I “marxisti talmudisti” (quelli che, invece di studiare il mondo contemporaneo usando le categorie marxiane, si trastullano con l’esegesi degli antichi testi) vedono il capitale come se fosse un intero organico, dotato di volontà unitaria, piani d’azione, intelligenza progettuale. Nel mondo reale, invece, ci sono capitali in lotta fra loro – ed anche “insiemi di capitali” – per la supremazia globale, la massima concentrazione, la massima valorizzazione. Ossia per la sopravvivenza.
Accade perciò che per capire quel che accade sia spesso più utile leggere la stampa economica specializzata, in grado di cogliere – per mestiere, abitudine, conoscenza – il significato strategico di alcuni avvenimenti.
L’arresto in Giappone di Carlos Ghosn, amministratore delegato di Renault-Nissan, ha messo a nudo la falda tettonica che si va aprendo tra economie asiatiche ed europee, sotto la pressione di interessi divergenti nel medio periodo e dei dazi americani sul breve.
Vi proponiamo qui, dunque, come altre volte abbiamo fatto, l’editoriale di Guido Salerno Aletta apparso oggi su Milano Finanza, che spiega con dovizia di dettagli movimenti e interessi geopolitico-economici in gioco dietro quello che altrimenti sembrerebbe un banale arresto per “interesse individuale in atti societari”. Paradossalmente, potremmo dire, la “via giudiziaria al cambio di regime” – adottata fin qui soprattutto dagli Stati Uniti contro i governi progressisti dell’America Latina – viene ora usata anche nelle relazioni tra gruppi di capita listi in competizione globale.
Ma è un dettaglio formale, che non cambia la realtà di uno scontro inter-imperialista dove solo qualche anno fa regnava la pax globalista. E il “pensiero unico”...
Pensiamo sia proprio ora che anche nel campo antimperialista se ne prenda atto.
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Renault-Nissan. Nazionalismo economico, nessuno scagli la prima pietra
L’arresto in Giappone dell’amministratore delegato del Gruppo Renault-Nissan, Carlos Ghosn, accusato di frode fiscale per aver occultato parte dei suoi redditi, ha suscitato preoccupazioni e interrogativi, con pesanti perdite del titolo in Borsa. E’ una alleanza zoppa: il partner nipponico che inizialmente era il partner debole, ora contribuisce per una quota del 60% al fatturato complessivo.
A Parigi la notizia ha suscitato particolare scalpore. Alcuni analisti vi hanno letto una sorta di “colpo di Stato interno”, mosso dalla componente nipponica ai danni di quella francese. La questione ha riflessi politici particolarmente rilevanti per via della consistente presenza pubblica nel capitale di Renault: nel 2015 è addirittura aumentata “provvisoriamente” del 4,7% al fine di contrastare eventuali scalate ostili e di usufruire della possibilità di aumentare i diritti di voto, esercitando il pieno controllo della società.
Lo Stato francese è arrivato così al 19,07% delle azioni di Renault ed al 23,3% dei diritti di voto, una quota assai superiore al 15% detenuto da Nissan. Di suo, poi, la Renault possiede il 43% delle azioni di Nissan: si invertono così, sul piano dei rapporti proprietari, i risultati in termini di fatturato. Praticamente, è come se Nissan fosse una partecipata pubblica francese. Della alleanza su basi paritarie, come è nell’azionariato della Renault-Nissan BV di diritto olandese detenuta dai due partner al 50%, e su cui si fondò l’accordo di collaborazione strategica risalente al 1999, rimane ben poco.
A livello politico francese c’è il timore che si tratti una manovra nipponica che prelude ad un divorzio, così come è considerato indiscutibile il desiderio di indipendenza del partner giapponese.
Il Ministro dell’economia Bruno Le Maire ha inizialmente temporeggiato di fronte alle richieste di immediate dimissioni di Ghosn: ha cambiato idea nel tardo pomeriggio di ieri, dopo un lancio di agenzia che dava notizie di ulteriori prove a carico del manager francese che sarebbero state raccolte dagli investigatori di Nissan, stavolta collegate alla gestione delle finanze della società mista di diritto olandese. Le Maire si è così unito alla generale richiesta di coloro che hanno immediatamente ritenuto che la sua permanenza al vertice della società fosse di grave nocumento alla stessa, non solo in termini di forte incertezza nella guida aziendale.
Da un punto di vista prospettico, ci sono due aspetti da considerare: lo sviluppo del mercato cinese, molto più promettente rispetto a quello europeo; la spada di Damocle delle sanzioni americane sule auto europee. In tutti e due i casi, il partner nipponico ha interesse ad avere le mani libere, sia per sviluppare una propria strategia in Cina, sia per non trovarsi invischiato nel conflitto tra Unione europea ed Usa. Anche questa vicenda segna un progressivo deterioramento delle relazioni economiche globali: da una parte, mette a nudo l’irritazione per gli squilibri che contraddicono gli accordi che avrebbero dovuto garantire una parità tra i partner; dall’altra il desiderio di sviluppare strategie autonome, basate su interessi nazionali.
In fondo, però è proprio chi oggi sostiene la necessità di mantenere aperti i mercati, e che si dichiara nettamente ostile alle politiche tariffarie americane, ad aver usato per primo in questi anni i poteri pubblici per difendere le proprie aziende da scalate ostili dall’estero e ad aver varato norme che consentono di moltiplicare artificiosamente i propri diritti di voto. Nessuno, in questi conflitti economici, è senza colpe.
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