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25/07/2020

Recovery Fund, per l’Italia i conti non tornano

Girano molte chiacchiere sul Recovery Fund. Specie nelle dichiarazioni della miserabile classetta politico-parlamentare, sia – soprattutto – nei media mainstream italiani.

Capiamo, anche se non condividiamo, che alcuni non si fidino della nostra analisi di questo “accordo epocale”. Ma almeno informatevi correttamente! E se proprio non volete credere a noi, leggete cosa scrive uno dei migliori analisti economici in circolazione.

Su TeleBorsa, mica sul Quotidiano del Popolo...

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di Guido Salerno Aletta

Nero su bianco, a Bruxelles, hanno deciso solo i “rebates” per la Germania ed i Paesi Frugali.

Del “successone italiano”, ben 209 miliardi di fondi europei tra contributi e prestiti, che a detta di tanti sarebbe stato riportato nell’ambito della Decisione del Consiglio europeo del 21 luglio, non c’è traccia nei documenti ufficiali.

È una lettura impegnativa, ma certamente istruttiva.

In sintesi, il Consiglio ha approvato sia il Piano straordinario volto a fronteggiare le conseguenze dell'epidemia di coronavirus, il Recovery Fund che è stato ridenominato Next Generation UE (NGUE), sia il quadro finanziario dell’Unione per il periodo 2021-2027.

Il NGUE è rimasto formalmente di 750 miliardi da suddividere tra i vari Paesi: ma, mentre secondo la proposta iniziale della Commissione si trattava di 500 miliardi per trasferimenti a fondo perduto (grant) e di 250 miliardi per prestiti (loan), ora la quota relativa al Recovery and Resilience Facility (RRF) è stata ridotta a 672,5 miliardi, di cui 360 miliardi per prestiti e 312,5 miliardi per trasferimenti a fondo perduto.

La differenza di 77,5 miliardi è stata destinata a Programmi di spesa specifici (ReactE per 47,5 miliardi, Horizon Europe per 5 miliardi, InvestEU per 5,6 miliardi, Rural Development per 7,5 miliardi, Just Transition Fund (JTF) per 10 miliardi, RescEU per 1,9 miliardi).

In pratica, si tratta di extra finanziamenti di programmi già riferibili al Quadro Finanziario pluriennale 2021-2027.

La Commissione europea è stata autorizzata a finanziarsi sul mercato dei capitali per l’ammontare complessivo di 750 miliardi di euro, che erogherà agli Stati in ragione di 360 miliardi come prestiti e di 390 miliardi come trasferimenti.

La copertura finanziaria è assicurata dalla decisione di procedere all’aumento delle entrate proprie dell’Unione per un ammontare esattamente corrispondente alla somma richiesta al mercato, i citati 750 miliardi del NGUE: serve un extra contributo straordinario da parte degli Stati aderenti, pari allo 0,6% del PIL: si porta così il limite massimo del contributo annuo complessivo all’1,46% del PIL dell’Unione.

Si comincia aumentando le tasse il 1° gennaio 2021, con un prelievo di 0,80 euro per chilogrammo sui rifiuti di plastica non riciclati. Nel primo semestre del 2021 sarà introdotto un “carbon border adjustment mechanism”. Una tassa sul digitale dovrebbe essere imposta al più tardi entro il 1° gennaio 2023. In prospettiva, c’è anche l’ipotesi di tassare le transazioni finanziarie (Financial Transaction Tax).

L’aumento straordinario delle risorse proprie, per l’ammontare dello 0,6% del PIL dell’Unione, è finalizzato anche al rimborso anticipato al mercato dei 360 miliardi di loan previsti nel RRF. A garanzia dei prestatori di capitale, questo aumento viene previsto fino al 2048, anno in cui si presume che saranno stati completati tutti i rimborsi da parte degli Stati beneficiari dei prestiti.

Non ci sono i dati relativi alla disaggregazione del RRF tra i diversi Stati dell’Unione: c’è scritto solo che la allocazione avverrà sulla base dei parametri proposti dalla Commissione e che di regola la quota di loan non deve superare i 6,8% del PIL di ciascun Paese.

Per l’Italia, al momento, i conti non tornano: girano solo chiacchiere, perché non c’è neppure una parola o una cifra che ci riguarda.

Vediamo da dove eravamo partiti.

Nel Progetto di Recovery Fund predisposto dalla Commissione (750 miliardi, di cui 250 per loan e 500 miliardi per grant) si prevedevano erogazioni complessive a favore dell’Italia per 153 miliardi (di cui 81,8 miliardi per grant e 71,2 per loan), pari al 20,4% del totale da distribuire tra tutti i Paesi, pur a fronte di un contributo italiano di 96,3 miliardi al finanziamento del Fondo, pari al 12,4% del totale del Fondo, commisurato al peso del nostro PIL sul totale di quello della Unione.

Ci sarebbe stato un “vantaggio netto” di 56,7 miliardi, corrispondenti alla differenza tra contributi per 96,3 miliardi ed erogazioni per 153 miliardi.

Se ora il RRF è di soli 672,5 miliardi (e non più di 750 miliardi), continuando ad applicare all’Italia la aliquota favorevole del 20,4% nella ripartizione delle risorse, le erogazioni complessive scenderebbero a 137,2 miliardi (in luogo dei 153 miliardi ipotizzati con il Recovery Fund).

Considerando che come regola generale viene indicata una percentuale di loan non eccedente il 6,8% del PIL di ciascun Paese, l’Italia potrebbe vedersi erogare prestiti per 121 miliardi (somma pari al 6,8% del PIL del 2019).

Come si arriva allora alla cifra di 209 miliardi di erogazioni a favore dell’Italia che si legge in giro? Probabilmente deriva dalla somma tra i 127 miliardi di loan che ci verrebbero concessi (arrotondando ampiamente la aliquota massima del 6,8% del PIL) e gli 81,8 miliardi di grant che erano stati previsti per il Recovery Fund: una conclusione difficilmente credibile, visto che arriveremmo ad aggiudicaci il 31% delle risorse totali disponibili (si tratta di 209 miliardi sui 672,5 complessivi).

Se fosse vero, a fronte di un contributo di 96,3 miliardi al Fondo, l’Italia ne riceverebbe più del doppio: 209 miliardi nel complesso, di cui 127 miliardi come loan.

Peccato che non ci sia una parola, né una cifra.

Sono stati invece i Paesi frugali e la Germania a fare il pieno di sconti:

– la Germania si è fatta riconoscere uno sconto annuale sui versamenti in conto Risorse Proprie dell’Unione per 3,671 miliardi di euro, confermando in pratica la riduzione sull’IVA dallo 0,3% allo 0,15% di cui ha già beneficiato nei sette anni scorsi;

– l’Olanda ha quasi triplicato lo sconto annuale, passando dai 686 milioni di euro del 2018 a 1,921 miliardi del prossimo settennio. Il Premier Rutte ha usato l’Italia come un punching-ball;

– l’Austria è entrata, per la prima volta, nel novero dei Paesi che beneficiano degli sconti: con 565 milioni l’anno, anche il Premier Kurtz ha fatto marameo a tutti;

– la Svezia ha fatto il vero colpo gobbo: mentre nel 2018 beneficiava di uno sconto una tantum di appena 151 milioni di euro, versando risorse proprie per 3,797 miliardi di euro, si è fatta riconoscere uno sconto annuo di 1,69 miliardi di euro. Risparmierà un terzo.

Nero su bianco, a Bruxelles, hanno deciso solo i “rebates” per la Germania ed i Paesi Frugali.

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