Povera Istat... Costretta com’è a dare i numeri veri – drammatici – accompagnandoli con formulazioni più “neutre”, da decriptare, se non proprio “rassicuranti”.
Stamattina l’istituto di statistica ha pubblicato il rapporto sulle Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie, risultato dell’indagine Eu-Silc del 2016, da cui emerge che “Nel 2016 si stima che il 30,0% delle persone residenti in Italia sia a rischio di povertà o esclusione sociale, registrando un peggioramento rispetto all’anno precedente quando tale quota era pari al 28,7%”.
Un terzo della popolazione è una cifra spaventosa, tanto più che è addirittura in aumento in un periodo di relativa ripresa, tanto che è contemporanea ad “una significativa e diffusa crescita del reddito disponibile e del potere d’acquisto delle famiglie (riferito al 2015)”. Purtroppo “associata a un aumento della disuguaglianza economica e del rischio di povertà o esclusione sociale”.
Riassunto grezzo: gira qualche soldo più di prima, ma finisce nelle tasche già piene, mentre quelle semivuote continuano a svuotarsi.
L’Istat lo dice con altre prole, ovviamente: “Il reddito netto medio annuo per famiglia, esclusi gli affitti figurativi, è pari a 29.988 euro, circa 2.500 euro al mese (+1,8% in termini nominali e +1,7% in termini di potere d’acquisto rispetto al 2014)”.
Ma per l’appunto “La crescita del reddito è più intensa per il quinto più ricco della popolazione, trainata dal sensibile incremento della fascia alta dei redditi da lavoro autonomo, in ripresa ciclica dopo diversi anni di flessione pronunciata. Quindi [...] si stima che il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco e quello del 20% più povero sia aumentato da 5,8 a 6,3”.
Che le disuguaglianze fossero cresciute, ce n’eravamo accorti tutti, quaggiù. Ma vederle quantificate – sia pure come “media” – fa il suo effetto. Anche perché non c’è sottoinsieme delle famiglie “a rischio povertà” che non sia in aumento, e su tutto il territorio nazionale (sia pure in modo disomogeneo): “Aumentano sia l’incidenza di individui a rischio di povertà (20,6%, dal
19,9%) sia la quota di quanti vivono in famiglie gravemente deprivate
(12,1% da 11,5%), così come quella delle persone che vivono in famiglie a
bassa intensità lavorativa (12,8%, da 11,7%).
Il Mezzogiorno resta l’area territoriale più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (46,9%, in lieve crescita dal 46,4% del 2015). Il rischio è minore, sebbene in aumento, nel Nord-ovest (21,0% da 18,5%) e nel Nord-est (17,1% da 15,9%). Nel Centro un quarto della popolazione (25,1%) permane in tale condizione.
Le famiglie con cinque o più componenti si confermano le più esposte al rischio di povertà o esclusione sociale (43,7% come nel 2015), ma è per quelle con uno o due componenti che questo indicatore peggiora (per le prime sale al 34,9% dal 31,6%, per le seconde al 25,2% dal 22,4%).”
Questo peggioramento generale di tutti gli indicatori è grave in primo luogo per quel terzo di popolazione che oramai fa la spesa con i centesimi contati, ma anche per la presunta efficacia delle “politiche europee”. E’ la stessa Istat a ricordare che:
Sulla base di tali informazioni, l’Unione europea calcola gli indicatori ufficiali per la definizione e il monitoraggio degli obiettivi di politica economico-sociale perseguiti dalla Strategia Europa 2020, che si propone di ridurre di 20 milioni gli individui esposti al rischio di povertà o esclusione sociale a livello Ue entro il 2020. Per il nostro Paese l’obiettivo è quello di far uscire 2,2 milioni di persone da tale condizione rispetto al valore registrato nel 2008 (ultimo dato disponibile quando l’impianto strategico Europa 2020 fu impostato). In Italia, nel 2008, risultavano a rischio di povertà o esclusione sociale 15.082.000 individui (25,5% della popolazione residente) da ridurre quindi a 12.882.000 unità entro il 2020. Nel 2016 gli obiettivi prefissati sono ancora lontani: la popolazione esposta a rischio di povertà o esclusione sociale è infatti superiore di 5.255.000 unità rispetto al target previsto.
Sarà il caso di dirlo in modo meno accademico: i poveri – oggetto di un apposito programma dell’Unione Europea – dovevano diminuire da poco più di 15 a poco meno di 13 milioni entro il 2020 (domattina, in pratica).
Sta succedendo l’esatto contrario: se, come certifica l’Istat, la popolazione esposta a rischio di povertà o esclusione sociale è infatti superiore di 5.255.000 unità rispetto al target previsto, significa che ora siamo a 18 milioni e 137.000. Anche in percentuale il divario tra “obiettivi” e realtà è decisamente alto: invece del 25,5% atteso, siamo ora al 30%. 3 milioni di persone povere in più, anziché 2 in meno. Un vero successo, non c’è che dire...
E non c’è nulla che possa far pensare che ci sia un’inversione di tendenza alle viste.
Il rapporto completo dell’Istat: Report-Reddito-e-Condizioni-di-vita-Anno-2016.
Fonte
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