Ci vorrebbe un lunghissimo minuto di silenzio per Genova.
Se ci fosse un telecomando, si dovrebbe abbassare il volume a un intero
Paese che non ha vergogna di dimostrarsi infantile e inadeguato, dagli
Appennini alle Ande, dalle esternazioni della supposta classe dirigente
ai rigurgiti dei bassifondi nei social. Almeno per consentire ai
soccorritori di svolgere il loro penoso lavoro, senza il frastuono di
parole che paiono, quasi tutte, pornografiche.
Subito è cominciato quel che l’ex premier Paolo Gentiloni
ha definito con ragione “un insopportabile teatrino di proclami,
minacce, insulti, baggianate”. Aggiungendo, “Che il governo lo alimenti è
inaudito” (appello che forse dovrebbe rivolgere in primis al suo collega di partito Luigi Marattin,
così su Twitter: “Con quello che rimane delle preghiere, la speranza
che – la prossima volta ci sarà occasione – gli italiani con il proprio
voto rimandino nella fogna quelle miserabili teste di cazzo che hanno il
coraggio di sparare fesserie su spread e austerità”). Non proprio
elegante pensare alle elezioni mentre si estraggono cadaveri dalle macerie. Non proprio edificante preoccuparsi delle perdite in borsa di Autostrade
(“Il governo sta esponendo a ulteriori danni quei cittadini che hanno
investito i propri risparmi nel fondo Atlantia, società quotata in
Borsa, holding del gruppo Autostrade”, ha detto Renato Schifani, capogruppo di Forza Italia). Stesso dicasi per il vicepremier Luigi Di Maio,
che si è fatto impiccare (da una stampa che non aspetta altro) a
incaute frasi sulle sedi fiscali di autostrade o sui finanziamenti delle
altrui campagne elettorali.
È giusto provare a revocare la concessione ad Autostrade,
verificando i termini di una eventuale inadempienza contrattuale? La
via è impervia a causa della formulazione del contratto di concessione,
almeno stando alla parte che ci è dato conoscere. Ma, va detto, è una
scelta politica che il premier Conte ha rivendicato
quando ha dichiarato che non si possono aspettare i tempi del processo
penale. I piani sono diversi: il fatto che li confondiamo con tanta
facilità dipende da una visione degradata di quello che chiamiamo Stato.
Che è un ente dotato di sovranità, in base alla quale prende decisioni in nome della comunità.
Senza batter ciglio parliamo abitualmente di fallimento dello Stato
(il default) come se si trattasse di una qualunque società per azioni:
un’ idea privatistica e privatizzata che contempla il concetto di
responsabilità unicamente nella sua accezione contrattuale. Ma tenere
insieme una comunità è altro, significa agire nell’interesse del popolo (che, sia detto incidentalmente, sarebbe uno degli elementi costitutivi dello Stato, insieme alla sovranità e al territorio). Il segretario del Pd Maurizio Martina
si dice preoccupato “di uno scontro a suon di carte bollate tra una
società privata e il governo sopra il destino di Genova”: l’alternativa
però non può essere scansare responsabilità decisionali in nome di una
pretesa “unità nazionale” che è certamente auspicabile ma non può
tradursi in rassegnazione verso uno status quo evidentemente
fallimentare.
L’abitudine di delegare alla magistratura le scelte, attendendo gli
esiti dei processi penali, è il vizio assurdo della nostra politica,
sempre più impaurita, inerte e tecnicizzata. Può darsi
che si riveli molto difficile o addirittura non praticabile revocare la
concessione alla società Autostrade, ma è giusto che, di fronte a una
tragedia di dimensioni inaudite, la politica risponda con tutte le
risorse di cui dispone (lo Stato, lo diciamo a favore dei tanti
commentatori preoccupati degli esiti processuali, dovrebbe avere una
discreta capacità di resistere in giudizio). È giusto che si rifletta
sull’opportunità di alcune scelte passate (tipo privatizzare un
monopolio naturale). È giusto, anche se dovrebbe essere ovvio, che metta
al primo posto l’interesse dei cittadini. Le contraddizioni di questo “Stato di diritto privato”
sono ormai ben oltre un accettabile e ragionevole compromesso tra
democrazia e capitale, perché lo squilibrio a sfavore della collettività
è evidente (altrimenti, per esempio, un contratto di concessione non sarebbe secretato).
Da ultimo, a beneficio dei turboliberisti che tanto spesso e tanto a sproposito citano l’articolo 41 della Costituzione
(“L’iniziativa economica privata è libera”) sarà bene ricordare anche
il secondo comma: “La legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali”. E già che ci siamo, pure il
43: “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o
trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad
enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese
o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici
essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano
carattere di preminente interesse generale”.
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