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17/07/2020

Nilo - Il sogno etiope diventa l'incubo egiziano


di Michele Giorgio – il Manifesto

La tv di stato etiope ieri si è scusata: un malinteso, ha spiegato, è all’origine dell’annuncio (due giorni fa) dell’avvio unilaterale del riempimento del bacino Gerd, la Diga etiope del Gran Rinascimento sul Nilo Azzurro. E il ministro delle risorse idriche, dell’irrigazione e dell’energia Sileshi Bekele ha ribadito che la via del negoziato con Egitto e Sudan resta fondamentale per risolvere le divergenze tra i tre paesi. Addis Abeba getta acqua sul fuoco, vuole placare la rabbia di egiziani e sudanesi già forte dopo gli ulteriori colloqui trilaterali privi di esito. Riempire la diga senza un accordo, ha avvertito il ministro degli esteri egiziano, Sameh Shoukry, «aumenterebbe le tensioni e potrebbe provocare crisi e conflitti che destabilizzano ulteriormente una regione già in difficoltà».

Un giro di parole per dire che il Cairo non esclude una guerra pur di difendere il suo accesso all’acqua del Nilo. Khartoum preferisce la diplomazia ma è schierata con l’Egitto, a maggior ragione dopo la caduta di Omar al Bashir che ha posto il Sudan nell’orbita di Arabia Saudita ed Emirati arabi, alleati del Cairo. Ma il fronte comune Egitto-Sudan non ha prodotto risultati. Addis Abeba, forte anche della protezione silenziosa di un alleato potente, Israele, ha continuato per la sua strada mentre resta impalpabile la mediazione dell’Unione africana. E a gettare un’ombra sulla sincerità delle rassicurazioni degli etiopi ci sono le recenti immagini satellitari che mostrano un incremento dell’acqua nel bacino della Gerd.

Nel 2011, approfittando delle fasi caotiche seguite alla rivoluzione anti-Mubarak in Egitto, l’Etiopia annunciò che avrebbe costruito sul Nilo, non lontano dal confine con il Sudan, la più grande diga dell’Africa – copre un’area di 1700 kmq ed è costata quasi 5 miliardi di dollari, ai lavori ha partecipato anche il gruppo industriale italiano Salini Impregilo – cruciale per il proprio sviluppo economico e per le forniture di elettricità a decine di milioni di cittadini. La Gerd aggiungerà 6500 megawatt di energia ai circa 4000 disponibili al momento e farà dell’Etiopia un paese esportatore di energia. Invece per gli egiziani, che hanno sollecitato invano pressioni statunitensi su Addis Abeba, la diga è un incubo. Il Nilo è l’Egitto, lo pensano i vertici del potere e i semplici cittadini. Da millenni, dai Faraoni ai nostri giorni. E hanno un po’ ragione a pensarlo visto che nell’immaginario globale e nelle scuole di ogni parte del mondo, quel fiume che scorre da sud verso nord, è visto come la salvezza e la ricchezza dell’Egitto, paese quasi tutto desertico dove in un anno cadono mediamente 18 mm di pioggia (848 in Etiopia) e dove 100 milioni di esseri umani vivono in appena il 7% del territorio, lungo le rive del Nilo e nel fertile Delta. L’impero coloniale britannico aveva riconosciuto il sigillo egiziano sul Nilo. E così è stato con gli accordi del 1959 che assegnarono all’Egitto 55,5 miliardi di metri cubi d’acqua (al Sudan 18,5). Una quota all’epoca enorme ma oggi insufficiente. Ne servono 80 per dissetare la popolazione egiziana e garantire livelli adeguati di produzione agricola. Le intese del 2015 tra Egitto, Sudan ed Etiopia non hanno risolto nulla.

Mai come ora appare ridimensionato il progetto nasseriano della diga di Aswan che rese celebre l’Egitto nel mondo. Il Nilo non è più solo egiziano. Appartiene a una decina di paesi che, in misura e modi diversi, hanno bisogno delle sue acque. E alcuni di questi, Etiopia in testa, ora fanno valere la loro forza e quella delle loro alleanze. Per il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi la Gerd è una sfida eccezionale, che minaccia la stabilità del suo potere fondato sulla repressione di ogni voce dissidente e l’odio diffuso per i Fratelli musulmani. El Sisi ha promesso che «nessun egiziano soffrirà la sete». Le previsioni scientifiche non lo rassicurano. La trattativa con l’Etiopia ruota intorno ai tempi di riempimento della diga. Addis Abeba ha fretta, vorrebbe farlo in due anni. Egitto e Sudan respingono totalmente questa idea. I calcoli fatti da esperti intervistati dalla tv satellitare al Jazeera dicono che se la Gerd sarà riempita in dieci anni, l’Egitto perderà il 14% dell’acqua e il 18% dei terreni coltivabili. Se il riempimento avverrà in sette anni perderà rispettivamente il 22% e 33%.

Se il riempimento avverrà in cinque anni sparirà il 50% delle terre agricole. Svaniranno anche 1,2 milioni di posti di lavoro in agricoltura e il tasso di disoccupazione salirà pericolosamente. Previsioni troppo pessimistiche, sostiene qualcuno. Realistiche per altri. «Numeri a parte El Sisi e l’Egitto arrivano a questo appuntamento impreparati e senza aver programmato contromisure adeguate» spiega al manifesto l’analista arabo Mouin Rabbani. «Il Cairo deve rendersi conto che non è più come un tempo» aggiunge Rabbani «quando alzava la voce e il resto del mondo arabo e buona parte dell’Africa chinavano il capo. Quell’era è finita e oggi l’Egitto deve impegnarsi a fondo per far valere il suo peso con esiti che non sono scontati».

Più si riempirà la diga etiope e più aumenteranno le difficoltà dell’Egitto che già ora importa circa il 50% del grano e non ha avviato una riparazione seria della rete idrica nazionale, notoriamente un colabrodo. I segnali di ripresa economica – inflazione dal 33% del 2017 al 7,5% attuale, aumento delle riserve in valuta estera da 12 miliardi di dollari nel 2011 a 45 miliardi, riduzione del deficit di bilancio dall’11,4 % all’8,5 % – non devono trarre in inganno. Circa il 30% degli egiziani vive al di sotto della soglia di povertà e ad essi si aggiungerà un altro 30% in conseguenza della crisi che innescherà la Gerd. «Non dimentichiamo – conclude Mouin Rabbani – che El Sisi oltre alla questione della diga etiope deve fronteggiare in questa fase anche (il leader turco) Erdogan, suo nemico, deciso a creare roccaforti in Libia, alla porta occidentale dell’Egitto, con l’appoggio di formazioni islamiste (libiche) vicine alla Fratellanza. Una tenaglia che rischia di schiacciare El Sisi e l’Egitto».

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