Consigli di viaggio. Se vi capita di andare a Budapest, meravigliosa città imperiale, decaduta e fané, oggi ostaggio delle truppe di Orban, ma sempre un posto straordinario, prendetevi qualche ora per visitare lo Statue Park (qualche chilometro a sud della città). Lì – brutta periferia industriale – tra il 1989 e il 1990 vennero deportate decine di statue che abbellivano (?) il centro di Budapest, statue in onore del realismo socialista, immensi catafalchi in bronzo che gli ungheresi, almeno dalla repressione del 1956, odiavano ferocemente come emblemi dell’oppressione sovietica. All’ingresso del parco, vedrete due immensi stivali: erano quelli di Stalin e della sua gigantesca statua che sorgeva un tempo nel centro di Budapest e che venne abbattuta tra grida, funi, e feste di popolo, proprio nel ’56. Ecco: sono rimasti gli stivali, che è quello che tutti si augurano dei tiranni.
Mi scuso per la deriva Tripadvisor che ha preso questa rubrichina, ma il fatto è che qualche giorno fa, a Bristol (Gran Bretagna) i manifestanti antirazzisti hanno abbattuto e buttato nel fiume (plop!) la statua di Edward Colston, responsabile della deportazione (traduco: rastrellamento, rapimento e vendita) di 800.000 schiavi alla fine del 1600. Il sindaco della città di Bristol ha in qualche modo approvato (è nero di origini giamaicane), e anche la scritta comparsa a Londra sotto il monumento a Churchill (“Era un razzista”) non è proprio campata per aria (chiedere agli indiani).
L’argomento è controverso ma facilmente riassumibile: bisogna prendere a picconate il passato, i suoi simboli, le celebrazioni monumentali di infami ingiustizie? Tutto il mondo applaudì convinto all’abbattimento della statua di Saddam a Baghdad, per esempio, e nessuno ebbe nulla da dire quando si fece saltare la svastica in cima ai principali edifici tedeschi dopo il ‘45. Strabiliante invece che al Foro Italico in Roma campeggi ancora, sul grande obelisco bianco, la scritta “Mussolini”.
Potremmo cavarcela così: lasciamo questa faccenda agli storici e alle folle incazzate. Nessuno pretende di abbattere le piramidi perché furono costruite a frustate dagli schiavi, ma qualche opera di decenza distruttiva, converrebbe tenercela cara, e magari imitarla.
Per fare un esempio da cui si potrebbe cominciare subito, meriterebbe qualche candelotto ben piazzato il mausoleo del generale Graziani, che sorge ad Affile dal 2012, per iniziativa del sindaco Ercole Viri (tutt’ora in carica nonostante le condanne per apologia di fascismo). Il mausoleo è un orribile manufatto, brutto architettonicamente e ripugnante per quel che rappresenta. Sopra c’è scritto “Patria e onore”, dove l’onore del generale Graziani è noto: un boia senza pari, che usava armi chimiche, che aveva per soprannome “macellaio del Fezzan”, che si macchiò di efferati crimini di guerra prima da viceré d’Etiopia e poi da comandante delle forze armate della Repubblica di Salò. Per dirla con linguaggio accademico, un vero pezzo di merda o, se preferite gli eufemismi, un assassino della peggior specie.
Il monumento, dunque, non è a Graziani, ma alla vergogna di uno Stato (l’Italia) capace di celebrare i peggiori delinquenti, e non in antica epoca storica, ma ai giorni d’oggi. Ecco. Ad Affile non c’è il fiume, e il monumento a Graziani non potrà fare la fine subacquea della statua dello schiavista Colston, peccato. Ma a tutto c’è un rimedio e, dal piccone alla dinamite, c’è anche la tecnologia per porre fine a una vergogna nazionale.
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