Elon Musk, imprenditore multimiliardario e cofondatore della casa automobilistica Tesla, sta facendo parlare di sé per le sue sprezzanti affermazioni riguardo al golpe boliviano, avvenuto lo scorso novembre, ai danni del Governo presieduto da Evo Morales.
In un suo tweet, Musk si era dichiarato contrario a un’eventuale approvazione di un nuovo pacchetto di incentivi economici per il coronavirus da parte del Governo degli Stati Uniti, dicendo che non era “nel miglior interesse del popolo“.
Un altro utente di Twitter ha risposto che a non essere nel miglior interesse del popolo è il colpo di Stato contro Evo Morales che gli USA hanno sostenuto per permettere all’imprenditore di ottenere il litio boliviano.
La risposta di Musk è stata molto chiara: “Colpiremo chiunque vogliamo! Accettalo.”
La dichiarazione dell’imprenditore non stupisce, considerando che stiamo parlando di un uomo la cui famiglia ha accumulato ricchezze in Sudafrica durante l’Apartheid (il padre di Musk era proprietario di una miniera di smeraldi).
Inoltre, Musk ha recentemente citato in giudizio una Contea statunitense per avergli impedito di continuare a produrre durante la pandemia; e ha tenuto aperti i suoi stabilimenti produttivi nonostante le ordinanze restrittive, costringendo i suoi operai a correre il rischio di farsi multare – oltre che ammalare – per non perdere il posto di lavoro, recandosi in fabbrica contro ogni divieto.
Un’infamia che ha sicuramente contribuito, in questi mesi, a fargli scalare la classifica di Forbes fino a diventare il quinto uomo più ricco del Pianeta, con un patrimonio netto di 74 miliardi di dollari.
A seguito del suo tweet, si è aperto nuovamente il dibattito sul Golpe boliviano e sulle sue cause. In Italia, così come nel resto del Mondo, l’arrivo del nuovo governo presieduto dalla autoproclamata Jeanine Áñez, fu giustificato alludendo a dei presunti brogli elettorali.
La Repubblica, ad esempio, all’indomani del colpo di Stato – nella notizia scientemente occultata a pagina 15 – ha eufemisticamente affermato che i militari avessero “chiesto ufficialmente” a Morales di dimettersi, nel rispetto dei cittadini e della Costituzione.
Per chi volesse approfondire le dinamiche del golpe, rimandiamo a un nostro articolo di novembre, nel quale già ipotizzavamo che nelle risorse naturali del Paese potessero risiedere le vere ragioni di quanto accaduto.
Il Washington Post ha pubblicato una dettagliata ricostruzione che nega l’esistenza di elementi credibili che provino la frode elettorale.
Nonostante l’improntitudine di cui Musk ha dato sfoggio nel suo tweet, non si può – almeno per ora – provare che il colpo di Stato sia stato ordinato da lui in persona. Tuttavia, possiamo affermare che le dimissioni di Evo sono perfettamente compatibili con i suoi interessi, e con quelli di moltissime altre multinazionali che finora sono state impossibilitate a mettere le mani sulle risorse del Paese.
Ricordiamo che il litio è il componente principale della tipologia di batterie ricaricabili attualmente più utilizzata e, per dare un’idea dell’importanza strategica del suolo boliviano, bisogna prendere in considerazione che il 50% dei depositi di litio conosciuti nel mondo si trova nel “Triangolo del Litio”, che si estende tra Argentina, Bolivia e Cile.
In particolare, i deserti di alta montagna della Bolivia – il Salar de Uyuni – hanno un’estensione quasi pari all’Abruzzo, e costituiscono le più grandi riserve di litio finora conosciute.
Morales aveva chiarito che la Bolivia non avrebbe ceduto queste preziose risorse alle multinazionali. I guadagni derivanti dall’attività mineraria erano utilizzati per finanziare i programmi sociali necessari per il Paese, e quindi condivisi con il popolo boliviano.
Queste politiche non erano abbastanza favorevoli alle imprese multinazionali, specie statunitensi, che furono “costrette” a dirigersi in Argentina.
Inutile dire che, a seguito del golpe, il nuovo governo boliviano ha aperto agli investimenti delle multinazionali nel Paese.
Pochi mesi fa, in vista di un incontro tra Elon Musk e Jair Bolsonaro, il candidato alla vicepresidenza e compagno di corsa di Añez, Samuel Doria Medina, ha invitato l’industriale a considerare la possibilità di costruire un nuovo stabilimento nel Salar de Uyuni.
Cade insomma miseramente ogni pretesa “novità” nelle pieghe del cosiddetto “capitalismo verde”. Del resto, la Bolivia possiede discrete riserve anche di gas e petrolio, che erano stati fin qui la ragione principale dell'”interessamento” criminale dell’imperialismo multinazionale. I presunti “verdi” portano solo un motivo in più per l’antica prassi golpista nel “cortile di casa”...
Fin qui, però, questi personaggi e la promessa di un “futuro green” erano stati il perno di una “narrazione innovativa”, in cui ambiente e risorse oil free potevano facilmente affascinare buona parte dei consumatori occidentali più sensibili ai temi ambientali.
Sarà il caso di ricominciare a guardare alle imprese multinazionali per quel che sono – un tumore criminale contro l’umanità – e non per quel che producono. In fondo, non ci fanno troppo caso neanche loro – burro, cannoni o auto elettriche – purché ci si ricavi profitto.
La salvezza del pianeta è affar nostro, non di certa gente...
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