Si riaccendono i riflettori internazionali sulle prigioni segrete della CIA in Lituania. Era stata dapprima la Corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo, la scorsa primavera, a riconoscere la partecipazione del paese baltico, membro UE dal 2004, al relativo programma yankee per i sospetti di terrorismo. Ora è la volta dell’ONU e si attende il verdetto del Tribunale penale internazionale de L’Aja, che potrebbe pesare su concreti individui del regime lituano.
Finché a Washington c’era Obama, a Vilnius potevano considerare i richiami di Strasburgo alla stregua di episodici fastidi, scrive Sputniknews-Litva; ma le cose sembrano cambiate da quando Trump ha cominciato a dire di non aver intenzione di sacrificare la tranquillità degli americani a beneficio di minuscoli satelliti.
La responsabilità lituana per l’accodamento al programma Bush-Obama di “lotta al terrorismo” sembra debba ricadere soprattutto sull’ex cittadino USA ed ex Presidente (dal 1998 al 2003 e poi dal 2004 al 2009) Valdas Adamkus, la cui biografia tedesco-yankee nella Unione dei partigiani per la libertà della Lituania è tutto un programma. Oltre a lui anche l’ex capo del Dipartimento per la sicurezza dello stato, Arvydas Pocius. Sembra che sia stato proprio sotto la presidenza di Adamkus che negli anni 2005-2006 il complesso di edifici all’interno del grande maneggio di Antaviliai, alla periferia di Vilnius, venne adattato a “filiale” della CIA.
Dunque, la Corte di Strasburgo aveva dimostrato come vi siano stati sottoposti a torture vari cittadini mediorientali. Poi, di fronte alle accuse de L’Aja, Vilnius ha adottato la tattica del silenzio o del “non ricordo”; dopo di che è intervenuto il Comitato ONU per i diritti dell’uomo, che ha chiesto alla Lituania in via ufficiale di desecretare i risultati delle proprie inchieste, parlamentare e giudiziaria.
Secondo l’avvocato Stanislovas Tomas, rappresentante del Comitato lituano per i diritti umani, intervistato da sputnik-litva, sia la Corte de L’Aja, sia il Comitato delle Nazioni Unite giudicano l’esistenza della prigione segreta della CIA a Vilnius “dimostrata al di là di ogni fondato dubbio” e il Comitato ONU per le sparizioni violente ha intimato al Procuratore Generale lituano di portare a termine l’inchiesta entro il prossimo 15 settembre e rendere noti “i nomi concreti di coloro che hanno organizzato” la faccenda, anche se da parte lituana si afferma che non ci sono “prove oggettive”.
Sempre a parere di Tomas, che dice di parlare sulla base di documenti statunitensi resi pubblici da Wikileaks, “gli americani avevano infine deciso di chiudere la prigione di Antaviliai perché, “dato che torturavano ferocemente queste persone – si parla di almeno trenta individui di origine araba – avrebbero voluto farle esaminare da medici, come ad esempio nel caso del prigioniero cui avevano cavato gli occhi; ma le autorità lituane vi si opponevano, temendo che la cosa venisse alla luce”. Così, dice Tomas, gli yankee avrebbero deciso di chiudere la struttura.
Tomas si dice sicuro che anche l’impeachment con cui l’ex Presidente Rolandas Paksas fu estraniato nel 2004, dopo appena un anno dall’entrata in carica, sarebbe da addebitarsi al suo rifiuto di concedere alla CIA gli spazi per la prigione segreta. Eletto Presidente nel febbraio 2003, già in autunno il Dipartimento guidato da Arvydas Pocius presentava in Parlamento documenti che avrebbero “provato” il collegamento di Paksas con la criminalità organizzata; dopo le “indagini” della Commissione parlamentare, la Corte costituzionale decise che Paksas aveva per ben due volte violato la Costituzione, concedendo la cittadinanza ad “agenti stranieri” (ovviamente russi) e nell’aprile 2004 il Parlamento lo estraniava dalla carica. La Procura Generale lo accusava di “divulgazione di segreti di stato” e la Corte costituzionale gli proibiva di partecipare a nuove elezioni e di presentarsi ad ogni carica pubblica. Gli subentrava Valdas Adamkus, che tempestivamente acconsentiva ai piani della CIA.
Tra l’altro, secondo la Corte di Strasburgo, la Lituania avrebbe scientemente violato le norme della Convenzione europea sui diritti dell’uomo – che vieta la tortura, garantisce il diritto alla libertà e alla difesa legale – dato che le autorità lituane erano al corrente di quanto accadeva nella prigione CIA.
L’inchiesta era partita in seguito alla denuncia di fronte alla Corte di Strasburgo da parte del cittadino saudita Zajn al-Abidin Muhammed Hussein (Abu Zubajda), sospettato dagli americani di complicità negli attentati del 11 settembre. Strasburgo aveva imposto a Vilnius il pagamento a Zubajda di 130.000 euro quale risarcimento, somma che la presidente Dalija Gribauskajte, nonostante le assicurazioni positive, non ha sinora sborsato.
D’altronde, la Lituania “europeista” è quel paese in cui, ad esempio, si elevano a eroi nazionali i massimi rappresentanti delle bande nazionaliste e filonaziste dei “Fratelli dei boschi”, quale Adolfas Ramanauskas (Vanagas), poco conosciuto in occidente e dunque “figura innocua” per l’immagine “liberale” del paese; ma si fa immediatamente marcia indietro allorché personaggi come il collaborazionista Jonas Noreika, del “Fronte lituano degli attivisti”, su cui pesa la consegna ai nazisti di alcune decine di migliaia di ebrei del ghetto di Shiauliai – uno dei principali in Lituania, insieme a quelli di Vilnius e Kaunas – vengono alla luce e rischiano di “macchiare l’onorabilità” della nazione.
Basta che non si sappia; nell’ombra ogni crimine è legittimo.
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