Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

21/07/2020

CoronaShock e Socialismo: Cuba

Pubblichiamo in quattro parti la traduzione integrale dello studio apparso sul “Tricontinental” che prende in esame organicamente la risposta che i governi di Cuba, Vietnam, Venezuela e lo Stato del Kerala, in India hanno dato alla pandemia.

La crisi pandemica e le sue differenti modalità di gestione hanno posto nuovamente, con una inequivocabile evidenza, l’antitesi tra il mondo capitalista e le società socialiste, riproponendo l’alternativa tra socialismo o barbarie come una opzione secca per l’umanità di fronte alle conseguenze di un disastroso modello di sviluppo.

Riemerge insomma con forza la contraddizione principale tra una civiltà progressiva ed una regressiva, che sembrava seppellita con la fine del mondo bipolare successiva all’implosione dell’Unione Sovietica e che non può essere rinchiusa dentro una mera contraddizione geopolitica (USA vs CINA), né in una visione che isoli gli elementi comuni di risposte convergenti.

Una scelta, quella tra socialismo e barbarie, che stava già a monte della crisi epidemica, considerando come il virus sia il prodotto degli sconvolgimenti ambientali complessivi di un modo di sviluppo diventato egemone – ed ora in crisi – con la mondializzazione neo-liberista: il virus e la sua diffusione può essere considerato come “grado più alto” della contraddizione ecologica.

Le differenti strategie di gestione del Covid-19 sono il prodotto dei presupposti – economici e sociali – di diversi sistemi-Paese ed il risultato della loro storia pregressa.

I campioni riconosciuti del neo-liberismo stanno uscendo con le ossa rotte dallo stress pandemico, sia per quanto riguarda l’incapacità anche solo di “contenere” la trasmissione del virus e la sua letalità – cioè la sua gestione sanitaria – sia per ciò che concerne l’impossibilità di gestirne l’effetto a cascata in tutte le sfere sociali, minando la possibilità di porre le basi per una qualsiasi ripresa della normalità.

La formula adottata da USA e Gran Bretagna sembra quella di “assuefarsi alla catastrofe”, con una politica dai risvolti quasi eugenetici, con precise connotazioni di classe e di razza: solo gli elementi meno vulnerabili del corpo sociale hanno qualche chance di salvarsi a livello sanitario, e tra gli elementi più vulnerabili che sopravvivono le speranze di svolgere una vita dignitosa sono ridotte al lumicino: disoccupazione di massa, mancanza di un alloggio, malnutrizione, sono ormai la condizione oggettiva di una “umanità in eccesso”, sia negli Stati Uniti sia in altri templi del neoliberismo.

Questo è un limite che si trasforma in una inferiorità strategica evidente, all'interno dell’accresciuta competizione globale, per Paesi in cui i rapporti di produzione diventano a tutti gli effetti un limite allo sviluppo delle forze produttive.

Tale contraddizione è ad un livello di sviluppo così elevato da condurre alcuni processi degenerativi sulla soglia del punto di non ritorno.

La crisi sistemica era pre-esistente alla pandemia (si parlava apertamente di “stagnazione secolare”), e quest’ultima è conseguenza della prima e non il contrario; ne è una acceleratrice, come ogni fenomeno “non previsto” che ha caratterizzato l’ultimo secolo della Storia dell’umanità.

Questa finestra storica ha messo in evidenza alcuni dati pertinenti ai Paesi Socialisti, o guidati da partiti comunisti.

Citiamole come vengono riportate nello studio: azioni governative basate su presupposti scientifici (potremmo dire “l’uso marxista della scienza” invece di un approccio anti-scientifico), produzione dei beni necessari da parte dei settori pubblici (la pianificazione della produzione che asseconda i bisogni della popolazione e non le esigenze del profitto), la mobilitazione dell’azione pubblica per facilitare la vita sociale (l’azione collettiva rispetto al ripiegamento individualistico), l'internazionalismo (la solidarietà internazionale al posto del “ognun per sé e dio per tutti”).

Questi successi empiricamente fondati, pongono nuovamente il socialismo fuori dagli aneliti utopici o, peggio ancora, da visioni nostalgiche. Lo ripropongono invece come una forza materiale che si può affermare in un periodo in cui l’implosione del modello “neo-liberista” porterà, probabilmente, ad inedite esplosioni sociali (si vedano gli “imprevedibili” Usa di questi mesi) alternate alla palude di rapporti sociali stagnanti e “insopportabili”.

La ricerca di un'alternativa credibile e di un bisogno di rappresentanza adeguato, da parte di porzioni ancora minoritarie delle classi subalterne – all’oggi e nel breve/medio periodo, almeno nel nostro Paese – deve essere colta come un dato che può cambiare l’ordine attuale.

Senza questo tipo di prospettiva socialista come “profondità strategica”, sarà difficile invertire l’offensiva di classe che accerchia “i nostri” da più direzioni e forzare l’orizzonte.

I comunisti sono chiamati anche a questo.

Buona lettura.

*****

Il termine “shock da Coronavirus” si riferisce a come il Covid-19 ha stravolto il mondo con una forza abnorme; si riferisce a come l’ordine sociale dello stato borghese si è frantumato, mentre l’ordine sociale nei paesi socialisti è apparso più resiliente.
Friedrich Engels una volta ha scritto: La società borghese si trova davanti a un dilemma, o progresso verso il socialismo o regresso nella barbarie. Che cosa significa regresso nella barbarie, al grado ora raggiunto dalla nostra civiltà europea? Finora tutti noi abbiamo letto e ripetuto senza pensarci queste parole, senza sospettare la loro terribile gravità. Uno sguardo intorno a noi in questo momento ci dimostra che cosa significa un regresso della società borghese nella barbarie.

Questa guerra mondiale – ecco il regresso nella barbarie. Il trionfo dell’imperialismo porta all’annientamento della civiltà – sporadicamente per la durata di una guerra moderna e definitivamente se il periodo ora appena iniziato delle guerre mondiali dovesse continuare indisturbato il suo corso alle estreme conseguenze.

Noi ci troviamo oggi dunque, proprio come Engels aveva presagito una generazione addietro, 40 anni fa, davanti alla scelta o il trionfo dell’imperialismo e il crollo di tutta la civiltà come nell’antica Roma, spopolamento distruzione, degenerazione, un grande cimitero, oppure la vittoria del socialismo, cioè dell’azione cosciente di lotta del proletariato internazionale contro l’imperialismo ed il suo metodo: la guerra.

Questo è il dilemma della storia mondiale, un’alternativa, in cui i piatti della bilancia oscillano tremando davanti alla decisione del proletariato cosciente. Il futuro della civiltà e dell’umanità dipende dal fatto che il proletariato sappia, con decisione, gettare la sua spada rivoluzionaria sulla bilancia. In questa guerra l’imperialismo ha vinto.

La sua spada insanguinata dall’eccidio dei popoli ha fatto precipitare col suo peso brutale il piatto della bilancia nella desolazione e nella vergogna. Tutta la desolazione e tutta la vergogna possono essere controbilanciati soltanto se noi dalla guerra e nella Guerra impariamo come il proletariato può redimersi da ruolo di un servo nelle mani delle classi dominanti a quello di padrone del proprio destino.

Rosa Luxemburg, La Crisi della socialdemocrazia, 1915.1
Verso la fine di dicembre 2019, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Wuhan, nella provincia della Cina centrale, ha scoperto dei casi di polmonite di origine sconosciuta. Nei primi giorni del gennaio 2020, le autorità cinesi hanno regolarmente informato l’organizzazione mondiale della sanità (OMS), così come nazioni e regioni con stretti legami con l’interno della Cina, come Hong Kong, Macao e Taiwan sull’epidemia.

Il 5 gennaio, l’OMS ha rilasciato il suo primo comunicato su “una polmonite di origine sconosciuta” a Wuhan. Si sapeva poco del virus, neppure come studiarlo propriamente e neppure se vi fosse trasmissione umana. La sequenza del genoma del nuovo coronavirus (SARS-Cov-2) è stata pubblicata dal Global Initiative on Sharing All Influenza Data (GISAID) il 12 gennaio.

Il Dr. Zhong Nanshan, un importante pneumologo cinese che ha consigliato il governo cinese sulla pandemia, ha confermato la trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus il 20 gennaio.

Appena è stato chiaro che il virus poteva essere trasmesso fra uomini, le autorità cinesi hanno agito. Wuhan, una città di 11 milioni di abitanti, è stata chiusa, la comunità scientifica in Cina – e i suoi collaboratori nel mondo – hanno iniziato a lavorare per comprendere il virus e la malattia (COVID-19), in fretta è stato addestrato il personale medico in Cina per cercare di rompere la sequela di contagi.

Dentro Wuhan, i comitati di quartiere, che includono membri di un arco di associazioni, i quadri del Partito Comunista, e volontari di ogni tipo si sono impegnati per dare una mano provando la temperatura, distribuendo cibo e medicine e assistendo i malati negli ospedali.

Dopo 10 settimane in lockdown, Wuhan ha riaperto l’8 Aprile. Il 15 maggio le autorità hanno iniziato a testare tutti i residenti di Wuhan di nuovo, per proteggere la salute pubblica e per far ripartire le attività economiche e sociali (la Cina ha condiviso i risultati di questi test per aiutare gli studi sulla fattibilità della teoria dell’“immunità di gregge”).

Il 30 gennaio, il direttore generale dell’OMS il dottor. Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato che l’epidemia costituiva una Emergenza di Sanità Pubblica di rilievo internazionale (PHEIC). Dal quartier generale di Ginevra, l’OMS ha diramato una allerta in cui si leggeva: è stato rilevato un virus altamente contagioso che richiede stringenti misure di test, distanza fisica e profonda sanificazione.

A questo punto, all’indomani del 20 gennaio, si è aperta una voragine fra gli stati capitalisti e le nazioni socialiste. Le nostre analisi mostrano quattro aree principali di differenziazione fra l’approccio socialista e quello capitalista al virus. L’approccio socialista è fondato su:

- azioni governative basate su presupposti scientifici;

- produzione da parte dei settori pubblici dei beni necessari;

- mobilitazione dell’azione pubblica per facilitare la vita sociale;

- internazionalismo.

Negli stati capitalisti (per esempio gli Stati Uniti, il Brasile e l’India), i governi hanno invece operato in una maniera allucinante, facendo finta che il virus non fosse né reale, né contagioso, e “sperando” che qualche fattore esterno proteggesse i cittadini dal pericolo. Le aziende del settore privato non sono riuscite a fornire i dispositivi necessari, mentre l’azione pubblica è stata difficile da approntare perché divisa in società atomizzate, che non hanno l’abitudine all’organizzazione e alla lotta.

Infine, per coprire la propria incompetenza, la classe politica che governa questi stati ha riportato in auge la stigmatizzazione e lo sciovinismo, usando – in questo caso – la combinazione letale di razzismo e anticomunismo per accusare la Cina.

In questo articolo, osserveremo tre nazioni (Cuba, il Venezuela e il Vietnam) e uno Stato (il Kerala in India) per capire come queste parti socialiste del mondo sono state in grado di controllare il virus più efficacemente.

Cuba

Il 17 gennaio i media cubani riferivano di una misteriosa polmonite in Cina che, a quel punto, aveva ucciso due persone e ne aveva infettate quarantuno.

Quando arrivarono ulteriori informazioni sul nuovo coronavirus, il governo iniziò a diffondere i rapporti dell’OMS. I media cubani hanno fornito una copertura completa delle decisioni prese in Cina per attuare il lockdown e altre misure atte ad arginare la diffusione del contagio. Il 28 febbraio Miguel Díaz-Canel Bermúdez, presidente di Cuba, ha parlato al telefono con Xi Jinping; durante la chiamata, Díaz-Canel ha espresso il fermo sostegno e la solidarietà del popolo cubano, del suo governo e del Partito comunista con la Cina in lotta contro il virus.

Cuba si è offerta di sostenere e assistere in ogni modo possibile il popolo cinese. BioCubaFarma, una società del settore pubblico, ha aumentato la sua produzione di Interferone Alpha 2B e, dal 24 febbraio, ne ha fornito alla Cina oltre 150.000 fiale a doppia dose.

Il 28 gennaio il Dr. José Ángel Portal Miranda, capo del Ministero della sanità (MINSAP), ha convocato una riunione a livello nazionale per discutere delle misure da adottare per combattere il coronavirus. La vigilanza medica doveva essere la priorità, motivo per cui il governo ha creato un comitato di lavoro nazionale (NWG), per le decisioni operative.

Il ministero, contestualmente, ha iniziato a formare tutto il personale sanitario pubblico – oltre 95.000 medici e 84.000 infermieri – per la diagnosi e la cura dei casi di COVID. Una campagna pubblica ha sensibilizzato la popolazione sulla necessità di una maggiore igiene e sui possibili sintomi della malattia. I media hanno condiviso queste informazioni, così come diverse organizzazioni come la Federazione delle donne cubane (FMC), i Comitati per la difesa della rivoluzione (CDR) e la Federazione degli studenti universitari (FEU).

Il dottor Francisco Durán García, direttore nazionale del centro epidemiologico del MINSAP, ha rilasciato la prima dichiarazione ufficiale quello stesso giorno, spiegando che l’amministrazione aveva steso un piano “simile a quello sviluppato per l’epidemia di Ebola”. Il dott. Carmelo Trujillo Machado, capo nazionale del Programma internazionale di controllo sanitario del MINSAP, ha informato che ai confini del paese sarebbero stati presenti dei funzionari incaricati di controllare tutti i viaggiatori in arrivo per qualsiasi sintomo noto di COVID.

Il comitato di lavoro nazionale ha autorizzato l’acquisto immediato di dispositivi di protezione individuali, attrezzature mediche e agenti reattivi; la produzione di trenta prodotti medici critici è diventata una priorità. È stata data particolare enfasi alla ricerca e allo sviluppo di possibili vaccini e trattamenti antivirali da condividere con la Cina.

Ad aprile, il Centro per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (CIGB) ha avviato i primi studi clinici su un vaccino che potrebbe rafforzare il sistema immunitario. Il dott. Gerardo E. Guillén Nieto, direttore della ricerca biomedica presso il Centro per l’innovazione biotecnologica Cina-Cuba (CCBJIC) di Hunan, Cina, ha dichiarato che il suo team stava testando il sistema immunitario innato per capire se potesse essere attivato con un farmaco e se, una volta attivato, avrebbe potuto produrre un’immunità specifica contro il virus. Non esistono ancora vaccini specifici per questa malattia, ma Cuba, dice, “ha dei prodotti che potrebbero fare la differenza”.

Il 10 marzo, quattro turisti arrivati ​​dalla Lombardia hanno mostrato i sintomi del COVID. Quando sono risultati positivi al test, sono stati trasferiti all’Istituto di medicina tropicale Pedro Kouri (IPK), che ha una lunga storia di lotta contro le epidemie. L’IPK, insieme agli ospedali regionali di Santa Clara e Santiago de Cuba, è stato designato come sito primario per il test di pazienti sospettati di avere il COVID. Ognuno di questi ospedali ha la capacità di testare 1.000 pazienti al giorno. Il governo ha deciso di sottoporre tutti i viaggiatori che arrivano a Cuba a quattordici giorni di osservazione medica.

Il 17 marzo, 28.000 studenti da tredici università mediche di Cuba hanno aderito a una campagna per effettuare delle visite mediche in ogni casa del paese. Gli studenti hanno visitato l’intera popolazione, alla ricerca dei sintomi del virus e, se ne trovavano, indirizzavano il paziente al medico di famiglia della sua comunità. Il medico avrebbe quindi deciso se sottoporre o meno la persona al test.

Nel giro di una settimana sono stati visitati 6 milioni di cubani, metà della popolazione dell’isola. Entro il 26 aprile circa 40.000 persone erano state testate per COVID. Nella provincia di Villa Clara, gli studenti hanno visitato 250.000 persone, portando alla rilevazione di 2.687 casi con sintomi respiratori, tra cui cinque potenziali casi COVID, molto probabilmente risultati positivi.

Anche migliaia di studenti di medicina stranieri, con borse di studio fornite da Cuba, hanno aderito a questa campagna. Ishaira Nieto Rosas, una studentessa del terzo anno di Porto Rico, ha affermato che per gli studenti stranieri queste visite sono state volontarie, ma “in questi momenti ti rendi conto che il nostro lavoro è molto importante e che la popolazione ne è consapevole. Non importa a quante porte dobbiamo bussare o quante volte dobbiamo gridare ‘buongiorno!’. Lo facciamo perché il paese ha bisogno di noi e lo facciamo con grande orgoglio”.

Il 20 marzo, il presidente Díaz-Canel, insieme a sette membri del Consiglio dei ministri di Cuba, ha fatto un discorso alla popolazione a reti unificate per riferire sui passi fatti a quel momento e per delineare le ulteriori misure da adottare. “Abbiamo la responsabilità di proteggere la vita umana e l’intero tessuto sociale”, ha affermato, “con serenità, realismo e obiettività. Non ci può essere né panico né superficialità”. Cuba ha risposto al virus adottando un approccio basato su evidenze scientifiche. A quella data, 21 persone erano risultate positive al test per il COVID e altre 716 erano sotto osservazione negli ospedali.

Il governo ha presentato in quell’occasione diverse misure:

1. I cittadini cubani rientrati dall’estero sarebbero stati sottoposti a una quarantena di quattordici giorni.

2. Sessantamila turisti avrebbero lasciato il paese; l’ingresso dei viaggiatori sarebbe stato fortemente contingentato con pesanti conseguenze per il turismo, una delle principali fonti di entrate per Cuba.

3. Distanziamento fisico obbligatorio.

4. Le persone vulnerabili al virus e quelle non impiegate in settori chiave avrebbero dovuto auto-mettersi in quarantena a casa.

5. Il Ministero del commercio interno avrebbe sospeso tutte le attività pubbliche. I negozi di alimentari e i mercati degli agricoltori sarebbero stati tenuti in funzione solo sottostando alle più rigorose normative sanitarie. I ristoranti avrebbero potuto rimanere aperti ma solo al 50% della capacità.

6. Il ministro del Lavoro e della previdenza sociale Marta Elena Feitó Cabrera ha dichiarato che “nessuno verrà lasciato indietro” e che sarebbero state attuate tutte le misure necessarie per garantirlo. I pagamenti delle tasse per i lavoratori autonomi del settore privato sarebbero stati sospesi. Per il primo mese di quarantena, i lavoratori licenziati avrebbero ricevuto il 100% dei propri stipendi; successivamente, il 60%. I lavoratori del settore privato avrebbero ricevuto l’equivalente del salario minimo nazionale.

7. Per scongiurare l’eventualità di ammanchi di cibo, le autorità cubane avrebbero ampliato l’attuale sistema di razionamento al fine di garantire a ciascuna famiglia un equo accesso al cibo e alle forniture igienico-sanitarie di base durante la pandemia.

Queste carte offrono un cestino alimentare di base che include olio da cucina, zucchero, riso e fagioli, che è stato ampliato per includere uova, patate, verdure, un chilo di pollo in più a persona e sapone, dentifricio e candeggina extra. Nonostante le limitazioni, le carte razione sono state utilizzate in 12.767 negozi di quartiere e hanno sostenuto 3.809.000 famiglie.

Entro il 6 aprile, il numero di pazienti attestati COVID è salito a 396, con 1.752 ricoverati in ospedale. Il governo ha annunciato ulteriori misure basate sul piano nazionale. Queste includevano la sospensione di tutte le attività economiche non essenziali, il divieto di somministrazione nei ristoranti (sarebbero stati consentiti solo l’asporto e le consegne), lo stop ai trasporti pubblici urbani e il rinvio dei pagamenti di acqua, elettricità e gas.

La colonna portante della risposta cubana al COVID, come in altri paesi socialisti, è l’azione pubblica. I comitati per la difesa della rivoluzione (CDR), fondati nel 1960 sotto la minaccia di una possibile invasione americana, contano circa 8 milioni di membri (su una popolazione di 11,34 milioni). Sono organizzati quartiere per quartiere e mobilitano le persone per aiutare i più vulnerabili della comunità, per partecipare a campagne sanitarie e per fornire cibo e riparo durante la stagione degli uragani.

Nella città orientale di Santiago de Cuba, i membri del CDR come Juana Guerra, docente universitaria e membro della Federazione delle donne cubane, hanno realizzato più di 16.000 mascherine. I membri della Federazione degli studenti universitari operano come volontari in diverse città, aiutando a pulire e cucinare nei centri di isolamento, consegnando forniture alle famiglie in quarantena e cooperando nella preparazione del cibo per il personale medico e le famiglie vulnerabili. Ispirandosi alle battaglie del passato, molti studenti affermano con orgoglio che il COVID è diventato la loro Baia dei Porci(#EsteEsMiGiron).

È l’internazionalismo il cuore della rivoluzione cubana.

Nel 2005 Cuba ha fondato la Brigata medica internazionale Henry Reeve per fornire assistenza sanitaria d’emergenza in tutto il mondo; da allora ha inviato venticinque contingenti all’estero, aiutando 3,5 milioni di persone in ventitré paesi. Questa brigata è ora al centro della lotta contro il COVID, e risponde alle richieste di operatori sanitari cubani nei paesi di tutto il mondo. Il 15 marzo il primo contingente di 130 epidemiologi e altri specialisti è partito per il Venezuela.

Da allora, altri trentatré contingenti composti da 3.337 operatori sanitari hanno raggiunto 27 paesi in Europa, Africa e America Latina (i contingenti vanno da due medici a Grenada a 217 operatori sanitari in Sudafrica). Molti di questi paesi hanno subito pressioni da parte del governo degli Stati Uniti per negare l’aiuto di Cuba.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha addirittura accusato l’isola di trarre profitto dalla pandemia. Il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez Parrilla ha risposto alla campagna diffamatoria degli Stati Uniti sostenendo che il Segretario di Stato americano “Non ha nessun diritto di esercitare pressioni sui governi sovrani affinché privino la loro nazione di cure mediche”.

Mentre il mondo entrava in shock pandemico, la nave da crociera britannica MS Braemar è rimasta bloccata nei Caraibi con a bordo 682 passeggeri, di cui cinque con il COVID, alla disperata ricerca di un porto in cui attraccare. Mentre altri paesi hanno rifiutato l’attracco, Cuba – assumendosi un grave rischio – ha aperto le sue porte e organizzato lo sbarco e il rimpatrio dei passeggeri, affermando che “Questi tempi richiedono solidarietà, accettazione della salute come diritto umano e rafforzamento della cooperazione internazionale, al fine di affrontare le sfide comuni. Vale a dire, i valori inerenti alla pratica umanistica della Rivoluzione cubana e delle persone.

Il sistema rivoluzionario di Cuba ha dato all’isola la forza e la capacità di sopravvivere a blocchi e pandemie, integrando lavoratori, contadini, scienziati, organizzazioni di massa e sistemi di protezione civile con un partito e un governo che pone la vita umana al centro della sua attenzione.

*****

Questo è il terzo in una serie di studi in più parti sullo shock da coronavirus. Si basa sulle ricerche di Ana Maldonado (Frente Francisco de Miranda, Venezuela), Manolo de los Santos (ricercatore di Tricontinental: Institute for Social Research), Subin Dennis (ricercatore di Tricontinental: Institute for Social Research) e Vijay Prashad (direttore di Tricontinental: Institute for Social Research).

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento