di Michele Giorgio – il Manifesto
Per i media
israeliani l’accordo di tregua tra il governo Netanyahu e Hamas, di un
anno e non di cinque come si diceva qualche settimana fa, è cosa fatta e
sarà messo nero su bianco oggi al Cairo. Il quotidiano Haaretz ieri
scriveva che la prima della sei fasi dell’intesa – la calma lungo le
linee tra Gaza e Israele e la riapertura del valico commerciale di
Kerem Shalom – sarebbe già in atto da mercoledì. Da parte sua Hamas fa trapelare solo che l’intesa potrebbe essere raggiunta tra sabato e domenica. Le altre fazioni palestinesi, costrette ad accettare quello che hanno deciso gli islamisti, sbuffano e criticano Hamas che, affermano, in cambio di aiuti umanitari e un allentamento del blocco israeliano di Gaza ha concesso troppo, a cominciare dalla fine delle manifestazioni popolari della Grande Marcia del Ritorno.
Nell’incertezza che regna intorno alla possibile tregua, l’unica cosa
sicura è la rabbia del presidente dell’Anp Abu Mazen, furioso per un
accordo che tende a relegarlo ai margini della diplomazia.
Non ha avuto mezze parole per i suoi avversari Abu Mazen quando è intervenuto ai lavori del Consiglio centrale dell’Olp due giorni fa a Ramallah.
Ha rivolto accuse pesanti all’Amministrazione Usa e ha attaccato il
“piano di pace”, noto come Accordo del secolo, che Trump sostiene di
poter realizzare tra israeliani e arabi (a scapito dei diritti dei
palestinesi). Ha sparato a zero sul governo Netanyahu e affermato la
volontà di lottare, assieme ai palestinesi con cittadinanza israeliana,
contro la legge approvata dalla Knesset che definisce Israele Stato
nazionale degli ebrei. E Abu Mazen non ha mancato di rivolgere attacchi al vetriolo anche ad Hamas che, a suo dire, ha silurato la riconciliazione con il suo partito, Fatah, e ora va a un’intesa separata con Israele, senza aver ottenuto un granché per Gaza.
Hamas replica che proprio «l’ostinazione» del presidente dell’Anp a
voler raggiungere la riconciliazione interna solo alle sue condizioni
finisce per dividere i palestinesi. Il movimento islamico ricorda che
le misure adottate dalla presidenza dell’Anp nell’ultimo anno hanno
aggravato la condizione umanitaria di Gaza.
Abu Mazen nel suo discorso al Consiglio Centrale ha evitato di attaccare frontalmente l’Egitto
– il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel è stato mercoledì a
Tel Aviv e ieri a Ramallah – che pure dietro le quinte favorirebbe i
disegni di Trump e, incurante delle perplessità della presidenza
dell’Anp, ha deciso di mediare, assieme all’inviato dell’Onu Mladenov,
un accordo separato tra Israele e Hamas. «Le preoccupazioni di Abu
Mazen sono solo in parte comprensibili» spiega al manifesto l’analista
di Gaza Saud Abu Ramadan «perché l’Egitto mentre lavora all’accordo di
tregua allo stesso tempo ha invitato al Cairo le delegazioni di Fatah e
delle altre formazioni palestinesi per arrivare alla riconciliazione».
Tuttavia un pericolo per Abu Mazen è concreto, aggiunge Abu Ramadan. «È chiaro che se ci sarà un accordo tra Fatah e Hamas non sarà alle condizioni dettate dal presidente». A quel punto, prosegue l’analista, «Abu Mazen potrebbe essere costretto ad accettarlo perché rifiutandolo darebbe indirettamente luce verde a una separazione netta tra la Cisgiordania sotto la sua autorità e Gaza controllata da un Hamas più forte dopo l’intesa con Israele».
I prossimi giorni o forse le prossime ore diranno se Gaza avrà
una ”cessazione delle ostilità” di lungo periodo. Per ora si dice e si
scrive un po’ di tutto. La tregua sarebbe di un anno e prevederebbe la
costruzione di infrastrutture civili a Gaza, negoziati per uno scambio
di prigionieri che porti alla restituzione delle salme di due soldati
morti in combattimento nel 2014 e di due civili israeliani trattenuti
da Hamas in cambio della liberazione di prigionieri politici
palestinesi. L’intesa potrebbe prevedere l’introduzione di un corridoio
navale, sotto controllo israeliano, tra Gaza e Cipro con traffico di
cargo.
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