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di Maurizio Vezzosi
Le rotte che lo attraversano e le faglie di instabilità che lo circondano fanno del Mediterraneo uno tra gli spazi marittimi più importanti del pianeta. Le profonde trasformazioni degli equilibri globali stanno segnando il lento declino di vecchie egemonie – o almeno, il loro ridimensionamento – e l'affermazione di nuove. La pandemia del Covid-19 ha scatenato un'accelerazione iperbolica di queste tendenze, rinnovando la centralità internazionale del Mediterraneo, e della penisola che vi si protende.
Per dare la misura dell'importanza internazionale dell'Italia basterebbe tenere a mente il fatto che nessuno tra i principali attori internazionali può permettersi di trascurarne il ruolo, o almeno di rinunciare ad esercitarvi una qualche forma d'influenza (culturale, economica, militare). Un'importanza rispetto alla quale la classe dirigente italiana si è dimostrata non di rado indifferente.
A pesare sull'Italia, è la mancanza di una visione d'insieme che sappia interpretare l'identità, il ruolo e l'assetto del paese nell'attuale configurazione internazionale e che sappia dimostrarsi adeguata per profondità di riflessione, realismo e lungimiranza. In linea generale, le maggiori potenze occidentali non vedono con interesse un possibile rafforzamento del nostro paese, della sua solidità e della sua indipendenza confidando piuttosto nel fatto che l'Italia mantenga un certo grado di debolezza e vulnerabilità: questa geometria può certamente assumere delle specifiche momentanee e peculiari, ma conserva, tuttavia, una validità tendenziale.
Al contrario, sia la Federazione Russa (Figura 1) sia la Cina (Figura 2) – così come molti altri paesi-chiave dell'attuale scenario globale – hanno tra le corde dei propri interessi quello che l'Italia si irrobustisca e massimizzi il proprio livello di indipendenza, acquisendo contestualmente un maggiore grado di influenza internazionale. Una differenza di approccio rintracciabile sia in questioni estremamente materiali sia nelle peculiarità culturali di Mosca (Figura 3) e Pechino, entrambe annoverabili come potenze mediterranee de facto. Quel che è certo, malgrado i toni di certa stampa, è che né da parte di Mosca né da parte di Pechino ci sia l'interesse a destabilizzare l'Italia: ripetere il contrario non cambierà in alcun modo la realtà del nostro paese e dei suoi problemi. Potrà al massimo continuare a tenerlo lontano dalle possibili soluzioni di questi ultimi.
Il caos politico e sociale da mesi domina gli Stati Uniti mentre l'egemonia internazionale di Washington tende ad assottigliarsi: il verosimile ridimensionamento della propria potenza economica costringerà Washington ad effettuare tagli significativi alla permanente – ed onerosa – presenza militare fuori dal proprio territorio.
Questo spiega solo in parte l'intenzione, ufficializzata alcune settimane fa, di ridurre di circa un terzo il proprio organico militare presente in Germania: secondo il Pentagono i circa 12.000 militari che lasceranno la Germania verranno ricollocati tra Italia, Belgio e Polonia, e in parte rimpatriati negli Stati Uniti. Non è possibile attribuire un significato univoco alla scelta dei vertici statunitensi: che si tratti di una decisione mossa da ragioni prevalentemente economiche, o da ragioni prevalentemente geopolitiche – ad esempio, l'intento di creare difficoltà alla Germania – quel che risulta evidente è il minimo storico delle relazioni tedesco-statunitensi degli ultimi 75 anni.
Gli Stati Uniti continuano ad essere ossessionati dalle idee descritte da Halford Mackinder: lo scenario che sembra inquietare Washington si configura infatti come la progressiva integrazione economica e politica dello spazio continentale che si estende da Lisbona a Shangai. Gli Stati Uniti potrebbero dimostrarsi disposti a tutto pur di scongiurare uno scenario di questo genere, eventualmente rinnovando il principio della “destabilizzazione permanente” come pilastro della propria strategia di contenimento, volta a rallentare l'affermazione di nuove egemonie.
I contrasti con la Germania – ma anche con la Francia– potrebbero convincere Washington a sostenere l'uscita dell'Italia dall'Unione Europea, o almeno ad agitarne lo spauracchio: a dar sostegno a questo scenario, sono i contenuti del Memorandum di sostegno all'Italia firmato da Donald Trump durante la scorsa difficile primavera, oltre a numerose dichiarazioni dei vertici statunitensi (come quelle del Segretario di Stato Mike Pompeo). Il Memorandum, oltre a mobilitare il Tesoro statunitense per sostenere l'economia italiana, ricorda la presenza permanente sul territorio italiano di migliaia di militari statunitensi, 30mila secondo quanto riportato dal testo.
La rivolta esplosa a Minneapolis dopo l'uccisione di George Floyd e diffusasi a macchia d'olio negli Stati Uniti ha palesato fratture profonde: in seno alla società, alla politica e all'apparato di potere degli Stati Uniti. Quello stesso apparato contro cui Donald Trump ha combattuto sin dall'inizio del suo mandato potrebbe dunque aver deciso di presentare all'attuale presidente il conto del proprio operato a pochi mesi dalle elezioni previste in autunno, ostacolandone l'azione con ogni mezzo.
Come ha confermato l'Università di Baltimora, gli Stati Uniti sono il primo paese al mondo sia per numero di contagi accertati – prossimo ai due milioni – sia per numero di morti – oltre 100mila – relativi al Covid-19: anche per questa ragione lo scenario autunnale si profila quanto mai incerto. Come per molti paesi – incluso il nostro – un'eventuale seconda ondata pandemica potrebbe provocare danni ingentissimi sotto il profilo sanitario, economico e sociale.
L'esasperarsi dei contrasti tra repubblicani e democratici e delle lotte intestine in seno all'apparato hanno portato all'adozione di provvedimenti di cui non si ricordano precedenti nella storia recente, come il coprifuoco a New York. Ad essere in atto è dunque l'esacerbarsi delle tendenze già presenti in seno alla società statunitense: uno scenario che fa apparire profetico il titolo del documento strategico sulle operazioni urbane – “Urban Operations 2020” – pubblicato dalla Nato nell'ormai lontano 2003. Il controllo della presidenza sul paese vacilla: prima della pandemia, e della rivolta tutt'ora in corso, lo aveva dimostrato anche la schizofrenia che negli ultimi tempi ha caratterizzato la politica internazionale statunitense.
La proposta avanzata a Vladimir Putin da Donald Trump di trasformare il G7 in G11, includendo in questo formato l'Australia, l'India, la Corea del Sud insieme alla Federazione Russa palesa la velleità di isolare Pechino, e di intaccare il suo legame strategico con Mosca.
Una mossa, quella di Donald Trump, che sembra fare il verso alla politica di Richard Nixon, che in chiave antisovietica scommise sulla Cina maoista. All'offerta formulata da Donald Trump – recentemente sconfessato persino da George Bush Jr. e da Collin Powell – Mosca ha reagito senza nascondere le proprie perplessità: del resto, ben poco vale per la Federazione Russa l'offerta arrivata da Washington, specie se messa a a confronto con il valore strategico del rapporto con la Cina.
Mentre l'Unione Europea appare quanto mai debole, palesando invece, in ogni passaggio fondamentale la propria sostanziale disomogeneità (Eurobond, MES, fondo di salvataggio) l'Italia si trova a fronteggiare problemi critici su vari fronti. In primo luogo sul fronte meridionale – quella che fu la Quarta Sponda – dove l'Italia continua a fare i conti con la propria peggiore sconfitta consumatasi dopo la fine della seconda guerra mondiale. Fin troppo evidente è come una Libia instabile renda vulnerabile ed instabile l'Europa, soprattutto meridionale. L'azione turca (Figura 4) si sta profilando come uno dei maggiori elementi di instabilità del Mediterraneo (Figura 5) e del Vicino Oriente. Nessuna delle mosse turche – se si esclude la vicenda S-400 – sembra mancare dell'avallo – tacito o esplicito – di Washington. Del resto, una Turchia esuberante viene vista oltreoceano come uno strumento utile in chiave antirussa, anticinese – in Asia Centrale – antiiraniana, ma sopratutto, antieuropea. Al contempo, il rinnovato interesse degli Stati Uniti per la Grecia, pone i presupposti necessari a prevenire e ridimensionare eventuali esuberanze turche non gradite da Washington.
Ogni mossa rilevante degli Stati Uniti che interessi lo spazio geopolitico compreso tra lo stretto di Gibilterra e il Mar Cinese Meridionale sembra volta a produrre un effetto destabilizzante. Nessuna di queste mosse sembra infatti volta a risolvere problemi particolari: tutte sembrano invece concepire la destabilizzazione come fattore di contenimento da contrapporre alle egemonie emergenti con cui gli Stati Uniti si trovano a dover fare i conti.
Il rischio che la guerra globale combattuta a pezzi presto o tardi travolga anche la vecchia Europa non è zero: in uno scenario di questo tipo per l'Italia è quanto mai importante compiere ogni sforzo possibile per tendere alla neutralità, riscoprendo la bussola dell'interesse nazionale e la propria natura di “paese cerniera” per gli equilibri internazionali.
La frantumazione sociale – anzitutto identitaria – che sta dilaniando gli Stati Uniti offre all'Italia una lezione importante. Un paese che non coltiva la propria identità è un paese destinato alla disgregazione e al declino: non esiste, nei fatti, alcuna politica di prospettiva senza una visione del paese e della comunità su cui questo si regge.
L'Italia deve riscoprirsi nazione, e riscoprire il significato democratico e progressista di quest'ultima, per gli affari interni così come per quelli internazionali: solo su questi presupposti sarà possibile costruire il nuovo Risorgimento di cui il paese ha bisogno.
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