizione di Baghdad che, per bocca del portavoce del primo ministro al-Abadi, riconosce alle Unità di mobilitazione popolare un ruolo diverso: “Le forze popolari sono un istituto ufficiale e fanno parte degli apparati di sicurezza. C’è una legge del parlamento su questo: fanno parte dell’esercito e delle forze di sicurezza e ricevono ordini dal comandante in capo delle forze armate”.

Dunque, non vanno smantellate. Ufficialmente è così: da quando le principali offensive irachene, a Mosul, Sinjar e nell’ovest dell’Iraq, sono state lanciate, il governo centrale ha posto sotto il suo controllo anche le milizie sciite. Ma tutti sanno che tale controllo è volatile e strettamente dipendente dall’Iran, che le ha armate, finanziate e gestite. Una forza che non è solo militare ma politica, vista la gestione di molti territori liberati, ufficiosamente in mano alle milizie sciite e parte di quell’asse sciita a cui Teheran lavora da anni, dalla Siria all’Iraq.

Per al-Sadr si tratta di nemici pericolosamente potenti, soprattutto in vista delle elezioni del prossimo anno, a maggio. Per questo ne chiede l’assorbimento e il disarmo, oltre a inchieste serie e trasparenti sugli abusi compiuti dai miliziani sciiti nelle aree e comunità sunnite liberate, dalla provincia di Anbar a quella di Ninive. Chiaro l’obiettivo di al-Sadr, fin dalla sua visita, pochi mesi fa, a Riyadh dove ha incontrato i vertici della petromonarchia sunnita: accreditarsi come leader nazionale, raccogliendo il consenso non solo della maggioritaria comunità sciita ma anche di quella sunnita, vittima di una dura discriminazione politica dopo la caduta di Saddam Hussein, una marginalizzazione che ha permesso l’avanzata dello Stato Islamico e la mancata resistenza iniziale della popolazione all'espandersi del Califfato nero.

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