La giornata di mobilitazione di Non una di Meno è alle porte ed ha il grande merito di mettere in luce alcuni tratti dell’imbarbarimento sociale prodotto dalla governance della crisi.
Il ddl Pillon, su cui non entriamo nel merito perché in molti ne hanno già sottolineato il carattere classista e reazionario, rappresenta il tassello più recente di un attacco ideologico al rispetto delle situazioni di fragilità, volto a irregimentare sempre più la società secondo una logica marziale che, al posto di esaltare la solidarietà tra le parti sociali in favore di quelle più svantaggiate, stigmatizza le difficoltà e colpevolizza chi nel suo percorso personale incontra situazioni che richiedono soluzioni possibili solo tramite l’intervento di una articolata organizzazione sociale.
La volontà manifestata da sempre più forze politiche è quella di smantellare l’idea che lo Stato possa essere fonte di supporto per alleviare le differenze economiche e per garantire l’uguaglianza sostanziale facendosi promotore di uno sviluppo non escludente.
Il funzionamento degli ingranaggi sociali, affidato sempre più alla regolamentazione del mercato, ha portato forze politiche come la Lega o singoli personaggi come gli ultimi ministri dell’Interno a teorizzare definitivamente il ruolo di uno Stato arbitro certificatore dell’esistente, dal quale al massimo può venire voglia di sottrarsi sperando di cavarsela da sé, piuttosto che vedergli regolamentare ufficialmente i propri svantaggi.
La regressione del modello sociale proposto è evidente: con i rubinetti della spesa pubblica chiusi in ossequioso rispetto della presupposta stabilità delle finanze statali, con i margini della redistribuzione sociale sempre più stretti in tempi di acceso scontro tra i monopoli capitalistici, con la lotta di classe dall’alto conclamatasi e alla quale non corrisponde una capacità di risposta adeguata da parte dei settori del lavoro e popolari, all’apparato amministrativo non resta che concentrarsi sul mantenimento dell’ordine e dedicarsi alla garanzia della repressione dei comportamenti devianti.
E il disegno deve essere percepito da tutta la cittadinanza: percependo l’oppressione di una cupola che preme sempre di più, tutti comprenderanno che l’unica guerra possibile è quella che si può rivolgere contro il proprio simile per spartirsi le briciole. L’ordoliberismo profuma sempre più di ‘800. Ed ecco di conseguenza che da un lato abbiamo la continua strumentalizzazione del corpo delle donne per alimentare guerra tra poveri e politiche securitarie (basti pensare ai casi più emblematici di Macerata e San Lorenzo a Roma) o il depotenziamento effettivo e progressivo del diritto all’aborto che passa dall’altissimo tasso di medici obiettori di coscienza fino alle mozioni comunali che vorrebbero mettere in discussione la 194.
Dall’altro lo smantellamento generale dei diritti sociali che sulle lavoratrici e magari migranti, si abbatte con un carico anche maggiore: dalla crescente dismissione del welfare in nome del risanamento del debito alla condizione di precarietà e ricattabilità del mondo del lavoro.
L’attacco che questo governo ha portato avanti negli ultimi mesi è complessivo e di stampo reazionario, securitario, liberticida, razzista, xenofobo che vede mettere in campo provvedimenti concreti contro chi produce conflitto sociale, contro i migranti, contro i poveri, contro le donne, contro gli spazi di aggregazione ma che comprende anche le dichiarazioni di Salvini contro la legge Basaglia e quelle del ministro Fontana al momento del suo insediamento o il recente decreto sulle armi. Un attacco a tutto tondo a un modello di società che sia anche vagamente democratico o progressista che si inserisce in una deriva autoritaria complessiva a livello europeo.
Ma i responsabili del radicamento di un movimento reazionario di massa sono quei partiti che da un lato si sono incaricati di gestire le politiche di massacro sociale imposte dall’Unione Europea (che hanno creato l’humus del malcontento sociale) e dall’altro hanno cercato nella sponsorizzazione di soggetti xenofobi e neo-fascisti un’arma fondamentale per potersi presentare come baluardo della democrazia e della stabilità.
Ed è anche contro questi soggetti che bisogna attrezzarsi affinché le giuste rivendicazioni di un movimento popolare non vengano strumentalizzate o assimilate e annacquate in salsa liberale.
L’uguaglianza formale non esiste senza uguaglianza sostanziale ed è per questo che la battaglia per i diritti delle donne chiama in causa la lotta per i diritti sociali, la lotta contro un modello economico basato sulla precarietà e lo sfruttamento.
Se l’attacco è complessivo, allora la sfida che abbiamo di fronte riguarda tutti, richiede sia di individuare i nemici sia di mettere in campo un’idea complessiva di società che si opponga a quella dominante che ci viene imposta, nei suoi caratteri più o meno esplicitamente reazionari.
Rete dei Comunisti
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