Il leader religioso sciita Moqtada al Sadr si prepara alle elezioni
mostrandosi di nuovo, come fatto nel corso degli ultimi anni, figura nazionale e non settaria. Lo fa ordinando ai suoi uomini, le
Brigate della Pace (l’ex Esercito del Mahdi, protagonista della
resistenza sciita all’occupazione statunitense del decennio scorso), di
consegnare le armi al governo centrale di Baghdad e di cedere tutte le
zone controllate nel paese dopo la cacciata dello Stato Islamico.
Fa poi appello allo Stato: ora date un lavoro ai miliziani,
ha detto, così che le Brigate della Pace possano trasformarsi in una
sorta di organizzazione di sostegno alle famiglie irachene, a chi ha
subito perdite a causa della guerra e a chi è rimasto ferito dal
conflitto.
Pacificazione è la parola d’ordine di al-Sadr, impegnato da
tempo ormai a mostrarsi come leader politico di riferimento, distante
dall’Iran e sempre più vicino al Golfo, portatore di richieste di
trasparenza e lotta alla corruzione. Questi gli slogan con cui negli
ultimi anni ha portato in piazza migliaia di persone. Ma per
rafforzarsi davvero ha bisogno anche di “eliminare” i nemici sul suo
stesso fronte, quello sciita. Ovvero le Unità di mobilitazione popolare,
le milizie sciite protagoniste della guerra all’Isis legate a doppio
filo a Teheran.
Per questo al-Sadr ha condito il suo appello con un’altra richiesta:
anche le milizie sciite consegnino le armi al governo centrale. Diversa
la posizione di Baghdad che, per bocca del portavoce del primo ministro
al-Abadi, riconosce alle Unità di mobilitazione popolare un ruolo
diverso: “Le forze popolari sono un istituto ufficiale e fanno
parte degli apparati di sicurezza. C’è una legge del parlamento su
questo: fanno parte dell’esercito e delle forze di sicurezza e ricevono
ordini dal comandante in capo delle forze armate”.
Dunque, non vanno smantellate. Ufficialmente è così: da
quando le principali offensive irachene, a Mosul, Sinjar e nell’ovest
dell’Iraq, sono state lanciate, il governo centrale ha posto sotto il
suo controllo anche le milizie sciite. Ma tutti sanno che tale controllo
è volatile e strettamente dipendente dall’Iran, che le ha
armate, finanziate e gestite. Una forza che non è solo militare ma
politica, vista la gestione di molti territori liberati, ufficiosamente
in mano alle milizie sciite e parte di quell’asse sciita a cui Teheran
lavora da anni, dalla Siria all’Iraq.
Per al-Sadr si tratta di nemici pericolosamente potenti,
soprattutto in vista delle elezioni del prossimo anno, a maggio. Per
questo ne chiede l’assorbimento e il disarmo, oltre a inchieste
serie e trasparenti sugli abusi compiuti dai miliziani sciiti nelle
aree e comunità sunnite liberate, dalla provincia di Anbar a quella
di Ninive. Chiaro l’obiettivo di al-Sadr, fin dalla sua visita, pochi
mesi fa, a Riyadh dove ha incontrato i vertici della petromonarchia
sunnita: accreditarsi come leader nazionale, raccogliendo il
consenso non solo della maggioritaria comunità sciita ma anche di quella
sunnita, vittima di una dura discriminazione politica dopo la
caduta di Saddam Hussein, una marginalizzazione che ha permesso
l’avanzata dello Stato Islamico e la mancata resistenza iniziale della
popolazione all'espandersi del Califfato nero.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento