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07/11/2018

La “locomotiva d’Europa” a cent’anni dalla rivoluzione di novembre

In questi giorni, oltre a celebrare i 101 anni della Rivoluzione d’Ottobre, si ricorda anche il centenario della sfortunata insurrezione dei marinai, degli operai, dei soldati tedeschi, che Karl Liebknecht chiamava a seguire la strada aperta un anno prima dai bolscevichi russi. A cento anni da quell’insurrezione che sconvolse gran parte della Germania, oggi, poco meno di un quinto della popolazione tedesca, pari a 15,5 milioni di persone, è colpito da “povertà o esclusione sociale”.

Ne scriveva nei giorni scorsi Junge Welt, sulla base delle cifre ufficiali fornite dall’indagine EU-SILC su scala europea. Pur se leggermente diminuito rispetto ai 16 milioni del 2016, scrive l’ex organo della gioventù comunista della DDR, “ciò significa che il decantato “boom” economico non cambia la povertà consolidata”.

La media per l’intera UE è del 22,5%, vale a dire, qualcosa come 115 milioni di persone rientrano ufficialmente in una delle tre situazioni: reddito inferiore alla soglia considerata ufficialmente “a rischio povertà”, cioè meno del 60% del reddito medio; famiglia colpita da “significative privazioni materiali”; nucleo familiare con “forza lavoro molto bassa”, cioè, con occupazione ridotta. Dunque, nel 2017 il 16,1% della popolazione tedesca (oltre 13 milioni di persone) era “a rischio” povertà; l’8,7% delle persone al di sotto dei 60 anni viveva in famiglie in cui meno del 20% dei membri lavorano; significative privazioni materiali (non in grado di pagare affitto, bollette o riscaldamento) colpivano il 3,4% della popolazione. La media europea per le stesse voci era rispettivamente del 16,9%, 9,3% e 6,9%. Secondo Die Linke, il problema “non potrà esser risolto con semplici politiche simboliche”, ma soltanto con “significativi aumenti salariali nei lavori meno retribuiti”.

Da diversi anni infatti non cessa di crescere il numero di persone con salari minimi o ridotti, occupate in condizioni precarie nei mini-job, a tempo determinato; mancano del tutto opportunità di lavoro per i disoccupati di lunga durata; diminuiscono le pensioni e aumenta il costo della vita.

A inizio 2018, un dipendente su cinque era occupato in un mini-job e la percentuale di dipendenti poco o male retribuiti era del 23%. Dal 2003, la quota di mini-job è cresciuta del 35%. Sempre più persone dipendono da un secondo lavoro; uno su 12 tra i dipendenti assicurati è occupato in lavoretti part-time a bassissima paga: quasi un milione più di 10 anni fa, dice Susanne Ferschl, vicepresidente del gruppo Die Linke al Bundestag. Il numero di pensionati occupati in mini-job è raddoppiato dal 2003: a inizio 2018, quasi un milione di pensionati lavorava in un mini-job (+27% negli ultimi sei anni). Gli occupati con livelli marginali di retribuzione hanno per la maggior parte una qualifica professionale (51%) o addirittura accademica (7,6%). Nel 2014 la retribuzione oraria di tali mini lavori rappresentava circa il 55% della retribuzione lorda media: 9,40 euro (9,58 a ovest e 7,66 nei Land della ex DDR) contro 16,97 (17,46 a ovest e 13,80 a est). “Il numero di mini-job sta crescendo e va a sostituire i posti di lavoro regolari” dice ancora Susanne Ferschl. “Gli occupati in mini-job, spesso con istruzione superiore, non sono in grado di vivere con lo stipendio e dipendono dal sostegno statale: in questo modo, lo stato sovvenziona le imprese, che risparmiano sui salari. Sempre più pensionati e dipendenti si affidano a lavoretti supplementari, dunque il problema è: la povertà nonostante il lavoro!”.

Direttamente legato a tale situazione è il crescente numero di senzatetto, che Maria Jordan, su Neues Deutschland valuta tra 6.000 e 10.000 nella sola Berlino. Come un po’ dappertutto, anche qui a occuparsi dei senzatetto sono le organizzazioni religiose, Caritas, chiese evangeliche, o Croce rossa, che distribuiscono sacchi a pelo e indumenti invernali e offrono ospitalità anche nei centri diurni, insieme al Berliner Kältehilfe, che mette a disposizione posti letto al coperto. Il fatto è, nota però la Jordan, che quando “l’inverno finisce, ci si scorda di nuovo dei senzatetto, i giornali smettono di parlarne, l’assistenza si ferma. E questo è un errore. Perché anche in primavera, estate e autunno la gente muore per strada”, perché la miseria rimane.

Secondo le stime del “BAG W” (Bundesarbeitsgemeinschaft Wohnungslosenhilfe: Gruppo di lavoro federale per l’aiuto ai senzacasa) nel 2016, in tutta la Germania c’erano 860.000 senzatetto, con un aumento del 150% rispetto al 2014. Le stime per l’intero 2018 parlano circa 1,2 milioni di senzatetto, numero in cui sono compresi anche i rifugiati privi di alloggio. Nel 2016, il numero di senzatetto (esclusi i rifugiati) era di poco superiore a 420.000 e il 12% (circa 50.000 persone) erano cittadini UE.

“L’immigrazione ha drammaticamente acutizzato la situazione” dice il direttore di BAG W, Thomas Specht, “ma non è affatto l’unica causa della nuova ondata di carenza di alloggi”. Tra le cause principali, Specht indica “una politica abitativa da decenni fallimentare; un’insufficiente offerta di alloggi a prezzi accessibili e la costante diminuzione di alloggi sociali (-60% rispetto al 1990)”. Inoltre, municipalità, governi di Land e governo federale hanno venduto ai privati gli immobili pubblici”. Ancora, c’è un deficit di “almeno 11 milioni di piccoli appartamenti” e ciò ha portato un aumento inverosimile “dei canoni di locazione, soprattutto nelle aree metropolitane”.

Ovviamente, nella Germania che 100 anni fa i marinai di Kiel e gli operai di Berlino tentarono di rovesciare, c’è l’altra faccia dell’edificio: pari pari come nella Russia eltsiniana di oggi. Secondo isw-muenchen.de, 45 super-ricchi possiedono ora tanto quanto la metà più povera di tutti i tedeschi.

Ancora tre anni fa, meno di cinquanta famiglie detenevano un patrimonio superiore a quello di oltre 20 milioni di famiglie (il 50% inferiore della popolazione) che possiedono solo il 2,3% della “ricchezza” totale, pari a 214 miliardi di euro, mentre al 70% più povero va “ben” l’11,7%. Secondo la rivista Bilanz, in Germania ci sarebbero oggi 195 miliardari (170 nel 2016), il cui patrimonio, sommato a quello dei 1.000 tedeschi più ricchi supera 1 trilione di euro. L‘Istituto DIW, stima che al 5% più ricco vada il 51% di tutti patrimoni; il 10% ne detiene il 63,8%; l’1% possiede il 31,1% della ricchezza e allo 0,1% va il 17,4% del totale: in tutto, 1.650 miliardi di euro.

In base ai dati del Global Wealth Report del Credit Suisse Research Institute, la Germania è al 4° posto nel mondo per ricchezza complessiva, ma al 19° in termini di ricchezza per adulto (144.770 dollari), dietro all’Italia. La disparità di ricchezza, secondo “l’indice Gini”, è considerata “modesta” rispetto alla media mondiale; resta il fatto che il 41% degli adulti dispone di meno di 10.000 dollari; il 21,6%, da 10 a 100.000 dollari; il 34,5% da 100.000 a 1 milione e il 3,2% supera il milione. Pur se nella classifica mondiale di Forbes il tedesco più ricco occupa solo il 27° posto, i patrimoni miliardari, che erano meno di 70 nel 2001, sono triplicati una quindicina di anni dopo.

Niente di nuovo sotto il cielo del capitale.

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