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19/07/2020

Conte e lo stato di emergenza

Lascio ai filosofi discettare sulle assonanze tra lo ‘stato di emergenza’ istituito in Italia con i decreti del Presidente del Consiglio e lo ‘stato di eccezione’ teorizzato da Carl Schmitt, così come lascio ai politologi il compito di interpretare la volontà di accentramento del potere dell’avv. Conte con il ‘perpetuo e incessante desiderio di potere dopo potere, che cessa solo con la morte’, di cui parla Hobbes nel suo Leviathan.

Qui interessa soprattutto mettere in rilievo come il Presidente Conte abbia, ricorrendo sempre ad annunci stampa, evocato la prosecuzione dello stato di emergenza, che secondo la Delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio, dovrebbe terminare il prossimo 31 luglio.

C’è chi sostiene la legittimità dell’uso di una Delibera del Consiglio dei ministri per proclamare lo stato di emergenza in base al Codice della Protezione civile (d.lgs. 1/2018) – Massimo Luciani per esempio – chi, come Sabino Cassese, ne ha contestato la legittimità perché essa, così come con i successivi DPCM, ha tagliato fuori il Parlamento, e dunque l’organo legislativo non ha potuto incidere sulle deliberazione delle misure per contrastare l’epidemia COVID-19.

Se teniamo sempre a mente che queste misure hanno inciso sui diritti fondamentali dei cittadini, ci rendiamo conto che l’esclusione del Parlamento dalle deliberazioni ha significato che il Presidente del Consiglio ha accentrato su di sé poteri che nessun organo della Repubblica può avere.

Chi bilancia il diritto alla salute con i diritti di mobilità, o con la libertà di manifestazione oppure con la libertà di culto? Se ciò avviene con provvedimenti quali i DPCM, di fatto, si sottrae, non solo al Parlamento, ma al Presidente della Repubblica e, di fatto, agli organi giurisdizionali la possibilità di prendere parte al processo di bilanciamento dei valori in gioco.

Sia chiaro: io sono – con l’USB e con il sindacalismo di base, con i Comitati contro l’autonomia differenziata e con quelli che si battono per la salvaguardia della scuola pubblica, con Medicina democratica – perché la salute e la vita dei/delle lavoratori/trici e dei/delle cittadini/e siano preservati e perché le misure preventive contro la diffusione del COVID-19 siano messe al primo posto.

Ma allora come spiegare che al picco della pandemia siano state tenute aperte le fabbriche di interesse strategico nazionale, come le filiere delle armi, o quelle metalmeccaniche a Brescia e a Bergamo, e perché nelle aziende agricole e della logistica non sono stati garantiti i livelli di protezione necessari per salvaguardare la salute dei lavoratori?

Come spiegare, nonostante i vari Commissari, la mancanza di strumenti protettivi per gli operatori sanitari? Perché il Protocollo sottoscritto il 14 marzo da CGIL-CISL-UIL e dalle associazioni padronali, con l’assenso del governo, ha lasciato mano libera agli imprenditori nella riorganizzazione dei processi produttivi, provocando nuovi focolai, come è successo a Bologna proprio in un’azienda della logistica?

A colpire non è solo l’asimmetria tra riapertura indiscriminata delle aziende dell’industria e dei servizi, e misure per disciplinare e comprimere i diritti di manifestazione e di sciopero; sì, anche degli scioperi, con gli interventi della Commissione di garanzia per impedire e sanzionare le iniziative degli operatori del pubblico impiego e della sanità, chiamati a svolgere lavori più gravosi del normale, come negli ospedali o nelle scuole, e sottoposti a misure limitative della loro agibilità sindacale e politica.

Ciò che oggi più preoccupa è l’intenzione del governo Conte II di prolungare lo stato di emergenza sempre ricorrendo al DPCM.

Che occorra continuare a praticare tutte le azioni di prevenzione contro il COVID-19, è fuori da ogni dubbio, anzi andrebbero moltiplicate ed estese, però ciò che interessa al governo è avere strumenti di compressione del conflitto sociale, non di tutela della salute dei cittadini, che viene strumentalizzata solo per contenere la loro rabbia per le lacune dei provvedimenti presi dal governo sulla cassa integrazione, sui vuoti di protezione dei settori sociali più fragili, sulle deroghe nei contratti a termine, sull’assenza di volontà di difendere i livelli dell’occupazione – continua invece l’uso dei contratti atipici, non si è voluta una sanatoria generalizzata dei lavoratori migranti, e soprattutto si propone, al di là della retorica del green deal, di perpetuare il modello di economia fondato sulle catene del valore transnazionali legate al mercato unico europeo.

Qui risiede la ragione della volontà del Presidente Conte di avere in mano uno strumento per gestire in autunno l’ordine pubblico, come la ministra Lamorgese chiama il conflitto sociale.

Questo è ciò che preoccupa il governo: come fronteggiare i movimenti sociali e sindacali che sorgeranno per contestare le non-misure del governo.

Si pensi al settore dei servizi, alla scuola, alle produzioni delle aziende legate alle esportazioni, che vorranno recuperare se non aumentare i livelli produttivi; si pensi alla sanità, dove non esiste un piano di riorganizzazione che le faccia fare un salto di qualità, si pensi al peggioramento della vita di chi sarà senza lavoro e di chi è già ora in condizioni di povertà. Ebbene non ci sarà settore sociale che non avrà difficoltà a sopravvivere e dunque vorrà far sentire la propria voce.

È questa voce che il governo vuol soffocare, e, per impedirle di farsi udire, il governo vorrà usare gli strumenti dello stato di emergenza.

Certo, ora qualche esponente politico ha chiesto che il governo si presenti almeno in Parlamento, anche questa volta però il Presidente Conte ha ribadito che comunque verrà adottato un DPCM e che il Parlamento potrà al più votare una risoluzione.

Con i provvedimenti normativi adottati durante il COVID-19 – DCPM e decreti-legge approvati con la fiducia – è continuato il processo di accentramento dei poteri da parte del governo, forma specifica con cui si manifesta in Italia l’autoritarismo sempre più necessario per comprimere i conflitti e le dinamiche sociali.

La difesa della democrazia contro le élite politiche e la lotta per la trasformazione sociale, per spezzare i vincoli e il dominio delle forze capitalistiche, vanno di pari passo, e solo dalle mobilitazioni sociali potranno scaturire movimenti per ‘democratizzare’ la democrazia e trasformare le relazioni economico-sociali.

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