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27/08/2018

Matteo Secondo nel vicolo cieco di Renzi

Si era infilato in una via senza uscita, e non ne è uscito. Salvini si è arreso alla stupidità della sua politica, provando però a capitalizzare anche la sconfitta. Ma è la prima serissima botta che rischia di incrinare la corazza di “consenso” che l’ha fin qui immeritatamente protetto.

Ieri pomeriggio ha ricevuto l’avviso di garanzia per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio, che non è proprio il massimo della gloria per un ministro dell’interno (che teoricamente dovrebbe far rispettare la legge, che evidentemente non conosce...).

Nelle stesse ore migliaia di siciliani indignati protestava nel porto di Catania, subendo cariche di polizia, ma arrivando persino a mettere gente in mare per cercare di raggiungere la nave. Una realtà che contrasta ad alzo zero con la narrazione tossica di un ministro che confonde per abitudine il 17% dei voti presi con il 30% che gli attribuiscono per ora i sondaggi e quindi con i “60 milioni di italiani”.

Poche ore dopo, intorno alle 21, ha disposto lo sbarco dei naufraghi da dieci giorni a bordo della Diciotti, nave della guardia costiera – ossia militare – che ha subito l’onta di non poter attraccare nel paese che è istituzionalmente incaricata di difendere.

Un tempismo più che sospetto, ma anche il segno dei molti limiti che sono stati superati in questa vicenda e che lasciano uno sbrego profondissimo nell’equilibrio dei poteri dello Stato.

Poche note veloci. Salvini ha dovuto cedere alla realtà delle cose. L’Unione Europea è un mostro senza testa di interessi economici in conflitto tra loro, uniti nello spolpare popolazioni e diritti del lavoro, ma incapaci di delineare una qualsiasi linea di gestione di problemi non affrontabili a colpi di “prescrizioni” favorite dai “mercati”. Il vertice convocato d’urgenza, ma limitato al livello degli “sherpa” (ossia non un vertice politico, ma tra “esperti”), non poteva produrre e non ha prodotto alcun risultato.

Solo Albania (paese extra-Ue) e Irlanda hanno accettato di prendersi 20 persone a testa. Il resto resterà in Italia.

Su questo punto decisivo governo e media di regime stanno in queste ore lavorando nascondere la realtà. La Cei (Conferenza episcopale italiana) non è infatti un paese straniero, ma l’organizzazione dei vescovi. Il che significa una sola cosa: quei 130 profughi (tra minori, sbarcati prima perché gravemente malati, e infine tutti i restanti) saranno dispersi nelle parrocchie italiane e utilizzati/accuditi dalle strutture locali della Chiesa. Ma dentro questo paese, contrariamente a quanto affermato per dieci giorni dallo scombiccherato leghista approdato al Viminale. Un punto per noi, uno in meno per lui.

Figura di merda a parte, restano i problemi. La magistratura svillaneggiata e minacciata (“se toccate il Capitano vi veniamo a prendere sotto casa... occhio!!!“, il deputato abruzzese Giuseppe Bellachioma); il presidente della Repubblica indicato preventivamente come responsabile dell’eventuale sbarco dei profughi; Polizia e Marina Militare sempre più in imbarazzo, perché usate come strumenti della propaganda personale di un ministro in cui avevano persino “sperato”; grillini sempre più spaccati tra il democristianissimo opportunismo di Di Maio e quel tanto di valori generici rappresentato dall’immaginario Cinque Stelle.

Quello che secondo il felpoleghista sbraitante doveva essere un trampolino di lancio per un’ulteriore crescita dei consensi personali si è trasformato in uno scontro all’interno dello Stato, tra istituzioni che – pur agendo autonomamente e separatamente – dovrebbero in teoria convergere “nell’interesse del paese”.

Il Matteo Secondo è così arrivato in pochi passi (meno di tre mesi) allo stesso punto in cui era finito impiombato – dal voto referendario – il Matteo Primo, detto Renzi: il limite della Costituzione.

Sia il primo che il secondo, davanti al non riuscire a imporre la propria volontà su tutta una serie di questioni, si sono messi a re-interpretare la democrazia come “potere della maggioranza”, senza contrappesi istituzionali (i governi passano, lo Stato resta...), cancellando il ruolo dell’opposizione parlamentare (che pure non c’è, a parte qualche dichiarazione pro forma sui media) e soprattutto la complessità di una società frammentata e in conflitto, continuamente illusa con promesse e delusa dagli atti concreti di governo.

Sia il primo che il secondo, dunque, si sono trasformati in eversori dell’ordine costituito, puntando dritti a una prassi di governo anti-costituzionale. Per lucido calcolo il primo, per manifesta assenza di soluzioni credibili il secondo. Nulla di quello che Salvini aveva presentato come “il suo programma”, infatti, è realizzabile senza mettere in discussione totale i trattati internazionali che hanno tolto ai governi nazionali la titolarità della politica monetaria, economica, industriale, fiscale (in qualche misura).

Dunque, nessuna flat tax per i ricchi è possibile; nessuna revisione radicale della “legge Fornero” è seriamente presentabile in sede di legge di stabilità a fine anno; nessun mega-piano di assunzioni nella pubblica amministrazione è realizzabile. Così come non lo è – in questo quadro – il “reddito di cittadinanza” promesso dai temporanei alleati di governo. Se ne è avuta la prova con il “decreto dignità”, letteralmente una scatola vuota, dal punto di vista dei lavoratori in genere.

Le uniche cose che possono fare questi dilettanti allo sbaraglio, avevamo scritto subito, sono misure a costo zero. Dunque qualche sgombero di occupazioni storiche, e soprattutto ma “mano dura” con gli ultimi: migranti, rom, mendicanti, ecc, che non hanno protettori né lobby.

Qui era difficile fare peggio del predecessore, il “dem” Marco Minniti. Dunque a Salvini non è rimasta che la scartina: fare di ogni nave impegnata nei salvataggi un “caso da prima pagina”, per dimostrare che lui fa sul serio mentre “l’Europa” e gli altri “buonisti” non fanno nulla, o se la fanno sotto.

Strada lì per lì “popolare”, ma con controindicazioni serissime, come si è visto: la violazione della legislazione esistente (che non è quella che ha in testa lui), la conseguente esposizione all’intervento della magistratura, i rapporti tra i diversi poteri dello Stato, e finanche tra le diverse “catene di comando” di diverse istituzioni.

Al contrario di Matteo Primo, il Secondo non ha alcuna possibilità di proporre a breve una revisione golpista della Costituzione. Perciò punta apertamente a massimizzare la propria “popolarità” prima di aprire la crisi di governo ed andare ad elezioni anticipate (“Ci metto un attimo a portare tutti ad elezioni e diventare presidente del Consiglio“). Lì ricucirebbe – se mai si sono lacerati – i rapporti col resto del centrodestra, e da posizioni di estrema forza, per assicurarsi una maggioranza finalmente blindata e senza contrattazioni quotidiane.

Anche questa strada, comunque, appare in salita. Molti interessi e molti poteri si metteranno sicuramente di traverso. Per primi (ma sono i più fragili) i Cinque Stelle, che rischiano a breve conflitti interni facilmente devastanti, nonostante o a causa dell’iper-opportunismo di Gigino da Pomigliano

Più seriamente, il “terzo governo” presente in questo esecutivo – l’Unione Europea e i suoi "garanti": Moavero Milanesi, Tria, lo stesso Mattarella) – non lascerà via libera tanto facilmente a un disegno personale tanto ambizioso quanto insensato. Se il “lavorìo ai fianchi” sarà lungo e ben strutturato, anche l’indice dei sondaggi potrebbe ben presto invertire il trend.

In fondo, mica si può governare per cinque anni inseguendo qualche nave con pochi disperati a bordo e basta...

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