di Michele Giorgio – Il Manifesto
Mentre lavora per
stringere i rapporti con la Turchia in rotta di collisione con gli Usa,
Tehran con grande sorpresa ha visto l’Iraq, paese amico e sotto la sua
influenza, dichiararsi per bocca del premier Haidar al Abadi pronto ad
attuare le sanzioni americane contro l’Iran.
«Non sosteniamo le sanzioni perché sono un errore
strategico ma le applicheremo», ha annunciato la scorsa settimana il
primo ministro iracheno scatenando la reazione del leader supremo
iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei. «Questa posizione
dimostra che (Al Abadi) è stato psicologicamente sconfitto dagli
americani», ha tuonato Moujtaba Al Hussein rappresentante a Baghdad di
Khamenei.
Raffiche di accuse ad al Abadi sono giunte da gran parte dei media e
degli editorialisti iraniani. «Come al Abadi può prendere una tale
decisione sapendo che le sanzioni porteranno a fame, povertà, malattia
e privazione all’Iran e nessun beneficio al popolo iracheno», ha
lamentato l’analista Mohammad Sadeghi al Hashemi sottolineando che la
posizione di al Abadi è incomprensibile se si tiene contro che l’Iraq ha pagato un prezzo altissimo per i 12 anni di sanzioni internazionali che ha subito tra il 1991 e il 2003
e mentre la Russia, l’Europa, la Cina, il Pakistan e l’India si
oppongono alla linea di Trump. Non sorprende perciò che la visita
imminente di Al Abadi in Iran sia stata annullata per decisione di
Tehran.
A spingere Al Abadi a muovere un passo che lo pone in chiaro
contrasto con l’alleato iraniano, è un insieme di fattori. Alcuni
sostengono che il premier iracheno, come hanno fatto altri esponenti
sciiti di primo piano, a cominciare dal leader religioso sciita Muqtada
al-Sadr vincitore delle elezioni politiche di maggio, hanno operato
nell’ultimo anno per migliorare le relazioni con la monarchia saudita e
hanno preso, almeno in parte, le distanze da Tehran.
Altri pongono l’accento sulla situazione interna all’Iraq.
«Nel paese il consenso verso l’alleanza con Tehran non è granitico come
in passato e alcuni addebitano allo stretto rapporto tra i due paesi
la lenta crescita dell’Iraq che ora è nel pieno di una crisi economica e
sociale ed è attraversato da proteste popolari», spiega al manifesto
l’analista Ghassan al Khatib. «Al Abadi cerca di recuperare consensi –
ha aggiunto Al Khatib – giocando la carta della fedeltà irachena alla
politica regionale di Washington certo che il suo annuncio convincerà
Trump a pompare nelle casse vuote del paese decine di miliardi di
dollari».
Se queste sono le motivazione della mossa fatta da Al Abadi,
allora presto si rivelerà un boomerang. L’embargo contro l’Iran
potrebbe causare la perdita di molti posti di lavoro anche in Iraq
e tagliare una fonte cruciale di importazioni a basso costo. «L’80%
dei prodotti sul mercato è fatto in Iran, se il confine dovesse
chiudersi, sarà crisi per tutti noi», ha detto all’agenzia Afp Ali Ajlan un rivenditore di elettrodomestici. Simili le dichiarazioni di altri commercianti.
Nel 2017 l’Iran ha importato appena 77 milioni di dollari di merci
irachene mentre ha esportato verso l’Iraq prodotti per 6,6 miliardi. Ed
è probabile che Baghdad, attuando le sanzioni Usa, debba fare i
conti anche con un netta riduzione del numero di pellegrini iraniani
che annualmente visitano i luoghi santi sciiti in Iraq.
Per il noto opinionista arabo Abdel Bari Atwan sarà proprio Al
Abadi la prima vittima illustre delle sanzioni contro l’Iran. «I
partiti sciiti iracheni, incluso il Da’wa che ha portato Abadi al
potere, condannano le sanzioni. Per questo sarà difficile, se non
addirittura impossibile, che il premier resti al suo posto quando verrò
formato il nuovo governo iracheno».
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