E’ inutile stare a sofisticare nel mentre di una mobilitazione
popolare contro un governo liberista. Ciò che sta avvenendo in Francia
non è altro che il portato di uno scontro più generale tra
euro-liberismo e pezzi di popolo impoverito e incattivito. E’ una
protesta carsica e ormai strutturale, che di volta in volta prende le
sembianze più progressive o più retrive, a seconda dei contesti, del
caso, della capacità dei soggetti politici e sociali di rappresentarle.
Ma dietro le forme, le contingenze casuali, la sostanza è la medesima:
non è lotta di (una) classe, sono lotte di popolo, essenza sociale da
cui il “populismo” trae legittimità politica e forza elettorale. Possono
trovare rappresentazione in Tsipras o Le Pen, Salvini o Iglesias,
Mélenchon e Corbyn o Trump e Di Maio: il cuore è altrove. Chi si ferma
alle etichette, alle verniciature giornalistiche, concentrerà la propria
attenzione sui rappresentanti di turno: Salvini rappresenta “gli
italiani fascisti”, mentre Melenchon “i proletari francesi”. E
continuerà a non capire nulla di un mondo in trasformazione, anzi, già
completamente trasformato senza che la sinistra se ne sia accorta.
Se l’euro-liberismo è il problema, tutto ciò che contribuisce a
combatterlo è una risorsa. Anche qui, bisogna intendersi: non è una
risorsa Salvini (i Salvini di tutta Europa), ma quel popolo che si trova
ad essere rappresentato anche da Salvini. A patto, ovviamente, di non
innamorarsene. A patto di conservare un giudizio di classe sui fenomeni
sociali. C’è molto dei “forconi” in questa ribellione francese contro
l’aumento della benzina. Non potrebbe essere altrimenti, in una protesta
anti-tasse. L’unica differenza è che quel tipo di borghesia in Francia è
molto più estesa numericamente e storicamente molto più combattiva. Di
conseguenza, le macchiette italiane in Francia si trasformano in
problema sociale effettivo. Una sinistra di classe degna di questa
funzione non può che stare dentro una mobilitazione del genere,
sostenerla, provare a orientarla, perdendo inevitabilmente molti pezzi e
provando a organizzare quel che ne rimane. Chi non sta con i gilet jaunes sta
con Macron e, si, con la borghesia intellettuale parigina: questione di
gusti (di classe). Non c’è una terza via, un’alternativa a questo.
Lambiccare sui “né, né” non ha mai portato bene alle sinistre, non
funziona in politica. A patto, come detto, di non partire per la
tangente. L’errore di chi si entusiasma troppo in
conflittualità di questo tipo è quello di procedere subito con
l’ingegneria sociale, teorizzando modelli politici ricalcati su fenomeni
sociali surdeterminati. Ma eccoci a sofisticare. Come detto, al tempo
della lotta alla Ue tutta la società che si trova da questa parte della
barricata (molto ideale, non ci sono barricate materiali nell’immediato
futuro) è parte della nostra lotta. Non c’è nessuna alleanza sociale
soggettiva da rappresentare. C’è, al contrario, una obiettiva convergenza
di interessi contro qualcosa. Ecco, questa avversità non sarà
molto, ma è tutto quel che abbiamo in questo momento. C’è molta Vandea
in proteste di questo tipo, ma non c’è alcun governo rivoluzionario da
difendere. L’alternativa è la borghesia intellettuale delle ztl.
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