Un misterioso scontro tra Israele e Hezbollah al confine meridionale
libanese ha mostrato in questi giorni quanti e di quale gravità siano
gli scenari caldi in Medio Oriente che minacciano di fare esplodere una
conflagrazione generale in qualsiasi momento. Lo scontro, finora più
verbale che materiale, ha anche fatto luce sulla delicata situazione del
governo di coalizione di Tel Aviv, costretto a fare i conti con la
seconda ondata del Coronavirus e dibattuto tra le velleità di contenere
il cosiddetto “asse della Resistenza” sciita e i timori di innescare una
guerra di cui a pagare il conto più salato potrebbe essere forse lo
stesso stato ebraico.
Il tutto era nato a causa dell’ennesima incursione aerea illegale
israeliana in Siria. Settimana scorsa, un raid di questo genere aveva
provocato la morte di un membro di Hezbollah, Ali Kamel Mohsen, colpito
mentre si trovava in un edificio nei pressi dell’aeroporto di Damasco,
secondo Israele utilizzato dalle forze iraniane presenti in territorio
siriano.
Tramite intermediari e in modo da evitare ritorsioni, Tel Aviv aveva
subito recapitato un messaggio a Hezbollah per assicurare che Mohsen non
era un bersaglio dell’operazione e che è stato perciò ucciso per
errore. Israele, grazie alla copertura americana, intende d’altra parte
muoversi liberamente in Medio Oriente per colpire i propri rivali, ma
teme seriamente la possibile risposta di questi ultimi e soprattutto di
Hezbollah.
Gli affanni politici sul fronte interno di Israele e la gravissima
crisi economica che sta attraversando il Libano sembrano comunque tenere
lontana per il momento l’ipotesi di un conflitto aperto. La tensione
resta però altissima e il confine tra le provocazioni e un confronto
armato di vasta scala continua a essere molto sottile.
Per quanto riguarda Hezbollah, da tempo i suoi leader si sono
impegnati a rispondere con pari intensità agli attacchi di Israele che
provocano morti tra le fila del partito-milizia sciita. Il segretario
generale del “Partito di Dio”, Hassan Nasrallah, ha infatti ribadito
questa posizione dopo i fatti di settimana scorsa in Siria, promettendo
di colpire Israele al momento opportuno. La possibilità concreta di una
vendetta imminente di Hezbollah ha messo chiaramente in allarme il
governo e le forze armate dello stato ebraico, come ha dimostrato il
rafforzamento militare deciso negli ultimi giorni al confine
settentrionale con il Libano.
Una situazione così tesa ha contribuito a creare un incidente nella
giornata di lunedì, con ogni probabilità ingigantito dal governo
Netanyahu per cercare di evitare la reazione di Hezbollah o, quanto
meno, per trarne un qualche vantaggio politico. I vertici militari
israeliani hanno cioè denunciato l’infiltrazione di un gruppo di
militanti di Hezbollah nel proprio territorio in prossimità di un’area
occupata da Israele nel 1967 e conosciuta come “Sheeba Farms” in Libano e
Har Dov in Israele.
Sempre secondo Tel Aviv sarebbe poi seguito uno scontro a fuoco,
caratterizzato da alcuni media occidentali come il più intenso degli
ultimi dodici mesi. Le autorità israeliane hanno anche ordinato agli
abitanti della zona di rimanere nelle proprie case, prima di riaprire
strade e attività poco più di un’ora dopo. Alla fine, i pochi uomini di
Hezbollah sarebbero tornati oltre il confine libanese, apparentemente
senza essere colpiti dal fuoco israeliano.
Alcune ore più tardi, i vertici di Hezbollah hanno smentito la
ricostruzione di Israele. Nessuno dei militanti sciiti sarebbe stato
inviato oltre il confine meridionale. Nasrallah ha tuttavia avvertito
che la vendetta per l’uccisione di Mohsen arriverà “senza alcun dubbio”.
A dubitare della versione offerta dal governo e i militari israeliani
sono stati anche gli stessi giornali dello stato ebraico. In molti hanno
chiesto la pubblicazione delle immagini dell’accaduto che le stesse
autorità hanno affermato di possedere.
L’ipotesi più probabile, almeno secondo Hezbollah, è che l’episodio
non abbia avuto luogo e che Netanyahu, in un clima di “ansia e
apprensione”, abbia cercato di dare un’immagine di forza con un successo
militare “creato a tavolino”. Il primo ministro libanese, Hassan Diab,
ha anche sostenuto che le manovre di Israele hanno come obiettivo il
cambiamento delle modalità di impiego della missione ONU nel sud del suo
paese (UNIFIL). La presenza militare internazionale dovrà essere
rinnovata il 31 agosto prossimo e Tel Aviv non nasconde il desiderio di
attribuire ai soldati ONU la facoltà di controllare e limitare il
movimento di armi destinate a Hezbollah.
Il tentativo di fabbricare un’apparente vittoria contro Hezbollah da parte
di Israele è tutt’altro che improbabile, soprattutto se si considera
che il governo di Tel Aviv ha assoluto bisogno di recuperare
credibilità. Da settimane vanno in scena proteste popolari contro
Netanyahu e la sua gestione dell’emergenza Coronavirus. Inoltre,
l’economia è in caduta libera a causa dell’epidemia e, come se non
bastasse, la coalizione di governo tra il Likud e il partito centrista
“Blu e Bianco” del ministro della Difesa, Benny Gantz, appare
traballante. Netanyahu è inoltre coinvolto in un clamoroso processo
giudiziario per corruzione e abuso d’ufficio, mentre la promessa non
ancora mantenuta di annettere parte della Cisgiordania si sta
trasformando in una grana politica di difficilissima soluzione.
Anche il tentativo di proiettare difficoltà e tensioni verso
l’esterno, prendendo di mira i nemici tradizionali come Iran o
Hezbollah, rischia di diventare un boomerang. Gli equilibri militari tra
le forze armate israeliane e quelle di Hezbollah non sono più così
favorevoli a Tel Aviv e il precipitare della situazione potrebbe
aggiungere un nuovo elemento di crisi – forse letale – per il gabinetto
Netanyahu.
Ciò che resta a Israele è insistere nel proporre una retorica
aggressiva ma sostanzialmente vuota. Netanyahu intende in altre parole
fare la voce grossa ma con armi spuntate, visto che nessuno in Israele
desidera in questo momento una guerra con Hezbollah. Così, mentre Gantz
minacciava reazioni pesanti contro “qualsiasi atto di terrorismo”, ha
spiegato mercoledì il Jerusalem Post, Israele faceva sapere al governo libanese che Tel Aviv “non vuole un’ulteriore escalation dello scontro con Hezbollah”.
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