Gli applausi, bisognerebbe dire anzi la vera e propria ovazione,
che il popolo di Genova presente ai funerali di ieri ha tributato al
governo, a Salvini e Di Maio, sono un evento senza precedenti. Mai di
fronte a una tragedia pubblica il governo ne è uscito così sostenuto, da
un popolo vero, in carne e ossa, con tutte le sue tragiche
contraddizioni. Siamo di fronte ad un cambiamento epocale – lo abbiamo
già detto? – che ogni giorno viene confermato da un fatto nuovo e
clamoroso. Provate a chiedere alle migliaia di vittime delle multiformi
catastrofi del nostro paese – di ogni paese. Bombe fasciste e terremoti,
alluvioni e terrorismo, stragismo mafioso o calamità naturali: mai il
sentimento di rivalsa di un paese si è rispecchiato così fortemente
nella sua classe politica di governo.
Non basterà neanche questo ai discepoli del politicamente putrefatto per cambiare strategia, cogliere la novità tellurica
al fondo di questo sostegno popolare. Ovviamente quegli applausi sono
un problema, non l’inizio di una riscossa popolare. Ci raccontano, da
una parte, di quanto in profondità abbia scavato la rabbia
anti-liberista e anti-establishment, e dall’altra ci raccontano dei
clamorosi limiti di questa rabbia, convogliata verso un governo a cui si
delegano fideisticamente i propri propositi di rivalsa. Una rabbia che
si ferma sulla soglia dell’urna elettorale, che fatica ad esprimersi
fuori dai circuiti pacificanti dei social network, che affida
all’irrazionalità del risentimento la difesa del proprio salario e del
proprio statuto sociale. Ma questo è popolo vero, anzi, per dirla in
termini negriani, vera e propria moltitudine rabbiosa, per certi versi
interclassista, per altri accomunata da un impoverimento improvviso e
spaventoso, un peggioramento radicale e inaspettato delle condizioni
materiali sedimentate nel precedente quarantennio. Un’alleanza sociale
di fatto che procede cementando le proprie ragioni sia contro il vecchio
ceto politico, sia a favore del nuovo.
Cosa opporre a tutto ciò? Da
dove ricominciare? Ormai ci sembra difficile pensare una risposta
credibile. Siamo – come sinistra – talmente tagliati fuori da questo
sentimento di rivalsa, di vendetta atrofizzata e alienata, da non saper
più come intrecciare un dialogo con questa società... Lo sappiamo: «i
comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la
politica dal basso... Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche,
in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e
di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è
accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e
come» [P.P. Pasolini, 1975].
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