di Chiara Cruciati – il Manifesto
La tempesta perfetta sta per abbattersi su Idlib, a meno che qualcuno si impegni a non soffiarci sopra. Si rifà vivo anche Staffan de Mistura, inviato speciale Onu per la Siria,
messo all’angolo in questo ultimo anno dall’iniziativa negoziale a tre
di Russia, Turchia e Iran. L’«occasione» è speciale: la battaglia di
Idlib, per ora combattuta solo a parole ma che rischia di devastare
l’ovest della Siria e le vite di tre milioni di persone.
Ieri a Ginevra de Mistura ha fatto quello che fece per
Aleppo: si è offerto come «scudo umano» per aprire un corridoio
umanitario nella martoriata regione occidentale del paese, dove
da anni si ammassano gruppi salafiti, jihadisti e qaedisti cacciati
tramite accordi di evacuazione con Damasco da Ghouta est, Aleppo, Deraa.
Che la battaglia sia vicina lo dicono le manovre militari dei principali attori coinvolti:
il governo di Damasco ha spostato ingenti forze lungo il
perimetro di Idlib, a nord-est di Latakia, a sud di Aleppo e a nord di
Hama e ieri ha fatto sapere di essere pronto già «nelle prossime ore» a
entrare nelle zone ovest e sud; accanto ai governativi si sono
mobilitati i combattenti di Hezbollah e gli iraniani; la Russia ha
trasferito parte della sua flotta lungo le coste siriane (si parla di
dieci navi e due sottomarini) e si prepara, da domani all’8 settembre
alla più grande esercitazione militare dal 1981 (300mila soldati, 36mila
veicoli, mille elicotteri e aerei, le flotte del Nord, del Baltico, del
Mar Nero e del Mar Caspio); la Turchia supervisiona l’organizzazione –
in una sorta di esercito irregolare – delle milizie islamiste e poi
accusa gli Stati Uniti di essere impegnati nell’installazione di sistemi
di difesa aerea nel nord della Siria, a partire da Kobane.
«Capisci quando sta per arrivare una tempesta perfetta di fronte ai
tuoi occhi», la traduzione di quanto sta accadendo nelle parole di de
Mistura: «Mi sto preparando di nuovo, personalmente e fisicamente, a
farmi coinvolgere per assicurare un corridoio temporaneo che garantisca
alla gente di poter tornare nelle proprie case quando tutto sarà
finito». Chi ha potuto farlo è già fuggito, centinaia di famiglie, ma il
timore è una nuova ondata di sfollati interni e di potenziali rifugiati
nei paesi vicini, che però da tempo hanno serrato le frontiere.
Accanto a quasi tre milioni di persone (la metà delle quali sono
sfollati da altre zone e parenti di miliziani) ci sono decine di
migliaia di miliziani di opposizione che si stanno preparando alla
battaglia finale: nelle scorse settimane i salafati di Ahrar
al-Sham hanno dato vita al Fronte di Liberazione Nazionale insieme agli
islamisti di Nureddine al-Zinki, ma senza il gruppo leader, il qaedista
ex al-Nusra.
Ci sono anche unità dell’Esercito libero siriano, ormai trasformato
in un hub islamista e braccio armato della Turchia, a partire dal
cantone di Afrin, occupato e svuotato dei suoi abitanti a primavera.
Si parla di 70mila miliziani, l’Onu ne stima di meno, calcolando solo i qaedisti: 10mila terroristi, dice de Mistura,
che devono essere sconfitti. Termini simili a quelli usati da Mosca che
ieri ha definito Idlib un «focolaio terrorista» da «liquidare».
E che nei giorni scorsi ha accusato di voler preparare un attacco a
base di armi chimiche, da attribuire a Damasco, per giustificare un
intervento occidentale: martedì l’ambasciatore russo all’Onu Nebenzya ha detto al Consiglio di Sicurezza che gli Elmetti bianchi
(la «protezione civile» finanziata da paesi occidentali e del Golfo,
operativa solo nelle aree sotto il controllo islamista e accusate di
aver montato falsi attacchi governativi) avrebbero trasferito due container di gas tossico a Idlib, dove ne hanno già altri otto, da usare contro i civili per far reagire Londra, Washington e Parigi.
Reazione già minacciata: una settimana fa i tre hanno diffuso una
nota in cui si dicono pronti a intervenire nel caso di attacchi chimici a
Idlib.
Parole dure che le cancellerie internazionali si rimpallano. Non
tutti però vogliono andare allo scontro diretto e in tanti guardano al 7
settembre quando ad Astana torneranno a incontrarsi il presidente russo
Putin, l’iraniano Rouhani e il turco Erdogan. L’obiettivo pare quello
di impedire una guerra che causerebbe fratture difficilmente sanabili.
Ankara intende evitare lo scontro con Damasco e dunque con Mosca,
viste le crisi interne e dopo essersi riavvicinata tanto al Cremlino da
potersi permettere di snobbare l’alleato di sempre, gli Usa. E Mosca si
accontenta di liberarsi dell’ultimo bubbone jihadista (aprendo però
all’altra enorme questione: dove finirebbero i miliziani, sponsorizzati e
finanziati per anni da Turchia e Golfo?), apre alla proposta di de
Mistura e chiede di isolare i gruppi terroristi da quelli di opposizione
legittima, da portare a un futuro tavolo. Ma poi c’è Damasco,
consapevole della sua nuova forza che ieri ribadiva: a Idlib andremo
fino in fondo.
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