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18/11/2018

Salvini l’Africano. Figuracce in linea con la tradizione “itagliana”

Il giornalismo italiano è messo davvero male. Specialmente quello che si dedica a seguire le vicende della misera “classe politica” arrivata al potere. Non è una vena polemica, ma una semplice constatazione fatta sul modo in cui lavorano i notisti politici: stanno attaccati ai tweet o ai post Facebook di Tizio e Caio, e imbastiscono “pezzi” che cuciono insieme brevi messaggi contrapposti o concordanti, magari inframezzati con le “reazioni” (altri post o tweet) delle cosiddette “opposizioni”.

Inevitabile, così, che finiscano con l’essere pura cassa di risonanza della propaganda governativa, anche quando soggettivamente vorrebbero essere “critici”.

Se manca l’oggetto – la notizia, il contenuto, i fatti – ci si riduce a giocare con le frasi altrui.

Per capire come funziona il gioco della comunicazione politicista bisogna andare fuori dalle grandi testate mainstream – carta stampata e tv – e leggere chi produce informazione a ridosso dei problemi, lontano da Montecitorio e Palazzo Chigi.

Si fanno scoperte interessanti. Facciamo un esempio: il ducesco ministro dell’interno ha annunciato qualche giorno fa che sarebbe andato in Africa a stringere accordi con alcuni paesi di provenienza dei migranti che giungono in Italia. “Grande successo”, recitavano i suoi tweet; “risultati positivi”, hanno chiosato anche i suoi più tonitruanti critici mainstream.

Nemmeno uno che si sia messo a dare un’occhiata ai media africani, specificamente quelli dei paesi “visitati” dal frettoloso Salvini, per verificare se quel “successo” fosse reale.

Per saperlo, siamo andati a vedere cosa ne dicevano – se non altro – i missionari italiani da quelle parti, che qualche nozione dei problemi esistenti in loco (povertà, guerre, dittature, colonialismo, epidemie, ecc.) dovrebbero averla. E abbiamo trovato questa cronaca scritta per Nigrizia (la comunità dei missionari comboniani), da cui si capisce che in Africa Salvini ha fatto un buco nella sabbia, scappando anche velocemente, in piena continuità con l’immagine tutt’altro che esaltante del colonialismo straccione “itagliano”.

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Chissà se lo stratega della tensione comunicativa sarà pronto, pure stavolta, a rispondere agli interrogativi, semplici, che Nigrizia sta per porgli.

Matteo Salvini è volato il 5 e 6 novembre in Ghana per una missione lampo. Ignorata dai più, la missione aveva lo scopo, secondo l’esponente della Lega, di firmare un «accordo col governo per controllare l’immigrazione e garantire un futuro di studio e lavoro a quei ragazzi, ma nel loro paese». L’annuncio in un tweet. Ad Accra il ministro pro tempore ha incontrato il suo omologo ghaneano Ambrose Dery e il presidente del paese Nana Akufo-Addo, il quale ha smentito gli entusiastici commenti di Salvini sull’esito del viaggio. Il principale quotidiano locale, Ghanaians times, ha titolato il giorno dopo l’incontro: “Il presidente furioso per il trattamento inumano dei migranti africani”. E nelle pagine interne sono riportate le sue frasi dure contro Salvini: «Non ci si dovrebbe nascondere dietro il pretesto di combattere le migrazioni irregolari per commettere abusi sui migranti irregolari».

Ma il viaggio di Salvini si è rivelato stravagante per un altro aspetto. Si è infatti recato nel paese africano che meno esporta migranti e che risulta tra i più stabili dell’Africa. È la seconda economia della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (Cedeao). Dal 2010 è considerato un paese a medio reddito.

I ghaneani in Italia, come ci ricorda Marco Scarpati in un suo post su Facebook, «sono, complessivamente, poco meno di 49mila. E la loro presenza è sostanzialmente stabile, se è vero che nel 2010 erano 47mila. Rappresentano lo 0,97% sul totale dei migranti. Compiono pochi crimini e sono ottimi lavoratori, in gran parte impegnati soprattutto nelle fabbriche del nord Italia. Pochissimi gli irregolari».

Domanda: per quale ragione il “ruspante” ministro ha scelto per la sua propaganda, attraverso la fanfara dei social, il paese sbagliato? Nessuno gliel’ha fatto notare? È stato un caso? Oppure, un paese africano vale l’altro per il suo pulpito propagandistico?

Ma è un altro l’interrogativo che più ci preme sottoporre a Salvini: il suo viaggio ha previsto una tappa a Cape Coast o a Elmina? Certamente avrà almeno sentito parlare di questi due luoghi della memoria che si affacciano sull’oceano, a un centinaio di km da Accra. Cape Coast è stato il più importante centro per la tratta degli schiavi di tutta l’Africa occidentale. Un luogo simbolo, tutelato dall’Unesco. Nella sua fortezza i prigionieri, a milioni, vi venivano esposti ed i compratori sceglievano all’asta i pezzi migliori: solo le donne e gli uomini più sani e forti.

Sono decine in Africa le “porte del non ritorno”. Il Ghana è forse il paese che ne possiede la più alta concentrazione. Tutto il Golfo di Guinea, ovvero la costa compresa tra il delta del Niger e il Ghana, venne ribattezzato Costa degli Schiavi, e la catena di forti e castelli che si estende lungo il suo litorale costituisce uno straordinario documento storico.

A 15 km da Cape Coast, poi, si trova la cittadina portuale di Elmina. Nelle sue prigioni sotterranee venivano ammassati fino a 300 prigionieri, mani e piedi in catene, immersi nei loro escrementi, trattenuti per mesi prima di essere imbarcati come schiavi. Chi moriva di malattie, fame e sete veniva gettato in mare. A chi tentava la fuga venivano mozzate le orecchie per essere poi rinchiuso nella cella della morte.

Immagini che sembrano rubate ai lager libici di oggi, dove sono ammassati i corpi di centinaia di migliaia di migranti. Corpi, non persone.

Il primo viaggio di Barack Obama in Africa, il 10-11 luglio 2009, fu proprio a Cape Coast, omaggio alla sua storia e a luoghi dove si sono rattrappiti i valori occidentali.

Salvini, lei che si mostra un politico così ossessivamente appassionato al tema dei migranti e di persone in fuga, ha sentito la necessità di visitare, nel suo blitz ghaneano, quelle stanze in cui le speranze morivano ancor prima di nascere?

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