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31/08/2018

Siria - ONU scudo umano per i civili di Idlib

di Chiara Cruciati il Manifesto

La tempesta perfetta sta per abbattersi su Idlib, a meno che qualcuno si impegni a non soffiarci sopra. Si rifà vivo anche Staffan de Mistura, inviato speciale Onu per la Siria, messo all’angolo in questo ultimo anno dall’iniziativa negoziale a tre di Russia, Turchia e Iran. L’«occasione» è speciale: la battaglia di Idlib, per ora combattuta solo a parole ma che rischia di devastare l’ovest della Siria e le vite di tre milioni di persone.

Ieri a Ginevra de Mistura ha fatto quello che fece per Aleppo: si è offerto come «scudo umano» per aprire un corridoio umanitario nella martoriata regione occidentale del paese, dove da anni si ammassano gruppi salafiti, jihadisti e qaedisti cacciati tramite accordi di evacuazione con Damasco da Ghouta est, Aleppo, Deraa.

Che la battaglia sia vicina lo dicono le manovre militari dei principali attori coinvolti: il governo di Damasco ha spostato ingenti forze lungo il perimetro di Idlib, a nord-est di Latakia, a sud di Aleppo e a nord di Hama e ieri ha fatto sapere di essere pronto già «nelle prossime ore» a entrare nelle zone ovest e sud; accanto ai governativi si sono mobilitati i combattenti di Hezbollah e gli iraniani; la Russia ha trasferito parte della sua flotta lungo le coste siriane (si parla di dieci navi e due sottomarini) e si prepara, da domani all’8 settembre alla più grande esercitazione militare dal 1981 (300mila soldati, 36mila veicoli, mille elicotteri e aerei, le flotte del Nord, del Baltico, del Mar Nero e del Mar Caspio); la Turchia supervisiona l’organizzazione – in una sorta di esercito irregolare – delle milizie islamiste e poi accusa gli Stati Uniti di essere impegnati nell’installazione di sistemi di difesa aerea nel nord della Siria, a partire da Kobane.

«Capisci quando sta per arrivare una tempesta perfetta di fronte ai tuoi occhi», la traduzione di quanto sta accadendo nelle parole di de Mistura: «Mi sto preparando di nuovo, personalmente e fisicamente, a farmi coinvolgere per assicurare un corridoio temporaneo che garantisca alla gente di poter tornare nelle proprie case quando tutto sarà finito». Chi ha potuto farlo è già fuggito, centinaia di famiglie, ma il timore è una nuova ondata di sfollati interni e di potenziali rifugiati nei paesi vicini, che però da tempo hanno serrato le frontiere.

Accanto a quasi tre milioni di persone (la metà delle quali sono sfollati da altre zone e parenti di miliziani) ci sono decine di migliaia di miliziani di opposizione che si stanno preparando alla battaglia finale: nelle scorse settimane i salafati di Ahrar al-Sham hanno dato vita al Fronte di Liberazione Nazionale insieme agli islamisti di Nureddine al-Zinki, ma senza il gruppo leader, il qaedista ex al-Nusra.

Ci sono anche unità dell’Esercito libero siriano, ormai trasformato in un hub islamista e braccio armato della Turchia, a partire dal cantone di Afrin, occupato e svuotato dei suoi abitanti a primavera.

Si parla di 70mila miliziani, l’Onu ne stima di meno, calcolando solo i qaedisti: 10mila terroristi, dice de Mistura, che devono essere sconfitti. Termini simili a quelli usati da Mosca che ieri ha definito Idlib un «focolaio terrorista» da «liquidare».

E che nei giorni scorsi ha accusato di voler preparare un attacco a base di armi chimiche, da attribuire a Damasco, per giustificare un intervento occidentale: martedì l’ambasciatore russo all’Onu Nebenzya ha detto al Consiglio di Sicurezza che gli Elmetti bianchi (la «protezione civile» finanziata da paesi occidentali e del Golfo, operativa solo nelle aree sotto il controllo islamista e accusate di aver montato falsi attacchi governativi) avrebbero trasferito due container di gas tossico a Idlib, dove ne hanno già altri otto, da usare contro i civili per far reagire Londra, Washington e Parigi.

Reazione già minacciata: una settimana fa i tre hanno diffuso una nota in cui si dicono pronti a intervenire nel caso di attacchi chimici a Idlib.

Parole dure che le cancellerie internazionali si rimpallano. Non tutti però vogliono andare allo scontro diretto e in tanti guardano al 7 settembre quando ad Astana torneranno a incontrarsi il presidente russo Putin, l’iraniano Rouhani e il turco Erdogan. L’obiettivo pare quello di impedire una guerra che causerebbe fratture difficilmente sanabili.

Ankara intende evitare lo scontro con Damasco e dunque con Mosca, viste le crisi interne e dopo essersi riavvicinata tanto al Cremlino da potersi permettere di snobbare l’alleato di sempre, gli Usa. E Mosca si accontenta di liberarsi dell’ultimo bubbone jihadista (aprendo però all’altra enorme questione: dove finirebbero i miliziani, sponsorizzati e finanziati per anni da Turchia e Golfo?), apre alla proposta di de Mistura e chiede di isolare i gruppi terroristi da quelli di opposizione legittima, da portare a un futuro tavolo. Ma poi c’è Damasco, consapevole della sua nuova forza che ieri ribadiva: a Idlib andremo fino in fondo.

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