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24/07/2020

Recovery Fund: soldi nostri spesi come dicono loro!

Scene di giubilo stanno accompagnando la sottoscrizione dell’accordo sul Recovery Fund al termine di un maratona durante la quale si è plasticamente manifestata la vera natura dell’UE: un’unione di Stati rissosi, in feroce competizione tra loro, ove egoismi ed interessi particolari determinano alleanze a geometria variabile.

Disintegrata la narrazione sulla natura solidale ed inclusiva dell’UE, viene a galla in tutta evidenza il dispositivo coercitivo dell’architettura europeista che, attraverso il Recovery Fund, si dota di un ulteriore e potente strumento per imporre in maniera ancora più stringente quelle riforme strutturali (i famigerati “compiti a casa”) che solo qualche anno fa furono sperimentate sulla pelle della popolazione greca, con le conseguenze che tutti conosciamo.

A farne le spese il nostro paese e in generale i paesi del Sud Europa, a trarne giovamento la linea del rigore della Germania e dei cosiddetti paesi “frugali” che, formalmente capitanati dall’Olanda – uno Stato che ha costruito le sue fortune sul dumping fiscale ed oggi impartisce lezioni di rigore contabile – vedono levitare gli sconti sui contributi da versare al bilancio comunitario (i cosiddetti rebates).

Ma non vi è dubbio che il premier olandese, sul quale a parole si sono concentrati gli strali del nostro governo, è solo un figurante che non avrebbe potuto giocare alcun ruolo senza la regia occulta della Germania, vero deus ex machina dell’accordo.

Ed allora dove risiede “quel risultato storico che appartiene a tutta l’Italia” come ha tuonato il premier Conte?

Semplicemente non c’è, né per quanto riguarda la composizione delle risorse, né per quanto concerne il procedimento decisionale che consentirà l’accesso ai fondi sottraendo ulteriori margini di autonomia politica al nostro paese.

Per quanto concerne la composizione del fondo, sul complesso delle risorse riservate ai 27 paesi UE pari a 750 miliardi (390 miliardi falsamente definiti a fondo perduto e 360 in prestiti) al nostro paese spetteranno 209 miliardi dei quali 81 miliardi in trasferimenti e 127 in prestiti.

E qui si gioca il primo inganno, perché non ci sono pasti gratis nell’UE e quei soldi non costituiscono in alcun modo una elargizione benefica: tutto il Recovery Fund si basa, infatti, su debiti che dovranno essere ripagati.

I 127 miliardi di prestiti, con conseguente aumento del debito pubblico dovranno essere regolarmente rimborsati, se pur con tassi di interesse contenuti; mentre i tanto sbandierati “contributi a fondo perduto”, su cui si gioca la vera mistificazione, non sono altro che la restituzione da parte dell’Europa di quanto riceve dai singoli Stati attraverso la contribuzione che ogni paese versa al bilancio europeo.

Questo spiega perché il documento sul Recovery Fund unisce il piano di ripresa dai danni del Covid-19 con le misure legate al bilancio UE 2021-2027. E nel caso dell’Italia il saldo tra quanto versato al bilancio comunitario e quanto verrà restituito attraverso contributi impropriamente definiti a fondo perduto, potrebbe essere addirittura negativo!

Ma è sul versante dell’iter decisionale che si consuma la vera disfatta per il nostro paese perché, all’interno di un asfissiante dispositivo di controllo, subiremo una doppia condizionalità: sia per quanto riguarda la destinazione delle risorse, che potranno essere indirizzate solo ai programmi di digitalizzazione e transizione ecologica, temi oggi al centro della competizione tra macro aree economiche, sia per quanto concerne la subordinazione dell’erogazione dei fondi all’allineamento con il semestre europeo e le raccomandazioni della Commissione europea ai singoli Paesi.

Si tratta di quelle riforme strutturali (pensioni, sanità, PA, lavoro) utili per ripianare il debito pubblico. Come ha candidamente riconosciuto Ursula Von der Lyen, “finora dipendeva solo dai paesi rispettarle o meno, ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e potenziali prestiti”.

Tradotto: uno stillicidio di cavillosi controlli dovrà accompagnare ogni singola rata di corresponsione del fondo la cui prima tranche, pari a circa 8 miliardi, arriverà soltanto nel 2021.

E proprio per assicurarsi meccanismi di sorveglianza sempre più pervasivi, la linea dei paesi “frugali” eterodiretti dalla Germania ha anche incassato un inasprimento dell’iter decisionale. Dopo il giudizio preventivo della Commissione sul piano di riforme presentato da ogni singolo paese, subordinato alla verifica degli impegni assunti in materia di tagli alla spesa sociale, la palla passa al Consiglio europeo, che deciderà a maggioranza qualificata qualora anche un singolo paese (il cosiddetto “Freno a mano”) segnali l’inadempienza di un altro Paese.

In sintesi un blocco di Stati – la Germania e i suoi satelliti “frugali” – potrà in qualsiasi momento inibire l’erogazione dei fondi, se valuteranno il “piano di riforme” del nostro paese non rispettoso degli impegni assunti. Un inasprimento della sorveglianza e la riproposizione di quella gerarchia tra Stati (a tutto svantaggio dei paesi mediterranei sotto l’eterno ricatto del debito) che sin dall’inizio ha caratterizzato la costruzione europeista.

Morale della favola: soldi nostri spesi come dicono loro!

Se persino un evento drammatico come la pandemia viene utilizzato come forma di disciplinamento sociale, si ripropone ora più che mai la questione della rottura del dispositivo austeritario dell’UE quale precondizione per recuperare tutta la capacità di spesa che occorre per affrontare l’emergenza e il dopo emergenza.

Una necessità per chiunque non voglia rassegnarsi ad un futuro fatto di miseria e devastazione sociale.

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