Mancano ormai solo una quarantina di giorni alla ripresa dell’attività scolastica, ma mancano soprattutto certezze su come essa avverrà.
Si moltiplicano voci e polemiche sulla distanza che i ragazzi dovranno mantenere, vale a dire il metro “statico” o “dinamico”, senza tenere conto che soprattutto i più piccoli non sapranno rispettare tale indicazione, e sulla precisazione che la “zona cattedra”, cosa da anni trenta, dovrà essere invece di due metri, mentre sembra invece ormai acquisito che la distanza si dovrà calcolare tra le “rime buccali”.
L’Alto Adige pensa, per aiutare il distanziamento fisico, di collocare delle piante nelle aule, mentre si discute della possibilità di utilizzare gli studenti dei corsi di laurea di educazione primaria come insegnanti a gettone, usa e getta, in caso di bisogno.
Il commissario Arcuri dichiara che provvederà a che tutti gli alunni siano dotati dalle scuole di mascherina sanitaria, e dice che ne ordinerà dieci milioni per ogni giorno di scuola, ma soprattutto si appresta a bandire un concorso per tre milioni di banchi-gabbietta di “nuova generazione”, che costano circa 300 euro l’uno, circa sei-sette volte un banco tradizionale, ma che non sembra siano particolarmente richiesti dalle scuole. Rimarranno nei magazzini?
Ancora più inquietante la questione dei test sierologici al personale della scuola; la Ministra dice che si devono fare ma, essendo la medicina preventiva scolastica ormai un lontano ricordo, non si sa chi dovrà praticare il prelievo a docenti e ATA, operazione non irrilevante, dato che si parla di oltre un milione di persone. E tutto si dovrebbe organizzare, ormai, in un mese.
Infine, nessuno sembra dare risposta ai docenti over 55 (quasi i due terzi nella secondaria superiore) che, essendo categoria a rischio, temono che il rientro in classe possa essere pericoloso per la loro salute e la loro vita.
Una situazione molto confusa, a cui si aggiunge la difficoltà dei dirigenti scolastici nel reperire o creare spazi adatti per l’attività didattica con pochi fondi e poche collaborazioni, in una situazione in cui per anni si è proceduto ad accorpamenti di istituti e dismissione di scuole, riempiendo come uova anche l’ultimo sgabuzzino.
In tale situazione di difficoltà ha tentato d’inserirsi la CISM, (Conferenza Italiana Superiori Maggiori), l’associazione delle scuole private, che ha un importante patrimonio edilizio utilizzato solo in parte, offrendo spazi alle scuole pubbliche. Un’offerta che il governo, per fortuna, sembra intenzionato, almeno per il momento, a lasciar cadere.
Sulla questione spazi si è mobilitata anche la Fondazione Agnelli che mette a disposizione delle scuole una piattaforma per calcolare quanti alunni possono entrare in un’aula, forse pensando che i dirigenti siano così grulli da non sapere che una classe di 28 ragazzi non può esistere con le attuali norme sulla sicurezza Covid.
Invece, tra le tante incertezze, rimane evidente che l’organico docente e ATA non sarà sufficiente per realizzare una riduzione del numero degli allievi per classe, fatto testimoniato anche dai già citati penosi tentativi di soffiare fumo sulle distanze statiche o dinamiche, sulle rime buccali o sui banchi di nuova generazione, per nascondere che alla fine le classi avranno lo stesso numero di alunni degli anni scorsi.
Purtroppo, in un tale contesto desolante, s’inseguono le voci sull’ipotesi, che sta avanzando nella testa di numerosi dirigenti, di ricorrere ancora, almeno in parte, alla didattica a distanza. Si tratta di un’eventualità che trova l’opposizione di tutte le componenti scolastiche e del movimento “Priorità alla scuola”, che lunedì 13 ha esposto ai presidenti regionali, e segnatamente all’emiliano Bonaccini, presidente della Conferenza delle regioni, il suo dissenso rispetto all’accettazione, da parte dei presidenti stessi, delle Linee guida del Ministero per la ripresa e di finanziamenti troppo esigui da parte del Ministero.
Ma, francamente, dai presidenti delle Regioni non c’era da aspettarsi granché.
Sul tema della didattica a distanza, che potrebbe dunque, in forme più o meno estese, ritornare a essere impiegata, è uscito nei giorni scorsi un rapporto della Fondazione Openpolis che pone in relazione disuguaglianze digitali e povertà educativa. Tale rapporto si pone in continuità con molte delle osservazioni che sono state sviluppate da più parti sulla didattica a distanza, confermando che il divario digitale che esiste tra gli alunni accresce le disuguaglianze nella fruizione del diritto allo studio ed è un’ulteriore dimensione della povertà educativa.
In realtà, partendo dal divario digitale, il rapporto di Openpolis traccia un quadro che deve far vergognare i tanti tronfi predicatori dell’Italia come “grande potenza economica”. Infatti, le cause del divario digitale si connettono immediatamente alla condizione di vita dei giovani, in particolare con la constatazione che la povertà – non solo educativa, ma economica – aumenta con il diminuire dell’età; in pratica la fascia dei minori 0-17 anni è quella dove, in percentuale, ci sono più poveri.
Un fattore legato alle condizioni familiari che incide negativamente sulla possibilità di fruire di corsi a distanza è quello del sovraffollamento dell’abitazione, che riguarda ben il 41,9% dei minori, mentre il 7% tra questi vive un disagio abitativo, vale a dire case buie, malsane o in condizioni precarie. In tali condizioni è evidentemente difficile trovare la tranquillità e la concentrazione necessarie per la didattica a distanza.
Venendo a dati più strettamente connessi con il possesso di dispositivi digitali, il rapporto Openpolis evidenzia che il 12,3% dei minori non ha alcun dispositivo in casa e il 5,3% delle famiglie dichiara di non potersi permettere l’acquisto di un PC. Il 57% dei minori non possiede un dispositivo personale, vale a dire che deve condividerlo con fratelli, sorelle e genitori; solo il 6,1% delle famiglie dispone di un pc per ciascun componente.
A questi dati va aggiunto il grande divario nella possibilità di connessione tra poli e aree interne; in vaste aree del paese non è possibile disporre di connessioni rapide, problema a cui nessun governo ha saputo dare soluzione. In una situazione come quella descritta un ritorno, anche per il prossimo anno, alla didattica a distanza potrebbe causare ulteriori disparità tra gli alunni e aumentare la povertà educativa. Il rischio è che il distanziamento fisico diventi distanziamento sociale di classe.
Esiste infine un problema su cui pochi si sono sinora soffermati, riguardante più il versante pedagogico che non quello didattico. L’educazione dei bambini, nella nostra società, non è affidata esclusivamente alla famiglia e proprio per questo esiste l’istituzione dell’educazione obbligatoria che si estrinseca attraverso la scuola, come è anche previsto dalla Costituzione italiana.
Inoltre, per la loro crescita psicologica e per la conquista dell’autonomia, i bambini/e e i ragazzi/e hanno bisogno di spazi e ambiti in cui confrontarsi con la realtà a prescindere dalla loro famiglia e in autonomia rispetto ai genitori. Potremmo dire, con un termine oggi molto usato, che la scuola agisce in funzione di “distanziamento” necessario dai genitori, affinché il bambino possa costruire la propria autonomia e identità in un mondo ampio e che non preveda un controllo familiare.
Anche per questo, è importante che le scuole riaprano e che i bambini possano riprendere a navigare nel sociale, costruendovi relazioni più vaste e autonome rispetto all’ambito familiare. La didattica a distanza, di cui si fruisce in casa e, in diverse occasioni, come si è verificato, con la partecipazione e l’aiuto dei genitori, tende invece a rinchiudere il bambino all’interno della relazione parentale e non favorisce, di conseguenza, il suo sviluppo autonomo e indipendente negando tra l’altro la relazione e l’apprendimento tra pari.
Credo che anche questo aspetto debba essere tenuto in conto, poiché è uno degli elementi che sostanzia l’affermazione, più volte proposta, per cui il bambino ha bisogno della scuola come contatto sociale modulandola sull’acquisizione di autonomia e sviluppo dell’identità.
Per tutte queste ragioni, è importante continuare a lavorare, nelle prossime settimane, affinché il rientro a scuola avvenga davvero in presenza, e non sia dimezzato o sostituito in parte dalla didattica a distanza.
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