La tragedia del crollo del ponte Morandi ha riaperto il dibattito sull'opportunità tecnica, politica ed economica di avere affidato, a partire dagli anni Novanta, la gestione di buona parte della nostra rete autostradale a concessionari privati. Secondo alcuni, le ben note criticità di quel processo di «privatizzazione» (trattandosi di una cessione ai privati della sola gestione, non delle infrastrutture) assumono rilievo anche per la sicurezza degli utenti, sempre più minacciata da manufatti bisognosi di manutenzioni straordinarie e rimpiazzi. Si parla dunque in questi giorni di rinazionalizzare la gestione della rete per sottrarre un servizio così delicato e centrale alla sola logica del profitto.
In punto politico, chi scrive si associa pienamente a questo auspicio, anche presumendo il massimo scrupolo e la massima integrità dei concessionari. Come ho argomentato illustrando il caso della distribuzione del gas naturale, il regime di concorrenza va applicato ai mercati di beni e servizi contendibili che non necessitano di regolazione e il cui malfunzionamento non metterebbe in pericolo l'intera collettività, non a quelli assoggettabili al solo monopolio, detti appunto monopoli naturali.
Forzare il mercato in questi ultimi settori equivale in tutto a forzare lo Stato nei settori naturalmente vocati alla concorrenza: è una stalinizzazione al contrario dove, nei fatti, uno o pochi operatori economici privati godono delle prerogative dominanti di uno Stato senza sobbarcarsene la missione sociale e il vincolo di rappresentanza politica, distorcendo in maniera grottesca i principi di un mercato «libero» nel solco di ciò che ho descritto altrove come «socialismo dei ricchi».
I modi per rinazionalizzare un monopolio naturale non sono semplici né scontati, e non possono comunque scindersi da più ampie politiche di spesa pubblica e, ancora più a monte, da una definizione condivisa del confine di competenze e ruoli tra Stato e «mercati». Per portare un contributo concreto alla riflessione sugli aspetti operativi di questa ipotesi, illustrerò nel seguito un caso a noi vicino di rete autostradale interamente gestita dal settore pubblico.
Il caso austriaco
L'ASFiNAG (Autobahnen- und Schnellstraßen-Finanzierungs-Aktiengesellschaft) è una società per azioni fondata nel 1982 e interamente detenuta dalla Repubblica Austriaca, il cui scopo è quello di finanziare, realizzare e gestire le strade a scorrimento veloce (Schnellstraßen) nel territorio austriaco. L'ASFiNAG si finanzia interamente con i pedaggi degli utenti e non gode di finanziamenti pubblici, né versa canoni di concessione allo Stato. Con 2.826 dipendenti, gestisce una rete di 2.223 km e diciotto autostrade, tra cui le storiche A1 lungo la direttrice est-ovest (Vienna-Walserberg, 292 km, la cui prima pietra fu posata nel 1938 da Adolf Hitler) e A2 lungo la direttrice nord-sud (Vienna-Villach, 377 km, interamente completata solo nei primi anni Duemila).
Il sistema dei pedaggi si articola in tre modalità:
- una tariffa flat (Vignette) per automobili e motocicli che consente la circolazione illimitata sull'intera rete apponendo un bollo anonimo sul veicolo. La Vignette costa 9,00 euro per 10 giorni (5,20 per le moto); 26,20 euro per due mesi (13,10 per le moto); 87,30 euro per un anno (34,70 per le moto);
- una tariffa chilometrica (Go-Maut) per i mezzi pesanti (più di 3,5 tonnellate) addebitata all'utente mediante un sistema di portali alle uscite che si collegano a una scatola elettronica nel veicolo (Go-Box). La tariffa applicata varia in funzione degli assi del veicolo, dell'orario di transito (di notte costa di più) e della classe di emissioni:
- un pedaggio speciale (Streckenmaut) applicato ad auto e moto che transitano su manufatti stradali alpini i cui costi straordinari di realizzazione o ampliamento non sono stati ancora ammortizzati. Le tratte a pedaggio speciale sono oggi cinque e il loro costo, per un singolo transito, varia dai 7,50 euro del tunnel dei Karawanken (A 11) agli 11,50 euro dell'autostrada alpina dei monti Tauri (A 10), che supera i 1300 metri di altitudine e attraversa 12 chilometri di montagna con due tunnel. Gli utenti abituali possono acquistare carte annuali forfettarie fortemente scontate (41,00 euro/anno per i pendolari).
Confronto con l'Italia
Confrontare la gestione austriaca con quella italiana, fatto salvo il giudizio politico già espresso, non è semplice. Uno dei motivi è che in Italia il panorama delle gestioni e concessioni autostradali è frammentato ai limiti del caos. Alle venticinque gestioni private che coprono 5.887 km di autostrade e superstrade con contratti di concessione a volte diversissimi nei contenuti e nelle normative di riferimento, vanno aggiunte le gestioni dirette ANAS S.p.A. (954 km) e quelle, più recenti, di società compartecipate da ANAS e Regioni (483 km), che a loro volta agiscono da soggetti concedenti. Anche i pedaggi sono i più disparati: vanno dai 23 centesimi al chilometro (Classe A) della A5 Torino-Aosta-Montebianco o ai 21 centesimi al chilometro della Pedemontana (un fallimento annunciato), alla gratuità delle tratte in gestione ANAS nell'Italia Meridionale. Ci sono poi strade che, pur non classificate come autostrade, lo sono a tutti gli effetti, come ad esempio la Strada Statale 36 del Lago di Como e dello Spluga fino a Colico (94,7 km), sulla quale non si paga pedaggio.
In questa «selva oscura» dove il caso particolare è la norma, tenterò un raffronto con la soluzione austriaca considerando la sola gestione di Autostrade per l'Italia S.p.A., sia in quanto principale operatore italiano (gestisce quasi la metà dei chilometri complessivi in concessione privata), sia perché è il soggetto su cui si sono più concentrate le polemiche di questi giorni. Autostrade per l'Italia è interamente detenuta da Atlantia S.p.A., società quotata in borsa che gestisce autostrade a pedaggio anche in Brasile, Cile, India e Polonia. Il suo socio di maggioranza è la famiglia Benetton. In Italia è concessionaria di trenta tratte tra cui l'A1 Milano-Napoli (759,3 km) e l'A14 Bologna-Taranto (744,1 km), per un totale di 2.857,5 km gestiti e 46.127 milioni di veicoli per chilometro/anno.
Segue un'elaborazione grafica di alcuni indicatori registrati negli ultimi anni disponibili (IT 2016; AT 2017):
Dal confronto in grafica si osserva che la rete italiana qui considerata è mediamente più frequentata - e quindi anche soggetta a usura - di quella del gestore austriaco, che deve «sopportare» un traffico inferiore del 30%.
I ricavi di Autostrade per l'Italia, cioè i costi per gli utenti incluso il canone che il gestore deve versare annualmente ad ANAS (431 milioni di euro), superano del 46% quelli di ASFiNAG su base chilometrica (+25% in rapporto al traffico). La rete italiana risulta quindi più cara. Va anche osservato che la politica di pedaggio adottata dal gestore austriaco distribuisce l'onere in modo da premiare in maniera molto decisa l'utenza «leggera» (auto e moto), trasmettendo così agli automobilisti italiani l'impressione, parzialmente distorta, di una forte convenienza complessiva. Per dare un'idea degli effetti che questa politica avrebbe nel nostro Paese, è come se, con il costo odierno di un solo viaggio di andata e ritorno da Milano a Roma (corrispondente a poco meno del prezzo di una Vignette annuale), si potesse viaggiare illimitatamente per un anno sull'intera rete nazionale... Non stupisce perciò che ASFiNAG compensi ricavando quasi il 70% delle sue entrate dal transito dei mezzi pesanti (1,37 su 2 miliardi di euro), pur incidendo questi ultimi sul traffico complessivo per poco più del 10%.
Se l'impegno economico relativo per nuovi investimenti è sostanzialmente identico, colpisce invece la forte differenza nella spesa per manutenzioni, che nel caso austriaco incide sul fatturato in misura tripla rispetto alla gestione italiana (più del doppio su base chilometrica). Se confermato, è probabilmente questo il dato su cui è più urgente riflettere.
Un'ultima considerazione che richiederebbe approfondimenti più qualificati è suggerita dalla densità di ponti e viadotti che insistono sulle due reti osservate. Nelle autostrade di ASFiNAG risultano in servizio 2,34 manufatti per chilometro: più del decuplo di quelli italiani. Viceversa, nella rete italiana ricorrono con maggior frequenza le gallerie (0,11 vs 0,07 per chilometro). Con l'eccezione delle pianure a est di Vienna (Burgenland), l'Austria è in effetti un Paese a forte prevalenza montuosa. Se tre quinti del suo territorio sono occupati dalle Alpi, anche la fascia subalpina è caratterizzata da colline e rilievi più o meno scoscesi. Per contro, solo il 23% della rete di Autostrade per l'Italia è classificata come «montagna» nelle tabelle ministeriali (il tratto più lungo è quello della A26 Genova Voltri-Gravellona Toce: 102,8 km). Da queste osservazioni si può indurre in prima ipotesi che la rete austriaca sia mediamente più costosa da realizzare e manutenere - come suggerirebbe anche il dato sulla spesa per manutenzioni - senza perciò gravare maggiormente, in comparazione, sull'utenza.
Per corroborare e misurare questa ipotesi sarebbe tuttavia necessario esaminare le perizie a valori standard delle due reti e i relativi piani di manutenzione, ammesso che siano reperibili nel pubblico dominio.
Conclusioni
Dalla comparazione su accennata la gestione austriaca, affidata a una società interamente pubblica (ASFiNAG), appare caratterizzata da costi inferiori per l'utenza e da una diversa politica di distribuzione dell'onere che penalizza il trasporto merci su gomma. A sostanziale parità di investimenti, il dato più interessante riguarda le manutenzioni, per le quali il gestore austriaco spende il triplo del collega italiano in rapporto al fatturato, nonostante la rete del secondo sia usurata da un traffico più intenso. Ciò potrebbe anche spiegarsi con la maggior presenza di manufatti «critici» e costosi (ponti e viadotti) sulle tratte austriache e, più in generale, con l'orografia del Paese alpino, ma occorre in ogni caso registrare che l'onere aggiuntivo non si ribalta sull'utenza (come viceversa accade nelle tratte alpine di altri gestori italiani, ad esempio l'A5 in Piemonte e Valle d'Aosta, o l'A32 in Valle Susa).
Per quel che possono valere stime così semplificate, a parità di variabili una gestione di tipo austriaco sulla rete italiana italiana qui considerata comporterebbe un risparmio da 755 (su base traffico) a 1.108 (su base chilometrica) milioni di euro all'anno per gli utenti e, insieme, un aumento della spesa per manutenzioni da 306 a 383 milioni di euro all'anno (su base ricavi). Se si considera che il risultato operativo ante imposte (EBIT) di Autostrade per l'Italia S.p.A. al lordo del versamento del canone ANAS è stato di 1.641 milioni di euro nel 2016, si possono in parte intuire i motivi di queste differenze.
A necessaria integrazione dell'analisi occorrerebbe infine raffrontare il valore delle reti e degli appalti e, laddove possibile, la loro qualità secondo indicatori standard che riguardino ad esempio asfaltature, illuminazione, verifiche, incidentalità, tempi di intervento, comunicazione all'utenza, tempi di adeguamento alle norme, responsabilità ambientale e altro.
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Il modello pubblico austriaco non è l'unico possibile. Ha certo i pregi della semplicità nell'estendere le stesse politiche gestionali, ottimizzandole, all'intera rete, e della trasparenza nel far sì che un soggetto di scopo si finanzi tassando i propri utenti senza gravare sui bilanci dello Stato e dei suoi enti. Ciò non toglie che un'autostrada pubblica possa sostenersi in tutto o in parte con la fiscalità generale come accade in Germania, Olanda e Belgio (sui cui dettagli mi appello a chi è più esperto di me), o anche in numerosi esempi italiani di «superstrade» e autostrade a gestione ANAS.
I «ritorni» di un'infrastruttura essenziale si misurano nel medio e lungo termine materiale dello sviluppo e immateriale del benessere, essendone i suoi eventuali ricavi uno strumento. L'esempio qui illustrato suggerisce che una gestione senza lucro comporterebbe vantaggi economici e di servizio per la collettività anche nell'immediato.
E la corruzione? E il magna magna? Sono un'invariante.
Fonte
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