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16/08/2018

Genova: la Strage è di Stato


Ci sono momenti in cui, purtroppo, ti senti come il protagonista nel finale del capolavoro di Steinbeck: “La Battaglia”, questo è uno di quelli.

Fasi in cui la lucidità rischia di essere una delle vittime collaterali di un avvenimento così traumatizzante da bloccare la capacità di reazione, lasciando che il Nemico ne approfitti per “imporre” la sua gestione e far passare la difesa dei suoi interessi come “Verità”.

Questo va impedito ad ogni costo.

Occorre chiamare le cose con il proprio nome, sfidando la neo-lingua del potere tesa a stravolgere il senso delle cose, e quindi iniziare a dire che ciò che è successo a Genova è una Strage di Stato.

È il risultato cosciente di una filiera di interessi economici protetti da una classe politica trasversale che, nel mentre propugnava le politiche di austerity made in UE per le classi popolari, coltivava i propri affari all’interno di una “simbiosi mortale” tra finanza, imprenditoria e potere politico, dove la rendita privata di un bene pubblico – così come la versione italiana della “finanza a progetto” pubblico/privata – o ancora lo sviluppo di una Grande Opera, ha permesso ai “prenditori” nostrani di drenare risorse pubbliche verso questa trama di poteri, a scapito di tutto il resto, in primis la nostra sicurezza.

Come sa chi si è interessato di qualsiasi azienda “privatizzata”, nei bilanci di queste imprese l’unica cosa che conta per lorsignori sono i dividendi degli azionisti, mentre la manutenzione è una questione accessoria. Un costo, da ridurre al minimo.

Qualsiasi genovese sa cosa vuol dire per esempio la privatizzazione dell’acqua: tubi che scoppiano in continuazione, bollette che salgono, profitti che macinano, tentativi “abusivi” di staccare l’acqua ad intere abitazioni.

Qui però il grado di “disfunzione” di un sistema giunge a toccare il suo apice divenendo irreversibile per le conseguenze dirette (una strage di vite umane) e quelle indirette: gli sfollati che aumentano di ora in ora in una zona densamente popolata, il collasso logistico prossimo venturo di una zona già pesantemente congestionata, cioè ulteriori motivi di preoccupazioni per gli abitanti e per chi attraversa quei luoghi.

Quel tratto autostradale era una delle tante strozzature di un nodo logistico pensato per favorire – ai tempi – gli interessi del partito del cemento e del tondino, oltre che delle case di produzione di veicoli su gomma (per il trasporto individuale o commerciale), ed era da tempo un gigante malato. Ora è solo un pericolo a continuo rischio di crollo...

Naturalmente “gli sciacalli” e i loro cortigiani hanno già incominciato a fare il lavoro sporco teso a sfruttare ciò che è accaduto e la situazione che andremo a vivere come gigantesca operazione di consenso per la promozione di una inutile e costosissima bretella: la Gronda di Ponente, soluzione che non tiene ad una minima analisi empirica come è stato sollevato da più parti.

La narrazione governativa, sull’impeto dell’indignazione, cavalca l’onda chiedendo la testa dei responsabili, come ha fatto Salvini, e minacciando la nazionalizzazione, come ha fatto il Movimento 5 Stelle: ma questo è un governo “con il collare a strozzo”. Da una parte tirato dalla UE, che è la grande sponsor della privatizzazione di tutto a tutti i costi, e dall’altra della borghesia nostrana (quella che ha fatto le barricate contro il “Decreto Dignità” per intenderci, delineando scenari apocalittici per le imprese), visceralmente attaccata ai benefici di questo sistema che ha nella TAV, ed il suo mondo, la sua più compiuta realizzazione.

Quindi, a “occhio e croce”, non costa niente “abbaiare alla luna”, perché poi nelle sedi appropriate il governo gialloverde viene rimesso in riga dall’oliata macchina del ricatto dei mercati, dai tecno-burocrati ordo-liberisti della UE e da quel tessuto imprenditoriale cresciuto a forza di politiche fiscali benevole, inquinamento ecologico e sfruttamento semi-schiavistico della forza-lavoro.

Un governo che si dimostra per quello che è: un branco di chiacchieroni e cagasotto, altro che “governo del cambiamento”, tranne quando si tratta di prendersela con gli ultimi degli ultimi.

Ma, al di là della configurazione dei vari interessi, la questione rimane eminentemente politica: lo Stato non può processare sé stesso, né far balenare l’idea che la gestione pubblica di un bene comune possa essere migliore di quella propugnata dalla contro-rivoluzione liberale, e vede come fumo negli occhi le forze politico-sindacali che propugnano la “nazionalizzazione” come exit strategy da questo distopico collasso del Sistema Paese.

Basta guardare alla Gran Bretagna, dove un governo conservatore tenuto su con lo sputo si batte con i denti e con le unghie contro la possibilità di un probabile cambio di maggioranza governativa in caso di elezioni, che vedrebbe nei laburisti di Corbyn (sono finiti i tempi dei Blair...) i gestori della “brexit” e di una politica di ri-nazionalizzazione dei settori strategici, con lo stop alla privatizzazione dei propri gioielli, come il Sistema Sanitario Nazionale.

È per questo che prima di tutto non bisogna “lasciare nelle mani del nemico” la gestione politica del dopo-strage, prefigurando da ora lo scenario che si aprirà, e intervenendo direttamente con proposte ed iniziative in grado di attivare le energie migliori del blocco sociale, e di fare avanzare il livello di coscienza e organizzativo.

Se non riporterà in vita le persone, almeno onorerà la loro memoria e preparerà il terreno affinché queste tragedie non possano più accadere.

Poche settimane fa è stato l’anniversario della strage di Grenfell, a Londra, e le parole di denuncia di Matt Track, riportate dal “The Guardian” dovrebbero farci riflettere su come l’attuale trama di poteri gestisca, ovunque, eventi catastrofici del genere.

Lo so, basterebbe fare un minimo di elenco delle disgrazie del nostro Paese nella storia più o meno recente, ma stiamo parlando della City, uno dei punti di maggiore concentrazione della ricchezza al mondo, ed è per questo che il contrasto risulta più evidente, diventando l’esempio più calzante che ci permette di vedere come funziona il mondo anche oltre i confini del Belpaese.

Matt Track, segretario dei vigili del fuoco, fa un bilancio impietoso di quell’incendio in cui perirono 72 persone: nessuno persona sfollata è stata ricollocata, i materiali di costruzione utilizzati, co-responsabili del divampare dell’incendio, non sono stati messi al bando (nonostante fossero già stati “denunciati” dal sindacato nel lontano ’99), i controlli degli standard di sicurezza anti-incendio – tutti in mano privata – non sono stati resi pubblici nonostante siano stati dimostrati i deficit di garanzie rispetto a questa delicata materia, nessuno è stato finora arrestato. La “centralità” dell’edificio ha permesso, insieme al sacrificio delle fire brigades, di limitare il danno; cosa che non sarebbe successa in una area più periferica e meno servita.

Track conclude dicendo che: “Grenfell deve diventare un punto politico centrale che non dobbiamo permettere venga nascosto sotto il tappeto”.

Sin da ora, non possiamo permettere che la Strage di Stato di Ponte Morandi e tutto ciò che implica, venga “messa sotto il tappeto”, perché prima di essere una indicazione politica è un imperativo morale per tutti gli abitanti della Superba e non solo.

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