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27/07/2020

Polizie, militari e fascisti. Un amore senza fine...

La vicenda che ha interessato i carabinieri della caserma Levante di Piacenza è entrata a gamba tesa nel dibattito nostrano (e non solo).

L’inchiesta ha portato a diversi arresti e nelle prossime ore potrebbero anche aumentare. Le accuse, com’è noto, sono per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falso ideologico.

Nell’ordinanza cautelare, un particolareggiato documento di 326 pagine suddiviso in capitoli, si parla di arresti completamente falsati e di perquisizioni arbitrarie.

Tra le migliaia di intercettazioni, c’è anche una registrazione audio – carpita grazie a un malware trojan installato nel telefono di uno degli aguzzini – che fa emergere il modus operandi di questi “eroi in divisa”: si sentono chiaramente le percosse date a un presunto spacciatore, che si lamenta e chiede pietà, in preda al pianto e a continui colpi di tosse, probabilmente dovuti a una forzata ingestione d’acqua.

Durante una conferenza, il procuratore capo di Piacenza, Grazia Pradella, ha affermato “Siamo di fronte a reati impressionanti, se si pensa che sono stati commessi da militari dell’Arma dei carabinieri. Si tratta di aspetti molto gravi e incomprensibili agli stessi inquirenti che hanno indagato. Una serie tale di atteggiamenti criminali che ci ha convinto a procedere anche al sequestro della caserma dei Carabinieri per futuri accertamenti”.

Che tutto questo sia estremamente grave, siamo d’accordo, sulla presunta incomprensibilità molto meno.

Quanto accaduto ci è chiarissimo, ed è la quasi “normale amministrazione” dei corpi armati in molte, troppe, caserme. Non siamo stupiti e non crediamo, come qualcuno cerca di farci pensare, che quello di Piacenza sia semplicemente “un caso isolato” e quei carabinieri delle “mele marce”.

Ad esempio, appena è stata pubblicata la notizia, Roberto Saviano ha scritto un breve post in cui afferma “Voi non siete carabinieri”. No, Robè. Quelli invece sono proprio carabinieri.

Lo scoop è infatti venuto fuori a ridosso del triste anniversario dei fatti del G8 di Genova del 2001, una delle più gravi pagine della storia di questo Paese, che ricordiamo per la morte di Carlo Giuliani, ucciso da un collega degli audaci “leoni di Piacenza”.

Per la “notte cilena” della scuola Diaz, una feroce violazione dei diritti umani, di cui fu protagonista un grande e imprecisato numero di forze dell’ordine, degna del regime di Pinochet, dittatore inneggiato in un coro cantato dai manganellatori, tra le urla e il rumore di ossa rotte dei manifestanti.

Per le torture alla caserma di Bolzaneto, operate addirittura con la collaborazione di alcuni medici della “penitenziaria”.

C’è anche un particolare di questo avvenimento che non ci è per niente nuovo: l’appuntato Giuseppe Montella, ritenuto il vertice della banda, ha scelto come suo avvocato Emanuele Solari, esponente locale del partito neonazista “Forza Nuova”, già candidato sindaco per la suddetta organizzazione in occasione delle elezioni amministrative in città, nel 2017 .

Nelle ultime ore, è stato diffuso lo screenshot di un post Facebook dell’avocato Solari in compagnia di una sua collega, entrambi con il basco e un manganello in mano, e con un celebre motto mussoliniano sgrammaticato in didascalia che incornicia il quadretto già ridicolo: “Obbedire, credere,combattere!”

Tra i vari commenti degli amici camerati, c’è anche quello del carabiniere Montella: “Sei il numero uno”.

Probabilmente, il nostro eroe in divisa, oltre a torturare e spacciare droga, ben nascosto dentro la divisa, è anche un fascista. Non proprio una novità, anzi...

Il connubio stabile tra forze dell’ordine e neofascismo è un fatto assodato, non solo a Piacenza, ma in tutto il Paese.

D’altronde, il Direttore tecnico delle scuole di polizia nel dopoguerra fu Guido Leto, ex fondatore e capo assoluto dell’Ovra (il servizio segreto interno del fascismo), che ebbe anche il ruolo, nel 1948, di riattivare i servizi segreti fascisti, mai del tutto smantellati in quanto ritenuti utili per scongiurare il “pericolo comunista” e i prevedibili conflitti sociali e politici relativi alla guerra fredda.

Questo può in parte essere una spiegazione del perché, ancora oggi, nonostante la palese violazione del reato di apologia di fascismo e della Legge Mancino che l’esistenza e i programmi di tali organizzazioni comportano, le forze dell’ordine li difendono, caricano i manifestanti per proteggerli, li scortano durante le loro parate, e addirittura rimproverano e allontanano i giornalisti colpevoli di “averli provocati”.

Questo legame è dimostrabile dallo stillicidio di eventi che stranamente si verificano ogni volta che i neofascisti posano piede in piazza, e che abbiamo più volte riportato anche su questo giornale.

Come se tutto questo non bastasse, appena due giorni fa sono state pubblicate delle foto che ritraggono una bandiera di Casapound esposta in una stanza del Commissariato Esquilino a Roma.

E così, Elena Ricci, curatrice dell’ufficio stampa del Sindacato Autonomo di Polizia e già nota alla cronaca per aver messo in dubbio la correlazione tra le percosse e la morte di Stefano Cucchi, scrive un post sulla sua pagina Facebook, avanzando la sua strampalata spiegazione di quanto è accaduto.

Si legge: “In merito a questa bandiera che si intravedeva dalla finestra di una stanza del commissariato Esquilino, la Questura di Roma, oltre a comunicarne la rimozione, ha precisato che si tratta di un oggetto sequestrato durante i cortei e posto in quella stanza che, appunto, è adibita a deposito di ogni oggetto e mezzo sequestrato durante le manifestazioni o sgomberi.”

Ah, adesso è tutto chiaro! Non era una bandiera loro. Era stata sequestrata, e magari è stata appesa per farla asciugare.

Alla giornalista faremmo allora una domanda: ma se i poliziotti, quando sequestrano una bandiera, usano appenderla in bella vista, com’è che non si è mai vista – chessò – una bandiera di Potere al Popolo o similari sventolare in una questura?

Noi ci auguriamo che, dopo la rivelazione di questa brutta storia di violenza, venga fatta luce sulle tante storie che sono state occultate e che sono ancora nascoste dentro le altre “caserme degli orrori”.

Ci auguriamo, inoltre, che all’avvocato dal cuore nero sia data la possibilità di andare a trovare il suo amico appuntato quando quest’ultimo sarà in galera, perché ci dispiacerebbe che possa terminare quello che nel nostro Paese è un amore senza fine.

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