Quali sono le ragioni del rapido declino di Podemos, sancito
dall’ultima tornata elettorale spagnola che ha visto il partito
assestarsi fra il 10 e il 12%, dopo l’altrettanto rapida ascesa che,
pochi anni fa, l’aveva visto sfiorare il 20%? Cerca di rispondere a
questa domanda un articolo di Manolo Monereo,
ex deputato di Cordoba (ha rifiutato di ripresentare la propria
candidatura perché contrario all’accordo governativo fra Podemos e il
Psoe) nonché autore di numerosi libri, uno dei quali recentemente
tradotto in italiano (Un progetto di liberazione. Repubblica, sovranità socialismo, ed. Meltemi).
Monereo parla di “sindrome Izquierda Unida”, paragonando la parabola
di Podemos a quella subita dalla formazione neo comunista guidata dal
recentemente scomparso Julio Anguita, con la differenza, scrive, che
Podemos non dispone della solida struttura organizzativa, della rete di
militanti, né del radicamento sociale di quel partito. Ciò ha fatto sì
che la sua presenza sul territorio si sia sfaldata, con il ritiro di
molti quadri a vita privata, a mano a mano che perdeva spinta
antagonista e si trasformava in un partito di opinione che opera
esclusivamente attraverso i media e i social network. Podemos si è a
lungo nutrita dell’immaginario del 15M, delle grandi mobilitazioni di
massa dello scorso decennio, ma è stato incapace di tradurlo in un
progetto politico organizzato, di dare vita a una vera alternativa al
regime di alternanza fra Popolari e Socialisti, che i cittadini
percepiscono giustamente come due facce della stessa medaglia, entrambi
partecipi di un sistema che penalizza sistematicamente gli interessi
delle classi subalterne.
La decisione di compiere il passo finale, di darsi un profilo di
forza di governo, alleandosi con il Psoe e integrandosi così nella
logica bipolare, è avvenuta in assenza di una seria analisi della fase
politica: una volta fallito l’assalto al cielo, argomenta Monereo, era
il momento, per usare le parole di Gramsci, di passare dalla guerra di
movimento alla guerra di posizione, di accumulare forza e densità
organizzativa, di affondare radici nei territori e di essere coprotagonisti dei conflitti sociali, di costruire, in parole povere, un
“vero” partito in stretta connessione con i movimenti auto organizzati
(di tornare a studiare Gramsci e Togliatti, invece di Laclau). Viceversa
si è scelto di rinunciare alla vocazione di forza alternativa e
maggioritaria, si è imboccata la strada minoritaria di costruirsi una
nicchia per poter sopravvivere all’ombra del sistema di potere che ruota
attorno al Psoe, alleandosi con la forza che fino a poco prima veniva
percepita come un avversario.
I risultati si sono visti: oggi la Spagna non dispone di un soggetto
politico in grado di gestire la nuova ondata di rivolte che, secondo
Monereo, verrà inevitabilmente innescata dalla macelleria sociale
imposta dalla gestione capitalistica della crisi economica provocata
dalla pandemia, con l’Unione Europea pronta a infliggere ai Paesi
mediterranei le “cure” subite qualche anno fa dalla Grecia. In questa
situazione occorrerebbe, preso atto che né Podemos né Izquierda Unida
sono in grado di assolvere tale ruolo, avviare un processo costituente
per dare vita a una nuova forza politica, prima che il patrimonio di
quadri accumulato in un decennio di lotte vada irreversibilmente
disperso.
Ogni volta che leggo le analisi di Monereo sulla situazione politica
spagnola resto colpito dalle analogie con quella del nostro Paese, senza
dimenticare alcune significative differenze. Benché Podemos e il M5S
presentino profili ideologici differenti (connotato a sinistra il primo,
ambiguamente orientato a contestare i vizi delle vecchie “caste” il
secondo), appaiono somiglianti sia per quanto riguarda la composizione
sociale (con prevalenza dei ceti medi “riflessivi”), sia per la scelta
di rinnegare la tradizionale forma partito, rimpiazzandola con una rete
di relazioni mediate dai social network, sia per la spregiudicatezza con
cui cambiano orientamenti e posizioni (vedi, da un lato, il giro di
valzer con cui il M5S ha cambiato alleato di governo, o la sua
conversione dall’euroscetticismo all’europeismo sia pure “critico”,
dall’altro, la disinvoltura con cui Podemos è passato dall’attacco
frontale al Psoe come pilastro del vecchio sistema di potere
all’abbraccio governativo fra Iglesias e Sanchez, o l’accantonamento
della battaglia per la riforma costituzionale da monarchia a
repubblica).
In ogni caso, se mettiamo il Pd al posto del Psoe, l’evoluzione della
situazione italiana è stata molto simile a quella della situazione
spagnola, e gli instabili equilibri politici dei due Paesi sono
ugualmente esposti ai terremoti sociali prevedibilmente innescati dalla
crisi pandemica e dalle politiche dell’Europa a guida tedesca. Il guaio è
che, nel nostro caso, le speranze di riuscire ad avviare un processo
costituente per creare una nuova forza politica capace di sfuggire alla
morsa del bipartitismo di regime, appaiono più remote di quelle che
Monereo coltiva per la Spagna. Le disiecta membra dei vari partitini
comunisti e dei gruppetti sovranisti di sinistra, impegnati a dilaniarsi
fra loro più che a creare le condizioni di una possibile convergenza,
sono una ben misera base rispetto al consistente patrimonio di quadri
che tuttora aderiscono a Podemos e Izquierda Unida. La nostra guerra di
posizione sarà quindi assai più lunga e richiederà molta più pazienza di
quella spagnola.
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