La battaglia finale di Idlib è ormai prossima: le truppe governative
siriane, insieme ai combattenti di Hezbollah, si stanno ritrovando ai
confini della provincia nord occidentale siriana, a nord della regione
di Hama, a sud di Aleppo e a nord-est di Latakia, mentre la
Turchia sembra si stia sbrigando a costituire un nuovo gruppo armato, il
Fronte di Liberazione Nazionale, una sorta di esercito irregolare, con
il sostegno delle milizie jihadiste lì arroccate.
La battaglia finale perché, eccezion fatta per Deir Ezzor, a est,
dove è ancora l’Isis a mantenere la propria presenza, Idlib è l’ultima
roccaforte dell’opposizione di matrice jihadista e qaedista. In
tale contesto di tensione si inserisce l’incontro del 7 settembre ad
Astana, tra il presidente russo Putin, il turco Erdogan e l’iraniano
Rouhani. Secondo molti osservatori, l’obiettivo è evitare una
vasta campagna militare che si tradurrebbe in un inferno per i due
milioni di civili che vivono a Idlib.
Ma le precondizioni non combaciano del tutto: la Russia
intende ripulire del tutto il territorio, insieme all’Iran, Ankara
invece su quelle forze armate ha fatto leva per assumere il controllo de
facto del nord della Siria. Proprio lì, secondo un ex comandante militare, Fayez Esmer, che ha rilasciato un’intervista all’agenzia turca Yeni Safak – nota per le posizioni progovernative e di destra – gli
Stati Uniti starebbero istallando sistemi di difesa missilistici, una
sorta di scudo, tra Al Hasakah e Rmelan, zone sotto il controllo delle
Ypg curde.
Secondo l’ex comandante, l’obiettivo Usa è ampliare la propria
presenza nella zona senza dover per forza appoggiarsi alle unità
popolari di difesa curde, finora sostenute in chiave anti-Isis, seppur
più volte tradite in nome della ragion di Stato, come accaduto quando
l’alleato Nato turco ha attaccato e occupato il cantone di Afrin. E,
aggiunge l’agenzia, sono già tre i sistemi anti-missile installati nella
regione, di cui uno a Kobane, dunque a pochi passi dal confine turco.
Segue il quotidiano Hurriyet, tra i principali in Turchia, che parla di video online che mostrano soldati Usa costruire i sistemi di difesa.
La Turchia per ora tace, limitandosi a far filtrare
indiscrezioni: l’intelligence di Ankara sta indagando. Di certo ci sono
le dichiarazioni di tre giorni fa del Dipartimento di Stato: “Ci stiamo
preparando a restare in Siria per assicurarci la sconfitta definitiva
dello Stato Islamico”. E certe sono le manovre muscolari russe:
nei giorni scorsi l’esercito di Mosca ha ammassato la propria
flotta nel Mediterraneo, almeno dieci navi da guerra e due sottomarini
lungo le coste siriane, a ben poca distanza da Idlib, raggiungibile dai
missili Kalibr installati sulle imbarcazioni.
Come sono certi i contatti continui tra gli attori coinvolti. Tra
Russia e Washington in primis, con la seconda che insiste – su pressione
israeliana e saudita – perché l’Iran lasci la Siria. Una concessione
che Mosca non vuole compiere e ribatte: gli iraniani si sposteranno solo
dal confine con Israele. Da parte sua Teheran ha risposto
indirettamente lunedì, siglando con il governo di Damasco un accordo di
cooperazione militare e per la ricostruzione del paese post-guerra.
E contatti continui ci sono tra Mosca e Ankara, con il presidente
turco che si eviterebbe volentieri uno scontro aperto in un periodo di
crisi economica e di rottura diplomatica con l’alleato storico, gli
Stati Uniti. Dall’altra parte, non vuole perdere quanto conquistato
violando il diritto internazionale e compiendo offensive via terra nel
territorio del paese vicino: le truppe turche sono da tre anni nel nord
della Siria, hanno installato dodici basi di osservazione e stabilito
rapporti stabili e strutturati con le milizie islamiste presenti,
ampiamente utilizzate nell’occupazione di Afrin.
Gli islamisti finiscono per essere il vero pivot dello scontro, per ora solo a parole, a Idlib. Arrivati nella regione nord-ovest dopo una serie di accordi di evacuazione da Aleppo, Ghouta est, Deraa, nel caso di un nuovo negoziato – o di una guerra – non avrebbero altri luoghi dove riparare. Un quesito affatto peregrino:
indiscrezioni, nelle scorse settimane, parlavano di un possibile
trasferimento in Turchia, con tutte le conseguenze immaginabili –
l’arrivo in Europa ma soprattutto il loro utilizzo contro il sud est a
maggioranza curda.
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