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19/11/2018

Gilets gialli in Francia: radiografia della collera

Lo scorso mercoledì Emmanuel Macron ha fatto una dichiarazione con cui è difficile dissentire: “non sono riuscito a riconciliare il popolo francese con i suoi dirigenti”.

A diciotto mesi dalla sue elezione, questa constatazione ha assunto – dopo le mobilitazioni di sabato 17 novembre, promosse dal composito e proteiforme movimento dei “gillets jaunes” – una evidenza empirica incontestabile, confermando i sondaggi d’opinione che hanno registrato un costante calo di consensi nei confronti del leader di En Marche!, soprattutto a partire dallo scoppio dell’Affarie Benalla durante l’estate.

Queste ultime settimane erano state programmate per avviare un rilancio dell’immagine dell’esecutivo, dal recente rimpasto governativo in poi, nel tentativo di costruire la narrazione di una governance più attenta alle collettività territoriali e più incline all’ascolto dei bisogni popolari. Il viaggio a tappe serrate lungo i luoghi di confine teatro degli scontri bellici della Prima Guerra Mondiale – che sono tra l’altro i territori più colpiti dalla de-industrializzazione – aveva proprio questo fine.

Il discorso commemorativo solenne tenuto di fronte agli altri capi di Stato sulla Grande Guerra, alla fine di questa “itinérance” in cui aveva ribadito il ruolo geo-politico centrale della UE e della NATO, doveva riaccreditarlo come statista di grande livello, massimo esponente del popolo francese in grado di raccogliere il testimone come maggior rappresentante dell’“europeismo” in vista della ormai prossima uscita di scena di Angela Merkel; e dopo che La Republique en Marche (LREM) si era allineato al gruppo dei liberal-democatici europei (ALDE) a Madrid, appena una settimana prima, decidendo la propria collocazione all’interno dell’arco di forze in vista delle elezioni europee del maggio prossimo.

Infine, le numerose interviste autocritiche dovevano tendere a mitigare quell’“ostilità” radicata “nei rimproveri che i francesi fanno al presidente”. Critiche che innanzitutto sono dovute a due fattori: “arroganza e il fatto che non ascolti [...]. più che la critica al ‘presidente dei ricchi’, che non è più in testa” alle rilevazioni, come ha dichiarato a “Le Monde” Bernard Sananes, presidente dell’istituto di sondaggi Elabe.

Ma il “mea culpa di Macron”, come l’ha definito “Le Monde” in un articolo dello scorso venerdì, da cui abbiamo tratto la citazione, e le misure “tampone” tese a disinnescare la protesa annunciate dall’esecutivo, sono servite veramente a poco.

Ancora meno sono servite le “minacce repressive” fatte dal governo, quando ha ribadito che “l’ostacolo alla circolazione” è un reato penale punibile con due anni di carcere, 4.500 euro di multa, con la penalizzazione di sei punti sulla patente e l’eventuale sequestro del mezzo.

Il movimento dei gillet gialli è sintomo di una frattura tra la Francia dei piccoli centri abitati e delle zone rurali con l’establishment.

Negli ultimi anni le fasce medio-basse della popolazione hanno lasciato i grandi agglomerati urbani, a causa di una speculazione edilizia che li ha spinti in zone dove l’automobile è l’unico mezzo di spostamento possibile, e dove si è costretti ad una media di 60 kilometri al giorno per il tragitto casa-lavoro-casa. Questa Francia rurale e dei piccoli centri abitativi ha conosciuto un impoverimento complessivo dei servizi (ospedali, uffici postali, tribunali, ecc.), la desertificazione del piccolo commercio di prossimità, oltre al depauperamento del sistema del trasporto pubblico.

Inoltre le fasce di classi lavoratrici, a causa del “non ritorno” in termini di servizi erogati, hanno cominciato a percepire le tasse come un fardello.

I contribuenti – spiega Alexis Spire, direttore del CNRS, che a settembre ha pubblicato un libro d’inchiesta sul rapporto tra i francesi e le imposte – nella fascia bassa della scala sociale non vedono più la contropartita di ciò che pagano.

Vista la drastica diminuzione dei servizi, prosegue il ricercatore citato da “Le Monde”, in un articolo uscito sabato scorso: “la contropartita dell’imposta non è più tangibile. Hanno l’impressione che siano prelevate per permettere alle élite politiche di intrattenere una vita sontuosa.”

In questo contesto l’innalzamento delle accise sul carburante diesel previsto dal primo gennaio – sei centesimi al litro e tre per la benzina – è servito da detonante per un movimento nato su Facebook, che secondo i sondaggi ha trovato tre francesi su quattro favorevoli, prima dei blocchi, senza che nessun corpo intermedio l’appoggiasse – al di là della partecipazione dei singoli aderenti – e il sostegno di tutte le forze politiche dell’opposizione sia di destra che di sinistra (ad esclusione dei verdi).

L’aumento, va detto, colpisce di più, in proporzione, le fasce a basso reddito, costrette a ricorrere all’auto per gli spostamenti quotidiani.

Questa sorta di austerity “ecologica”, tesa a colpire i singoli cittadini che spesso non hanno altra scelta per la propria mobilità, e non i veri responsabili dell’inquinamento, ha catalizzato il risentimento di fasce ampie di popolazione che, nella discussione sul possibile ampliamento di una ipotetica piattaforma rivendicativa non formalizzata, hanno suggerito la modifica di alcune misure sociali: l’innalzamento del salario minimo intercategoriale, la gratuità dei trasporti, o la soppressione del 1,7% di incremento della contribution social généralisé (CSG) sulle pensioni.

Gli incontri organizzativi, che avevano come strumento di comunicazione Messenger, si sono svolti nei parcheggi dei centri commerciali che costellano la Francia profonda, spesso con una netta sproporzione tra la partecipazione effettiva e l’interesse suscitato sui socials, che però dà la cifra del consenso.

Al blocco di Parigi, prima della riunione preparatoria, circa 50.000 persone hanno annunciato che avrebbero partecipato, e circa 200.000 si sono detti interessati.

Come ricorda Erik Neveu, professore all’istituto politico di Rennes: il primo partito delle classi popolari, è l’astensione. Dunque il sentimento che dietro la mobilitazione non ci sia né un movimento politico, né un movimento sindacale, li rassicura e facilita la loro partecipazione.

E in effetti, al di là del maldestro tentativo della destra, anche quelle estrema, di strumentalizzare la mobilitazione, e l’appoggio della France Insoumise, che si è concretizzato non solo nelle numerose dichiarazioni del suo leader ma non nella partecipazione diretta dei suoi aderenti, la mobilitazione si è auto-rappresentata come un “movimento cittadino” allergico alle forze politiche.

Le varie “operazioni lumaca” sparse su tutto il territorio dell’Esagono, sono state l’ennesimo effetto boomerang per un governo che ha azzerato il “dialogo sociale”, marginalizzando il ruolo dei corpi intermedi sindacali, ridotti a soggetti non più chiamati a discutere con l’esecutivo le sue scelte; Macron si è ritrovato con una mobilitazione che non aveva dei portavoce, né una piattaforma ufficiale, né un piano d’azione stimabile e quindi in qualche misura contenibile attraverso precise misure di “ordine pubblico”.

Lo spauracchio della repressione paventato martedì ai microfoni di BFM-TV dal ministro dell’Interno Christophe Castaner, secondo cui “il blocco totale” non sarebbe stato tollerato e che “ovunque ci sarà un blocco e dunque, un rischio per gli interventi di natura securitaria e per la libera circolazione, noi interverremo”, non ha certo intimorito la protesta ma, forse, ha scaldato maggiormente gli animi.

Il palese tentativo di falsare il numero dei blocchi e minimizzare la partecipazione alla protesta, compiuto il giorno stesso della mobilitazione, e l’atteggiamento di totale chiusura teso a proseguire per la propria strada da parte del governo, nonché le dichiarazioni di membri dell’establishment, non fanno che ampliare un solco già profondo tra la popolazione e l’attuale classe dirigente, e concorrere alla messa in crisi della “macronismo”, che non riesce a trovare il modo di rilanciarsi; e dire che non sono certo mancati i tentativi messi in campo... Un insuccesso che alimenta tra l’altro le paure delle oligarchie europee circa questo sempre più fragile esponente dei propri interessi a livello continentale.

Quello “spazio immenso e vuoto” che il filosofo Alexis Tocqueville descriveva nella sua opera sull’Ancien Régime e la Rivoluzione, fustigando i regimi centralizzati tendenti a distruggere tutti i corpi intermedi, è stato riempito da un magma sociale composito che, pur se non riesce a trovare una sintesi organica delle proprie aspirazioni, esprime comunque una crisi di legittimità delle élites politiche, agisce al di fuori della sfera diretta di influenza dei corpi intermedi, catalizza una rabbia che trova nello strumento del “blocco” una modalità per incidere sulla realtà, appoggiandosi ad un consenso che va oltre quello dei protagonisti diretti di queste pratiche.

Nei giorni che seguiranno sapremo quale sarà l’output politico di questa mobilitazione e cosa sedimenterà nella coscienza dei suoi protagonisti, in una battaglia aperta tra i vari soggetti che riusciranno a tradurre meglio questa collera, orientandola in una direzione invece che in un’altra.

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