Il fuoco di fila contro l’ipotesi di un ritorno in mano pubblica della gestione delle autostrade ha trovato nel “fronte del nord”, come è stato giornalisticamente ribattezzato, la sua punta di lancia.
Si tratta di tre governatori di regione: Lombardia e Veneto, oltre la Liguria che hanno lanciato la loro crociata, di fatto dettando la linea al governo che non ha avuto e non ha tuttora un orientamento comune, a cominciare dallo stop and go sulla revoca che rischia di trasformarsi un nulla di fatto nelle settimane a venire.
La rendita economica che alimenta quella politica non vuole certo farsi scippare le proprie possibilità di introiti e di distribuire prebende che gli assicurano questi nel do ut des che contraddistingue l’attuale democrazia oligarchica.
Il “suicidio” di cui ha parlato Zaia riferendosi alla possibilità di ri-pubblicizzare la gestione della rete autostradale è da intendersi in questo modo: cedere su questo punto vorrebbe dire decretare la fine di un sistema, affossando la trama di poteri di cui è espressione, un “bagno di sangue” per lui e soci.
Nell’anniversario del ’68 solo il fronte padronale sembra avere compreso in profondità il significato dello slogan del Maggio: cedere un poco è capitolare molto.
Atlantia, la società della famiglia Benetton che controlla Autostrade per l’Italia, naturalmente ha iniziato la sua opera di terrorismo psicologico paventando il rischio per i 50.000 risparmiatori che hanno investito nel gruppo, in caso di “revoca”.
L’allarme è stato celermente ripreso dagli uffici stampa esterni dell’azienda travestiti da redazioni di molti quotidiani e dai media in genere...
Naturalmente è da evitare qualsiasi precedente che faccia anche solo balenare al popolino l’idea malsana che – dopo una battaglia culturale in profondità e ormai di lunga durata – il pubblico è preferibile al privato, se poi aggiungiamo la “Sinistra per Benetton” il quadro degli ultras della rendita è al completo.
La nazionalizzazione è il cuore del problema ed il nodo politico che va agitato se si vuole fare un’opposizione degna di questo nome, e non certo per un gusto vintage del consociativismo della Prima Repubblica, ma per la rifondazione dell’ipotesi gramsciana della classe che si fa stato riprendendosi la capacità di scelta.
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Come auspicato da Forza Italia, Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria è stato nominato Commissario Straordinario per l’emergenza con lo stanziamento di fondi necessari per gli interventi, dando la possibilità di agire in deroga a molteplici norme e procedure che permettono, tra l’altro, l’affidamento diretto alle imprese per l’esecuzione dei lavori, con il relativo sistema di appalto e subappalto.
Le cronache giudiziarie ci hanno resi definitivamente edotti sulle modalità di funzionamento e di strutturale compenetrazione con le organizzazioni criminali di questo sistema che agisce esattamente come un “cancro” per il Paese, talvolta andando oltre la capacità di immaginazione degli attivisti che lo avevano precedentemente denunciato senza aspettare il lavoro della magistratura: la borghesia è sempre più schifosa di quanto uno suppone.
Questo significa una possibilità di “mandare all’ingrasso” quella che è la configurazione di interessi economici che ha promosso la candidatura di Toti, una ridistribuzione alla propria filiera di interessi clientelari dei soldi stanziati, e uno strumento di ricatto non indifferente con cui poter “comprare” – attraverso una oculata gestione delle risorse – chi potrebbe sollevare dubbi sul suo operato, magari mascherando la propria arrendevolezza rispetto alle opinabili scelte del commissario attraverso un ostentato senso della responsabilità per il futuro della città.
Si accettano scommesse sulla tenuta dei suoi competitor.
Come ha ben argomentato Salvatore Palidda in un intervento ripreso anche da Contropiano: l’arte del mastrusso è una costante della governance della Superba, ed in generale della Liguria.
Possiamo aggiungere come il cordone ombelicale – di natura economica prima che politica – che lega storicamente l’universo dei corpi intermedi della “sinistra” ai partiti che l’hanno governata potrebbe by-passare i propri referenti politici tradizionali se l’offerta fosse vantaggiosa: si tratta di vedere quale sarà la narrazione che sceglieranno questa volta per difendere i propri “interessi di bottega”.
Il monitoraggio di chi prende i soldi per fare cosa ci potrà dare un interessante spaccato della configurazione degli interessi economici e politici che si apprestano a governare la regione, oltre ad offrirci un terreno di denuncia puntuale e circostanziati sulla trama di poteri locali.
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In genovese c’è una espressione dialettale che può essere tradotta: chi non piange, non viene allattato.
In questa competizione, le imprese si sono davvero contraddistinte e sembra che sia in dirittura d’arrivo una legge speciale, fortemente voluta da Confindustria locale per colmare eventuali perdite per le imprese, con una politica di de-fiscalizzazione e di sgravi a tutto spiano: intanto però si mandano i lavoratori in ferie forzate, come all’Ansaldo Energia e da Spinelli, o si mette in cassa integrazione.
Nell’articolo Così una legge speciale può aiutare Genova, uscito per il Secolo XIX giovedì 23 agosto, Aponte, patron di MSC, multinazionale del mare tra le più “misteriose” dal punto di vista della trasparenza economica, viene fatta apparire come una benefattrice (forse lo è stata per Stefano Merlo, ex presidente dell’Autorità Portuale, area PD, ora consulente del “clan” Aponte).
Secondo l’articolo nel mondo dello shipping tutti vogliono continuare ad investire a Genova, ma non è ancora dato sapere a quale prezzo per i lavoratori e la città tutta.
Questo è un aspetto rilevante della vicenda: le concessioni ai terminalisti e il tappeto rosso steso agli armatori durante questi anni, in cui le multinazionali del mare hanno di fatto preso il controllo del porto, succedendo alla vecchia geografia post-privatizzazione, non ha conosciuto dinamiche dissimili da ciò che lo Stato ha fatto con Autostrade Per L’Italia riguardo a tutta una serie di aspetti: una rendita economica garantita senza nessun vincolo di ri-investimento dei propri guadagni, una trasparenza deficitaria – per usare un eufemismo – rispetto ai termini delle concessioni, nessuna rigidità rispetto agli standard lavorativi e di garanzie per i lavoratori. Un partito trasversale che non ha mai voluto mettere becco su niente e ha fatto diventare il porto un mondo chiuso, impenetrabile, dove continua a regnare l’omertà lì dove gli interessi di lorsignori potrebbero essere messi in discussione.
Pochi hanno avuto il coraggio di denunciare, un nome su tutti Sergio Bologna e chi ha ripreso in funzione politica le sue analisi, che cosa sta dietro “il gigantismo navale”, cosa implica e il vicolo cieco a cui può portare complessivamente, senza ripetere il mantra ossessivo della corsa al “progresso ineluttabile” di navi sempre più grandi, di strutture adeguate e di stravolgimento del mondo del lavoro in grado di completare quella rivoluzione logistica – “container più digitalizzazione” – tesa a connettere nodi diversi quanto a livellare verso il basso la condizione di chi ci lavora.
Già da tempo il mondo della finanza è entrato prepotentemente nello shipping trasformando ciò che più solido si possa immaginare – una nave – nella cosa più eterea si possa concepire: un veicolo di investimento finanziario.
Come scriveva qualcuno, in questo sistema capitalista, tutto ciò che è solido si scioglie nell’aria, comprese le garanzie dei lavoratori.
Anche in questo settore strategico, lo Stato e le istituzioni ad ogni livello hanno abdicato ad un loro minimo ruolo, trasformandosi talvolta in pacchiani promotore di interessi privati, la cui la rappresentazione plastica è l’immagine del sindaco Bucci a pancia in giù, che prova lo scivolo acquatico allestito in pieno centro in uno spot pubblicitario “a cielo aperto” per Costa.
“Il Fronte del Porto” sarà uno degli aspetti centrali del dopo-crollo per i lavoratori e la cittadinanza tutta.
Un ultimo aspetto, che integra e non completa il quadro delle possibili conseguenze del dopo-crollo – non abbiamo trattato qui né dell’imminente collasso logistico della città, né del tema degli sfollati, né della “scomparsa” della legittima sete di giustizia dei familiari delle vittime – riguarda la battaglia contro le Grandi Opere.
Abbiamo visto lo stomachevole attacco al movimento No-Tav/No Terzo Valico e agli esponenti dei comitati No Gronda, ritenuti “responsabili morali” della morte – quasi i mandanti – di 43 persone e la continua opera di disinformazione interessata che ha collegato questi due progetti (Gronda e Tav) nella loro “tardiva” realizzazione al crollo del ponte.
La fabbrica del falso ha voluto così cercare di prendere due piccioni con una fava: perorare la causa delle grandi opere e sviare l’attenzione dal fatto che costruiamo per altri eccellenze logistiche sia autostradali che ferroviarie in tutto il mondo, ma non siamo in grado di darle in mano nel nostro Paese a chi può assicurargli un livello di manutenzione minimo nonostante gli introiti favolosi.
Sfogliatevi ogni tanto le pagine del Sole 24 ORE sui global player del settore e scoprirete per quanto possa apparire paradossale che facciamo per altri ciò che non riusciamo a salvaguardare dignitosamente per noi.
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In conclusione, questi giorni hanno dimostrato che ci troveremo a costruire un movimento politico-sociale in una situazione in cui bisogna essere capaci di aggredire le contraddizioni dell’avversario celermente e coraggiosamente, lanciando continuamente il cuore oltre l’ostacolo e accettando la sfida di un contesto in cui o ci adeguiamo in fretta alla “piega degli eventi” o verremo relegati all’irrilevanza politica, per quanto complessa sia la sfida del presente rompicapo.
Il moderatismo e gli abiti mentali che abbiamo introiettato nell’amministrazione dell’esistente tipici dell’essere inconsapevoli travet della politica, possono solo nuocerci.
Una prospettiva complessiva, una tensione militante ed una adeguata cornice organizzativa sono le premesse imprescindibili per i compiti che dobbiamo già da ora affrontare senza i quali rischieremo di riscrivere una versione farsesca e in sedicesimi de “l’anno in cui non siamo andati da nessuna parte”.
Hic Rhodus, hic Salta!
Fonte
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