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30/07/2020

La pandemia “alla peruviana”: privilegi, sfiducia e violenza

A un mese dalla fine del confinamento

Come in tutto il mondo, in Perù l’epidemiologia è uno strumento tecnico-scientifico utilizzato nel processo decisionale politico per il contenimento della SARS-Cov-2.

Adattato ai dati nazionali, il grafico epidemiologico non conosce estremi: delinea una linea che aumenta gradualmente la sua pendenza senza mai raggiungere un picco o un livello della durata di più di una settimana. Né le capacità sempre precarie del sistema sanitario pubblico, né le misure di contenimento che le persone hanno infranto per settimane a causa dell’urgente necessità di lavorare per mangiare, sono state in grado di fermare l’espansione e il radicamento del virus nella popolazione.

Un mese dopo il decreto di de-confinamento, il numero di persone infette è salito a più di 380.000 e il numero di morti a quasi 18.000 persone. Non si tratta qui di dare una spiegazione delle cause del fenomeno della pandemia alla maniera peruviana, ma di indicarne gli effetti.

La prima è l’incapacità della politica di governo di immaginare il futuro della convivenza con il virus (anche qui si usa l’assurdo termine “nuova normalità” senza alcuna discussione). Questa incapacità è dovuta al fatto che l’epidemiologia descrive un solo tipo di entità (gli infettati) in due tipi di situazioni sociali (casa o ospedale), con una temporalità basata su tagli statistici alla fine di ogni giornata1.

Il futuro della convivenza va immaginato in termini politici, data la prevista lunga durata della pandemia. Tuttavia, la via d’uscita è stata burocratica: stabilire procedure e permessi per la riapertura dell’economia formale, su insistenza di gruppi di pressione (ad esempio, la Società Nazionale delle Industrie). Mentre l’economia informale nel paese segue le proprie regole del gioco (il 70% della popolazione economicamente attiva lavora in questa economia).

Il secondo è che la politica epidemiologica, attraverso i suoi comitati di esperti e gli strumenti di misurazione, ha sistematicamente sotto rappresentato alcuni gruppi sociali. Per esempio: comunità indigene e contadine, poveri che si ammalano e decidono di morire in casa.

La questione della sotto rappresentazione è oggi una delle più importanti. C’è un notevole divario tra i dati raccolti dai governi regionali e quelli del Ministero della Salute. Si ipotizza che non siano 18.000, ma più di 40.000 i morti a livello nazionale, confrontando i decessi da marzo a luglio 2019 con quelli del 2020.

Di conseguenza, l’Esecutivo ha dovuto recentemente cambiare parte del gabinetto dei ministri e richiedere un’onestà nei dati. Da un giorno all’altro, quasi 4000 morti sono state aggiunte ai conti ufficiali.

È innegabile che sia l’incapacità di immaginare la convivenza sia il fenomeno della sotto rappresentazione puntano allo stesso problema: la nostra incapacità di articolare un’azione collettiva in grado di contenere gli effetti devastanti della pandemia sulla salute, sull’economia e sulla società nel suo complesso.

La tensione tra individuo e persona

Agire come collettività, come un noi ampio ed egualitario è ciò che noi peruviani non sappiamo fare. Per spiegare il problema dell’azione collettiva, le immagini binarie ereditate da altre latitudini, come modernità contro tradizione, noi contro altri, inclusione contro esclusione, sono di scarsa utilità. Infatti, la pandemia da SARS-Cov-2 ha portato alla luce il vero problema della società peruviana, quello che collega il nostro passato al nostro presente: la tensione tra individui e persone.

In America Latina, il mix organizzativo della vita sociale non è solo sangue. Consiste, piuttosto, nella coesistenza tra individui e persone2. Tra coloro che possono essere considerati “cittadini uguali davanti alla legge” e che, quindi, sviluppano una biografia nell’ambito dello Stato di classe, e quelli il cui status/potere è sempre soggetto ad un “ordine gerarchico”, sulla base del quale ci sono i peruviani + 1 e i peruviani -1, ovvero di prima e di seconda classe3.

Ciò non significa che le persone siano fuori dallo Stato, mentre gli individui sono dentro. È una questione di grado più che di essenza. Così, a seconda del contesto e dell’oggetto dell’interazione, in Perù si sa quando agire come un individuo che rispetta le regole o come una persona che, grazie al dispiegamento di contatti personali, ingegnosi trucchi o semplici sciocchezze, può ri-significare le regole scritte a modo suo e secondo le sue particolari preferenze.

Solo quando ci troviamo di fronte a un problema che richiederebbe l’applicazione di politiche, regolamenti o azioni egualitarie e universali, esse finiscono per essere qualificate da particolari privilegi o soluzioni transitorie che danneggiano, a lungo termine, la fiducia pubblica.

La questione dei privilegi

Quando le cose si mettono male, l’appello è per il privilegio piuttosto che per l’uguaglianza. Durante e dopo il confinamento obbligatorio, il ruolo delle cliniche private è stato motivo di preoccupazione. Un sistema sanitario pubblico frammentato e collassato (niente letti, niente ossigeno, niente camere di terapia intensiva) fin quasi all’inizio della pandemia ha lasciato molte persone senza speranza.

Tuttavia, in Perù c’è il sistema delle cliniche privata (il marchio del neoliberalismo nel settore della salute), che descrive una notevole gerarchia di potere e di status che guida il trattamento delle persone. Ci sono le cliniche “pituco“, accessibili solo con assicurazioni private molto costose. Ci sono le cliniche “half-health“, dove le cure sono coperte da un’assicurazione più modesta o dall’utente stesso che deve pagare l’intera assistenza; non sorprende che queste cliniche non abbiano né personale qualificato né infrastrutture sufficienti, in modo che il paziente sia sempre portato da una clinica all’altra, da un test all’altro. E poi ci sono le cliniche “nere“, dove chi le frequenta può ricordarsi di essere un peruviano meno -1: lì può succedere di tutto, per esempio, medicinali falsi, medici senza titolo, strutture al secondo piano di un mercato alimentare coperto, ecc.

Per chi conosce Lima, sa che lo stesso fenomeno si osserva nel sistema dei trasporti, nel sistema educativo o nel sistema pensionistico. Riproducono un ordine gerarchico in cui la disuguaglianza non è binaria, ma graduale.

Il fatto è che le cliniche hanno cominciato ad accogliere i pazienti della Covid-19: persone senza assicurazione privata e disperate, che non potevano immaginare il conto che avrebbero ricevuto in preda alla paura. Per un’assistenza di 20 giorni in terapia intensiva l’importo può essere superiore a 160 mila Soles (40 mila euro, circa). Se il paziente guarisse in salute, morirebbe finanziariamente. È stato quindi riproposto ancora una volta il dilemma essenziale di questo periodo: salute contro economia, dignità contro privilegio.

Il Consiglio dei ministri ha condotto una trattativa infruttuosa con l’Associazione delle cliniche peruviane, fino a quando i primi scandali non hanno reso impossibile alle cliniche nascondere la loro miseria morale: hanno fatto pagare fino al 1000% in più per i farmaci applicati nella cura, hanno costretto i parenti a anticipare un “pagamento” iniziale per il ricovero del paziente, e, nel caso che il paziente fosse deceduto, sono stati costretti a pagare il debito totale per ricevere il certificato di morte medica.

L’indagine pubblica ha dimostrato che ciò si spiega con la collusione delle cliniche con le assicurazioni private, che a loro volta sono annesse al sistema bancario nazionale, che è in mano a poche famiglie con cognomi aristocratici. Tale collusione è alla base della miseria morale del neoliberismo.

La trattativa con il Presidente dell’Associazione cliniche private si è conclusa con l’istituzione di un irrisorio “forfait” (termine utilizzato nel settore della telefonia mobile) di 50 mila Soles (12 mila euro), che sarà addebitato a qualsiasi persona senza assicurazione privata che richieda i servizi di una clinica. La persona deve richiedere che la previdenza sociale paghi l’importo alla clinica. In altre parole, un accordo burocratico ha avuto la precedenza sulla richiesta di nazionalizzare il sistema sanitario privato, almeno temporaneamente.

La salute è una questione di privilegio, e il privilegio delle cliniche e dei loro utenti ben assicurati è difficile da rompere. Questi privilegi vanno a scapito della salute pubblica.

L’atmosfera di sfiducia

Potremmo dire che l’effetto più radicato di una disposizione gerarchica basata su particolari privilegi è un’atmosfera persistente di sfiducia verso gli altri.

La fiducia diventa un sentimento morale precario quando si constata che, in determinate circostanze (difficili da definire a priori), una persona può appellarsi ai suoi privilegi di cognome, alla sua cerchia di amici o al suo status di classe per imporre una volontà su questioni che, chiaramente, richiedono soluzioni universalistiche.

La pandemia di Covid-19 ha mostrato l’epidemia di sfiducia e il deterioramento delle istituzioni sociali in Perù. Non solo le istituzioni sanitarie sono crollate a livello nazionale, ma non esistono alternative egualitarie per affrontare l’emergenza.

Questa è la differenza tra l’uso globale della parola “collasso” e la parola “deterioramento“. Mentre il collasso si riferisce al venire meno di un insieme di capacità installate di un collettivo per far fronte a una minaccia, il deterioramento spiega la disuguaglianza di fondo che corrode l’architettura delle istituzioni sociali. La continuità della pandemia in America Latina minaccia non solo il crollo dell’assistenza sanitaria, ma anche il deterioramento dei legami sociali.

Il deterioramento della “casa”

Un esempio del deterioramento è ciò che accade quando si dice alle persone di “stare a casa”. Di fronte alla pandemia, la casa servirebbe da metafora per l’assistenza all’interno dell’unità sociale più elementare: la famiglia. Tuttavia, la realtà indica che la casa è più una metafora di uno scenario di violenza e subordinazione, dove le donne subiscono gli effetti di un altro tipo di gerarchia dominante in questo paese: la gerarchia patriarcale.

I dati ufficiali sono inquietanti, sia per quello che dicono sia per quello che non dicono. Durante il periodo di reclusione obbligatoria, sono stati registrati 915 casi di donne, ragazze e adolescenti scomparsi in tutto il paese4. Inoltre, sono stati segnalati 28 casi di femminicidi completati, 32 tentativi e 15 morti violente di donne, che non sono ancora classificati come femminicidi. Come in molti altri luoghi, il femminicidio è una forma di violenza di genere che si esercita all’interno della più intima cerchia di appartenenza: in famiglia o nelle relazioni di coppia.

Questo è ciò che mostrano i dati. Ma, sono noti per essere il prodotto di una sotto-registrazione. Vale a dire che la quarantena e l’obbligo di allontanamento sociale hanno ulteriormente nascosto un fenomeno che, di per sé, è invisibile. La Defensoria del Pueblo, nella sua relazione su “Uguaglianza e violenza” del giugno 2020, sottolinea che: “dall’entrata in vigore delle misure di isolamento sociale obbligatorio, le cifre reali della violenza contro le donne sono state rese invisibili, a causa delle difficoltà di accesso ai servizi per la presentazione delle denunce, della riduzione della qualità dell’assistenza fornita dagli operatori della giustizia, della non prioritizzazione della violenza classificata come a rischio leggero o moderato, e delle restrizioni alla libertà di movimento” (p. 3).

La sotto-registrazione della violenza è espressione del deterioramento delle istituzioni sociali che, in linea di principio, dovrebbero essere orientate verso l’assistenza collettiva. Come per i dati sui decessi derivanti da Covid-19, l’importante qui è essere onesti su quanto è accaduto durante i mesi di reclusione.

di Joaquin Yrivarren: sociologo, professore universitario e musicista amatoriale

Note:

1 Yrivarren, J. (2020). ¡Más gráficos, por favor! Una epidemiología para cuidarnos juntos. Revista Quehacer, n° 5, http://revistaquehacer.pe/n5#mas-graficos-por-favor

2 Da Matta, R. (2002). “¿Sabe usted con quién está hablando? Un ensayo sobre la diferencia entre individuo y persona en Brasil”, pp. 184-254. En: Carnavales, malandros y héroes. Hacia una sociología del dilema brasileño. México D.F: Fondo de Cultura Económica.

3Nugent, G. (2010). El orden tutelar: sobre las formas de autoridad en América Latina. Lima: DESCO, CLACSO.

4 Va evidenziato che in Perù non esiste un sistema per la registrazione delle persone scomparse e che nella nostra legislazione la scomparsa non è riconosciuta come una forma di violenza di genere.

Fonte

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