La mostruosa fogna degli interessi economici intorno al business autostrade sta venendo allo scoperto mentre ancora si cerca di recuperare i corpi dei “dispersi” (termine asettico con cui si indicano quanti dovrebbero trovarsi sotto le macerie ciclopiche dell’ex ponte Morandi).
La revoca della concessione ad Autostrade, annunciata dal governo, ha fatto immediatamente muovere gli “avvocati d’ufficio” delle imprese, ovvero i giornali mainstream.
Sulla credibilità di questo annuncio abbiamo già espresso e ribadito la nostra opinione, che esce rafforzata proprio dagli “avvocati d’ufficio”.
Già solo il fatto che si parli di “revoca” agita le penne redazionali più sensibili, prontissime a ricordare che prendere questa strada, in fondo, non aiuterebbe il governo ad andare avanti.
Nessuno, e pare già un miracolo, mette in discussione il fatto che una concessione, così com’è stata data, possa essere ritirata. E’ anche l’unica ammissione del “fronte delle imprese”, subito dopo comincia il fuoco di sbarramento.
E’ innegabile infatti che le “gravi inadempienze” invocabili dallo Stato per ritirare la concessione siano di solare evidenza: una tragedia come questa, di dimensioni ancora non completamente quantificate ma immense, supera di molte volte la fantasia di qualsiasi azzeccagarbugli ben remunerato. Tanto più che questo crollo giunge al termine – provvisorio – di una lunga serie di “avvertimenti” verificatisi nell’ultimo decennio. Persino IlSole24Ore – il più solerte degli avvocati d’ufficio – è costretto a ricordare “il crollo di un cavalcavia dell’A14 l’8 marzo 2017 e di alcune pensiline di caselli e portali segnaletici intorno al 2010, il sequestro per alcuni mesi nel 2014 di un altro cavalcavia a rischio, denunce pendenti presso varie Procure su altre opere con possibili problemi strutturali, la sentenza del 10 aprile scorso sulla contraffazione del brevetto del controllo della velocità Tutor e il processo di Avellino per la morte di 40 persone su un bus precipitato dal viadotto Acqualonga della A16 il 28 luglio 2013.”
Totò avrebbe ricordato che “è la somma che fa il totale”. Ma che sarà mai... In fondo lo Stato, fin qui, non aveva ancora mosso alcuna contestazione formale alla gestione della rete autostradale, né nei confronti dei Benetton (titolari della concessione per l’A10, quindi anche per il ponte Morandi di Genova), né degli altri (Gavio, Toto, ecc.).
Il che significa soltanto che tutti i governi precedenti – anche quelli cui la Lega aveva partecipato, insieme a Berlusconi – hanno sempre avuto tre occhi di riguardo nei confronti di queste “imprese”. A cominciare dalle “convenzioni che regolano le concessioni loro affidate, che sono segrete. O, meglio, sono state rese pubbliche l’anno scorso dopo decenni di polemiche, ma con importanti omissis”.
Cosa ci può essere di così clamoroso – nella gestione di un'autostrada – da richiedere la secretazione pluridecennale e addirittura il rifiuto a renderle integralmente pubbliche anche dopo la rimozione del segreto? Mica stiamo parlando della costruzione di armamenti o congegni di telecomunicazione...
Già solo l’evocazione di una contrattualistica più che opaca tra Stato e imprese concessionarie prefigura un iter (eventuale, ricordiamolo) faticosissimo in cui lo Stato – ricorda sempre Il Sole – “ha scarso potere contrattuale”, per non dire dei fondi necessari a mettere in sicurezza la rete e il fatto che “una revoca ingenererebbe tra gli investitori l’idea che finanziare il settore autostradale italiano non sarà più remunerativo come un tempo, provocando almeno nel lungo termine disimpegni e difficoltà nel reperire nuovi capitali”.
Scrivere questo “a sangue ancora caldo” dà la misura dell’assoluta indifferenza dei “possessori di denaro” anche di fronte alle stragi più grandi. Al punto da lanciare la velata minaccia “non vi faremo più arrivare capitali, se proverete davvero a revocare anche una sola concessione”.
Uno Stato mediamente serio, lo abbiamo scritto, azzererebbe tutta questa cloaca annullando tutte le concessioni, “nazionalizzando” – ossia riprendendo sotto il controllo pubblico – la gestione della rete.
Senza indennizzo e senza pagare alcuna “penale”, ovviamente, come invece minacciano gli avvocati d’ufficio. Questa storia delle “penali” fa ovviamente riferimento alle convenzioni scritte a suo tempo, per cui lo Stato dovrebbe “risarcire” i gestori per i “mancati profitti attesi” da qui alla scadenza legale della concessione stessa.
Non serve un principe del foro per capire che i danni provocati alle casse pubbliche e all’economia nazionale – il crollo di quel ponte mette in crisi per anni i collegamenti e quindi la circolazione di merci e persone – sono certamente superiori alle fantasiose “attese” dei padroni del casello. E dunque anche in una eventuale sede legale sarebbe relativamente facile affermare il principio che, semmai, dovrebbero essere quelle imprese a risarcire – attraverso lo Stato – tutta la popolazione di questo disgraziato paese.
Uno Stato ancora più serio, comunque, si riprenderebbe con un solo atto il controllo di tutte le industrie e i servizi essenziali regalati a una ristretta banda di criminali che nasconde ormai molto male la propria natura sotto una robusta patina di lusso e tonnellate di falsità. Sulle condanne da comminare, la parola spetterebbe ovviamente al popolo.
P.s.
A chi pensa che la nostra proposta è “troppo drastica, consgliamo la lettura del comunicato stampa di Atlantia-Benetton. Soprattutto la frase-chiave: “anche nell’ipotesi di revoca o decadenza della concessione – secondo le norme e procedure nella stessa disciplinate – spetta comunque alla concessionaria il riconoscimento del valore residuo della concessione, dedotte le eventuali penali, se e in quanto applicabili”.
Non esiste crimine più grande della fame di profitto...
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