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23/07/2020

Carabinieri criminali, ma “protetti” dai media


La storia dei carabinieri di Piacenza, che avevano trasformato la stessa caserma in una centrale di spaccio e in sale di tortura, è un classico della cronaca nera italiana. Ed anche il “trattamento” che la notizia riceve da parte dei media ufficiali.

La metafora della “mela marcia” in un cesto di “mele sane” è sempre lì, a disposizione del cronista sfaticato, che neanche cerca i precedenti. Eppure sono decine, coinvolgono centinaia e forse migliaia di “mele marce”. I link in questo articolo permettono di ricordare solo i casi più rilevanti degli ultimi anni, senza alcuna ambizione di completezza.

Numeri che, a voler essere semplicemente accorti, rovesciano come un guanto una narrazione edificante stesa a copertura di un “virus criminale” di grandissima diffusione tra chi indossa una divisa (e una pistola) e solo per questo si sente investito di un’autorità sovra-umana. In senso letterale: sopra gli altri esseri umani.

L’unica principio riconosciuto, in quei corpi separati, è quello gerarchico. Per cui si deve obbedienza – o fingere di averla – nei confronti dei “superiori”. In cambio si ha “diritto sovrano” sui civili, untermenshen, senza divisa (e senza pistola).

È un diritto che viene loro riconosciuto dai superiori (e dai media, che vivono di relazioni incestuose con i “corpi separati”: le “soffiate” che vengono dalle questure e dalle caserme sono infatti il pane quotidiano della cronaca nera, ed esserne esclusi significa perdere “primizie”, lettori, copie vendute o ascolti).

L’impunità come condizione standard favorisce ogni deviazione. Dall'”eccesso di uso legittimo della forza” fino agli “interessi privati in atti d’ufficio”, alla vera e propria attività criminale in proprio. E l’impunità standard concessa a tutti i militari (forze dell’ordine ed esercito “professionista”) ha come ovvio contraltare la necessità di separare sempre “responsabilità individuali” e “bontà assoluta del corpo”. O, in questo caso, dell’Arma...

Così leggiamo o ascoltiamo ogni volta la stessa storiella, come se non fosse uguale a tutte le altre. Quelle trattate nello stesso modo e rapidamente cancellate dalla memoria pubblica. Questo commento di Turi Comito, a suo modo, centra parte del problema della “relazione incestuosa” tra corpi militari e informazione mainstream.

Buona lettura.

***** 

Il parroco, il sindaco, il maresciallo e il provincialismo

Non mi è chiaro il perché le foto dei tizi arrestati a Piacenza siano oscurate sui media né perché non se ne conoscano i nomi. Chi ha oscurato foto e nomi? La guardia di finanza che ha proceduto agli arresti? La procura che indaga? I media?

E perché? Sono minorenni? Sono testimoni di giustizia sotto protezione? Sono padri di famiglia ingiustamente incolpati che non si vuole dare in pasto alla folla pronta al linciaggio mediatico?

Com’è che quando arrestano un qualunque rubagalline le foto circolano manco fossero selfie della Ferragni agli Uffizi e adesso non conosciamo né facce né nomi degli arrestati?

Il dubbio che si fa strada è che questa cosa accada per un malinteso senso di “rispetto” per l’Arma. Come a dire che in pasto alla suburra dei social si può dare chiunque tranne il Maresciallo dei carabinieri, ché quello rappresenta l’ultima cosa buona che resta in questo paese, visto che della sacra trimurti – l’arciprete, il sindaco e il maresciallo appunto – il primo è pedofilo e il secondo è corrotto.

Non vorrei che le cose stessero così (ho diversi amici avvocati qui, saranno d’aiuto a sciogliere questo mistero, se vorranno).

Perché se questa fosse la ragione dell’oscuramento ci troveremmo di fronte, per l’ennesima volta, ad un caso classico di provincialismo mediocre, fatto da mediocri, ad uso e consumo di mediocri.

Una disgrazia, quella del provincialismo, che è lo specchio del mediocrismo di questa epoca.

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