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23/07/2020

Le ragioni del declino di Podemos

Quali sono le ragioni del rapido declino di Podemos, sancito dall’ultima tornata elettorale spagnola che ha visto il partito assestarsi fra il 10 e il 12%, dopo l’altrettanto rapida ascesa che, pochi anni fa, l’aveva visto sfiorare il 20%? Cerca di rispondere a questa domanda un articolo di Manolo Monereo, ex deputato di Cordoba (ha rifiutato di ripresentare la propria candidatura perché contrario all’accordo governativo fra Podemos e il Psoe) nonché autore di numerosi libri, uno dei quali recentemente tradotto in italiano (Un progetto di liberazione. Repubblica, sovranità socialismo, ed. Meltemi).

Monereo parla di “sindrome Izquierda Unida”, paragonando la parabola di Podemos a quella subita dalla formazione neo comunista guidata dal recentemente scomparso Julio Anguita, con la differenza, scrive, che Podemos non dispone della solida struttura organizzativa, della rete di militanti, né del radicamento sociale di quel partito. Ciò ha fatto sì che la sua presenza sul territorio si sia sfaldata, con il ritiro di molti quadri a vita privata, a mano a mano che perdeva spinta antagonista e si trasformava in un partito di opinione che opera esclusivamente attraverso i media e i social network. Podemos si è a lungo nutrita dell’immaginario del 15M, delle grandi mobilitazioni di massa dello scorso decennio, ma è stato incapace di tradurlo in un progetto politico organizzato, di dare vita a una vera alternativa al regime di alternanza fra Popolari e Socialisti, che i cittadini percepiscono giustamente come due facce della stessa medaglia, entrambi partecipi di un sistema che penalizza sistematicamente gli interessi delle classi subalterne.

La decisione di compiere il passo finale, di darsi un profilo di forza di governo, alleandosi con il Psoe e integrandosi così nella logica bipolare, è avvenuta in assenza di una seria  analisi della fase politica: una volta fallito l’assalto al cielo, argomenta Monereo, era il momento, per usare le parole di Gramsci, di passare dalla guerra di movimento alla guerra di posizione, di accumulare forza e densità organizzativa, di affondare radici nei territori e di essere coprotagonisti dei conflitti sociali, di costruire, in parole povere, un “vero” partito in stretta connessione con i movimenti auto organizzati (di tornare a studiare Gramsci e Togliatti, invece di Laclau). Viceversa si è scelto di rinunciare alla vocazione di forza alternativa e maggioritaria, si è imboccata la strada minoritaria di costruirsi una nicchia per poter sopravvivere all’ombra del sistema di potere che ruota attorno al Psoe, alleandosi con la forza che fino a poco prima veniva percepita come un avversario.

I risultati si sono visti: oggi la Spagna non dispone di un soggetto politico in grado di gestire la nuova ondata di rivolte che, secondo Monereo, verrà inevitabilmente innescata dalla macelleria sociale imposta dalla gestione capitalistica della crisi economica provocata dalla pandemia, con l’Unione Europea pronta a infliggere ai Paesi mediterranei le “cure” subite qualche anno fa dalla Grecia. In questa situazione occorrerebbe, preso atto che né Podemos né Izquierda Unida sono in grado di assolvere tale ruolo, avviare un processo costituente per dare vita a una nuova forza politica, prima che il patrimonio di quadri accumulato in un decennio di lotte vada irreversibilmente disperso.

Ogni volta che leggo le analisi di Monereo sulla situazione politica spagnola resto colpito dalle analogie con quella del nostro Paese, senza dimenticare alcune significative differenze. Benché Podemos e il M5S presentino profili ideologici differenti (connotato a sinistra il primo, ambiguamente orientato a contestare i vizi delle vecchie “caste” il secondo), appaiono somiglianti sia per quanto riguarda la composizione sociale (con prevalenza dei ceti medi “riflessivi”), sia per la scelta di rinnegare la tradizionale forma partito, rimpiazzandola con una rete di relazioni mediate dai social network, sia per la spregiudicatezza con cui cambiano orientamenti e posizioni (vedi, da un lato, il giro di valzer con cui il M5S ha cambiato alleato di governo, o la sua conversione dall’euroscetticismo all’europeismo sia pure “critico”, dall’altro, la disinvoltura con cui Podemos è passato dall’attacco frontale al Psoe come pilastro del vecchio sistema di potere all’abbraccio governativo fra Iglesias e Sanchez, o l’accantonamento della battaglia per la riforma costituzionale da monarchia a repubblica).

In ogni caso, se mettiamo il Pd al posto del Psoe, l’evoluzione della situazione italiana è stata molto simile a quella della situazione spagnola, e gli instabili equilibri politici dei due Paesi sono ugualmente esposti ai terremoti sociali prevedibilmente innescati dalla crisi pandemica e dalle politiche dell’Europa a guida tedesca. Il guaio è che, nel nostro caso, le speranze di riuscire ad avviare un processo costituente per creare una nuova forza politica capace di sfuggire alla morsa del bipartitismo di regime, appaiono più remote di quelle che Monereo coltiva per la Spagna. Le disiecta membra dei vari partitini comunisti e dei gruppetti sovranisti di sinistra, impegnati a dilaniarsi fra loro più che a creare le condizioni di una possibile convergenza, sono una ben misera base rispetto al consistente patrimonio di quadri che tuttora aderiscono a Podemos e Izquierda Unida. La nostra guerra di posizione sarà quindi assai più lunga e richiederà molta più pazienza di quella spagnola.

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