Gerusalemme è stata al centro solo ufficialmente degli incontri che
ieri il presidente russo Putin ha avuto prima al Cairo e poi ad Ankara:
in un solo giorno l’inquilino del Cremlino è volato tra Medio Oriente e
Nord Africa per tre visite lampo ma indicative del ruolo russo nella
regione.
Prima in Siria, dove dalla base aerea russa nella provincia
di Latakia al cospetto del presidente Assad ha annunciato il ritiro
parziale dell’esercito. E poi Egitto e Turchia dove i meeting con i
presidenti al-Sisi e Erdogan si sono incentrati sui rapporti bilaterali,
energetici e militari. Mosca pigliatutto, verrebbe da dire. Di
certo Putin sa come muoversi tra le pieghe dei fallimenti e i passi
falsi degli Stati Uniti, per portare avanti gli obiettivi strategici
russi: mettere i piedi nel Mediterraneo e promuovere il proprio neo-imperialismo come alternativa a quello statunitense.
Una realtà che fa il paio con i dati pubblicati in questi giorni dallo Stockholm International Peace Research Institute: nel
2016 Mosca ha visto crescere la vendita di armi all’estero del 3,8%,
portandosi al terzo posto nella classifica dei paesi per vendita di
equipaggiamento militare dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. E se
gli Usa continuano a garantirsi la fetta più grande (oltre il 50% delle
vendite totali) mentre quella russa rappresenta il 7,1%, il dato va
relativizzato: Mosca ha evitato l’isolamento internazionale e si pone
oggi come super potenza militare e politica in ogni angolo del mondo.
I due incontri di ieri ne hanno dato la misura: al Cairo, accolto dal
presidente al-Sisi, Putin ha cementato un rapporto sempre più stretto. Alleati
nella crisi libica, dove entrambi sponsorizzano più o meno direttamente
il generale Khalifa Haftar, partner commerciali ormai consolidati con
l’Egitto che ha accettato di ospitare navi e jet da guerra russi in basi
da aprire lungo la costa egiziana e che ha firmato contratti da
miliardi di dollari per l’acquisto di armi russe, elicotteri e caccia,
ieri i due hanno finalizzato un accordo miliardario: la centrale
nucleare di Dabaa, 130 km a nord ovest del Cairo, la prima
dell’Africa del nord. Tre reattori da 1.200 megawatt l’uno che
dovrebbero creare almeno 4mila posti di lavoro oltre alle migliaia
dell’indotto.
L’obiettivo è completare la costruzione, che sarà realizzata dalla
compagnia russa Rosatom, entro il 2028-2029. Dovrà garantire prezzi
competitivi e coprire una buona parte delle necessità energetiche di una
popolazione in costante crescita. Con buona pace dell’ambiente:
non sono pochi gli analisti che criticano la mossa nucleare di al-Sisi
in un paese in cui le infrastrutture idriche e elettriche sono carenti e
dove la siccità colpisce con cadenza regolare intere comunità.
Il mega prestito russo che coprirà l’85% dei costi di costruzione e
funzionamento prevede l’investimento di 25 miliardi di dollari che
comprenderanno anche la fornitura di combustibile per 70-80 anni, la
manutenzione dell’impianto e il trattamento del combustibile esaurito.
Non solo: durante il meeting al-Sisi ha parlato dell’intenzione russa
di incrementare gli investimenti nella zona industriale che Mosca ha
voluto nel Canale di Suez.
Armi al centro anche nella visita successiva, ad Ankara. Ieri
Erdogan e Putin hanno annunciato la conclusione, tra pochi giorni,
dell’accordo di vendita per il sistema difensivo missilistico S-400, il
più avanzato dell’industria militare russa, capace di portare tre diversi tipi di missili e di colpire 300 target a lancio, fino ad un’altitudine di 27 chilometri.
Una vendita che si somma all’aumento del 30% degli scambi commerciali
nel corso del 2017, affari che hanno fatto dimenticare il gelo lungo
quasi due anni tra Mosca e Ankara a causa del diverso approccio verso la
guerra siriana e l’abbattimento di un jet russo da parte dei caccia
turchi. Tutto dimenticato: anche in Turchia al centro della
discussione è finito il nucleare e il progetto di impianto – anche questo
finanziato dalla Russia – ad Akkuyu. Domenica nella provincia
di Mersin, nel sud del paese, si è tenuta la cerimonia di lancio del
progetto alla presenza del ministro dell’Energia e dei rappresentanti
della russa Rosatom. Il primo reattore dovrebbe essere operativo nel
2023.
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