Uno spaventapasseri con una zucca di Halloween in fiamme al posto della
testa, sullo sfondo un tramonto urbano color porpora, che lascia
presagire l'imminente calare delle tenebre e il sorgere di una luna
maligna: "Bad Moon Rising". Più che un'immagine, la foto firmata da
James Welling in copertina è un maleficio a stelle e strisce. Il sogno
americano infilzato come una bambola voodoo. "Volevo usare la metafora
della zucca perché mi piaceva come simboleggiava le paure degli
americani", spiegherà Thurston Moore. A ispirarlo nel titolo era stata
l'omonima canzone di "Green River" dei suoi idoli Creedence Clearwater Revival, così lontani musicalmente dai Sonic Youth
eppure così vicini alle loro fosche premonizioni. Attraverso quella
espressione mutuata dal gergo blues, infatti, nel 1969 John Fogerty e
compagni avevano gelato l'euforia flower power, ammonendo sulle
sciagure in arrivo ("I see bad times today") e puntando il dito contro
le contraddizioni di un'America che aveva ormai perduto la sua
innocenza, tra guerre, violenze e scontri sociali. Più o meno ciò che
avevano profetizzato due anni prima i Doors di "Strange Days" e, in modo ancor più cupo e nichilista, i Velvet Underground dell'esordio. Ma ribadito da quei padri fondatori del genere patriottico per eccellenza, l'americana, il concetto suonava ancora più inquietante.
Il terrore di Helter Skelter al tempo di Reagan
Sotto
la luce giallastra e malata di quella "Bad Moon Rising" si era
consumata la dissoluzione dell'era dell'Acquario, idealmente sancita da
due sanguinosi eventi di quell'anno: l'incubo a cielo aperto di
Altamont, dove nel corso di un concerto dei Rolling Stones
un giovane afroamericano fu accoltellato a morte da parte del "servizio
d'ordine" fornito dagli Hells Angels, e i massacri ad opera della setta
di Charles Manson a Los Angeles, incluso quello celeberrimo di Cielo
Drive, in cui fu uccisa Sharon Tate, la moglie di Roman Polanski.
Tre lustri dopo Thurston Moore, Lee Ranaldo e Kim Gordon
ripartono proprio lì, da quell'orgia di violenza, droghe e follia al
grido di "Helter Skelter" che affossò per sempre l'utopia hippie. Perché
ai Sonic Youth il "nuovo mattino per l'America", preannunciato dallo
slogan elettorale di Ronald Reagan, suona fasullo e illusorio tanto
quanto lo era il "peace & love" della generazione freak, destinato a
essere spazzato via dal realignment nixoniano. L'imperialismo
guerrafondaio in America Latina (con gli interventi in El Salvador e
Nicaragua), le crescenti disuguaglianze sociali, la crisi economica e il
dilagare del crack (una nuova eroina degli 80's) appaiono a Moore e
soci i nuovi tasselli del mosaico di un'America in disfacimento.
Lanciata a folle velocità verso il baratro della sua "Death Valley '69".
Nella Valle della Morte
Per suggellare quella discesa agli inferi, metafora di una radicale negazione della daydream nation
repubblicana degli 80's, Moore ingaggia colei che quel "No" lo aveva
scritto a caratteri cubitali alla testa di un movimento intero: la No wave. Eppure l'incontro con Lydia Lunch avviene in modo del tutto casuale, su un autobus. Il cantante-chitarrista aveva ancora in mente quel riff ruvido e diabolico, strimpellato da qualcuno della band durante le prove. Chiede alla Queen of Siam
di aiutarlo a scriverci sopra un testo e cantarlo insieme. Il risultato
lo chiamano "Death Valley '69", in omaggio all'espressione usata da Ed
Sanders nel suo saggio sul caso Manson ("The Family").
Quel testo
altro non è altro che la trascrizione manipolata delle frasi pronunciate
da Susan Atkins, la "Sexy Sadie" della Manson Family che partecipò alla
carneficina di Cielo Drive ("I didn't wanna/ But she started to holler/
So I had to hit it/ Hit it/ Hit it/ Hit it"). E attraverso le sue
farneticazioni biascicate con bocca impastata di sabbia ("I got sand in
my mouth") pare quasi di assistere a quell'orrorifico road trip, dal fango delle baracche del Barker Ranch giù tra canyon e foreste, fino al lusso delle ville di Beverly Hills.
Ma
ancora più del testo, a trasformare questi cinque minuti di delirio
rock'n'roll in "una delle cinquanta canzoni più diaboliche di sempre"
(secondo la rivista Kerrang!) è la costruzione musicale: un corpo a
corpo anfetaminico tra le chitarre, con quel riff ammaliante
che pare il rombo di una moto degli Steppenwolf, un basso incalzante, e
poi quel crescendo ossessivo che esplode nel recitato frenetico e
farneticante dei due, in un magma ribollente di sovratoni, fino all'urlo
orgasmico di una depravatissima Lunch. Una geniale sinfonia assassina
che Mat Snow del Nme definirà "una Whole Lotta Love per la generazione del pogo einturzende", con riferimento ai rumoristi tedeschi Einsturzende Neubauten.
Già
uscita come demo e su Ep, e in questa seconda versione posta in
chiusura di "Bad Moon Rising", "Death Valley '69" ne rappresenta il
climax definitivo, ma anche l'unica traccia a sé stante, divisa dal
resto della scaletta come un bonus single a suggellare il
progetto. In quella Valle oscura, prende forma la faccia minacciosa
della sorridente cultura americana, che i Sonic Youth identificano nel
ghigno demoniaco di Manson. "Sotto molti aspetti, l'America è fondata
sulla morte – spiegherà Kim Gordon – La California si suppone sia
l'ultima frontiera, il paradiso, perciò è altamente simbolico che la
vicenda Manson si sia svolta lì".
"Death Valley '69" sarà il brano
che spingerà il disco oltre gli angusti argini del circuito noise-rock
newyorkese, grazie anche al traino di un riuscito videoclip – una sorta
di B-movie splatter diretto da Judith Barry e Richard Kern –
con una splendida Lung Leg (l'attrice poi ritratta nella copertina di
"Evol") e i membri dei Sonic Youth imbrattati di sangue, per un
truculento remake degli eccidi dell'8 e 9 agosto 1969 ad opera della setta mansoniana.
Il concept – Follia e morte nell'America perduta
Reduci da due dischi estremi e violenti (il debutto su Lp di "Confusion Is Sex" e l'Ep "Kill Yr Idols"), i Sonic Youth
ancora non erano riusciti a fare breccia, neanche nella critica più
lungimirante, incluso l'autorevole Robert Christgau. Così, prendendo
spunto dal verso "I don't know why you wanna impress Christgau", Moore
aveva pensato bene di trasformare il brano "Kill Yr Idols" in "I Killed
Christgau With My Big Fuckin' Dick" (!). A credere in loro era stato
invece Gerald Cosloy, boss della piccola Homestead, che li aveva messi
sotto contratto negli Usa. Sull'altra sponda dell'Atlantico, dove erano
paradossalmente più popolari, un altro loro estimatore, Paul Smith,
fonderà appositamente per loro la Blast First! (costola della Mute)
pubblicando come prima uscita proprio "Bad Moon Rising".
Registrato ai Before Christ Studios di Brooklyn con meno di settemila dollari, con Bob Bert al drumming e il supporto tecnico di Martin Bisi e John Erskine, il disco è strutturato come un concept-album
sui temi della morte e della follia. Un flusso lisergico in cui ognuno
dei due lati forma in pratica un'unica traccia, senza soluzione di
continuità tra un pezzo e il successivo.
Coerenti con il concept,
i Sonic Youth avevano ucciso anche le loro canzoni. Almeno stando alla
testimonianza dello stesso Moore: "Stava diventando tutto troppo fisico,
c'era molta più violenza, sembrava ci fosse un unico modo di vivere i
concerti, per cui la musica si faceva sempre più folle e noi pure, era
un autentico massacro", rivela a Matter nel 1984. Stanca di rinnovare
l'isteria di quei baccanali, la band si chiude in studio e cambia tutto,
dalle chitarre alle accordature, fino ai pick up: così sarebbe
stato impossibile riprodurre i vecchi brani e vi sarebbe stato spazio
solo per i nuovi: meno sguaiatamente hardcore, ma più fluttuanti ed
equilibrati. L'espediente dell'unico flusso sonoro serviva anche a
eliminare i "buchi" dei live, causati dai frequenti cambi di accordature
tra i brani e solitamente coperti da collage sonori preregistrati.
Per introdurre questo tableau di incubi distopici americani basta poco più di un minuto di arpeggi in trance
("Intro"), in cui la tensione pare rappresa, trattenuta tra quelle
corde metalliche che preludono al primo, furente cerimoniale noise-rock:
"Brave Men Run (In My Family)" – ispirato da un dipinto di Edward
Ruscha – cambia già passo rispetto alle schegge (post)punk degli esordi,
con il suo incedere pesante, sontuoso, scandito da un riff
epico, sotto una fitta grandine di dissonanze e clangori. Kim, novella
sposa di Thurston, piazza il suo primo colpo (da ko) alla sunshine family
americana: "Brave men run in my family/ Brave men run away from me",
ovvero l'ipocrisia del buon padre di famiglia e del capitano coraggioso
fatta a pezzi in un paio di strofe. Al suo posto un buco nero, "Society
Is A Hole": stavolta è Moore a impugnare il microfono, per un mantra
abulico, perfetto inno all'anomia della metropoli, che istituzionalizza
la menzogna ("It makes me lie to my friends") e terrorizza le persone
("And everybody is scared"). E mentre quell'unico accordo sfilacciato si
ripete all'infinito, puntellato dai colpi della batteria, la mente
corre al volantino Welcome To Fear City, diffuso in quel periodo dal
Council for Public Safety, con le regole di sopravvivenza nella giungla
urbana di New York, dilaniata dalla guerriglia e dal marciume. "We are
living in pieces/ I want to live in peace", chiosa un disperato Moore,
sottolineando una tensione ideale, quasi spirituale, che cerca di farsi
strada nel cuore di tenebra dell'album.
Chitarre in fiamme
Ma "Bad Moon Rising" e anche è soprattutto un disco di chitarre in fiamme,
che si dibattono agonizzanti tra distorsioni spaventose e accordature
alternative, inaudite. Allievi temerari del compositore Glenn Branca,
Moore e Ranaldo torturano le loro sei corde, le percuotono con oggetti e
bacchette, possedendole in ogni parte (corpo, manico, elettronica) ed
erigendo muri imbottiti di effetti (droning, feedback), capaci di generare quel suono roboante, sbilenco, ma sempre inconfondibile, assecondato da un drumming
sfibrante. Ne è un saggio il tour de force di "I Love Her All The
Time": oltre otto minuti di tellurico noise-rock introdotti da una
rivisitazione spiazzante di "Not Right" degli Stooges
e da una serenata sonnambula ("She comes into my mind/ Twisting through
my nerves/ I don't understand/ A word she says/ She's on my side") fino
alla deflagrazione che dal minuto 3'30 stravolge il tutto in un maelstrom
di chitarre dissonanti, sfregiate e arroventate fino all'implosione
finale, con brandelli di accordi e la cantilena letargica di Moore –
basata sull'iterazione di un intervallo di quarta discendente – che
finisce inghiottita dal mixer.
Ma dietro le atmosfere psicotiche si
cela l'ansia di fuga, che trova nell'amore l'unico rifugio possibile.
Anche sotto forma della "puttana fantasma" celebrata nella liturgia
allucinata di "Ghost Bitch", dove tra sirene angosciose, clangori
metallici e lancinanti feedback, Kim Gordon eleva una commossa
ode agli spiriti dei nativi e alla loro progenie di anime perdute ("Our
founding fathers laid right down/ And Indian ghost from long ago/ They
gave birth to my bastard kin/ America it is called"). Il peccato
originale dell'America che torna a galla, in un testo disperatamente
poetico, chiuso da un repentino lampo di speranza: "You're the first day
of my life".
Ormai sempre più in rotta di avvicinamento ai
tribalismi dell'industrial (il "pogo einsturzende" evocato da Nme), il
disco imbocca la dirittura finale con l'urticante dittico "I'm
Insane"-"Justice Is Might"; la prima assembla frammenti di racconti pulp
("a steaming swamp", "murdered angels", "inside my head my dog's a
bear") in un altro deliquio morfinico di Moore, sempre più
crooner-profeta di una nuova Blank generation;
la seconda si leva solenne tra rombi di tamburi ma si avviluppa presto
in una spessa coltre di caligine, con lo stridio meccanico delle
chitarre a spegnersi progressivamente come l'ultimo rantolo di un
moribondo.
Poi, ci sarà solo il precipizio della Death Valley.
L'eredità musicale
Accolto con diffidenza dalla critica dell'epoca, che giudicava i Sonics
"pretenziosi" e "artistoidi", del tutto ignorato da Rolling Stone, il
disco – come un novello "Velvet Underground & Nico"– finirà con il segnare un prima e un dopo nella grande saga del rock
alternativo americano. Un deragliamento definitivo, che ne sposterà i
confini ancora più in là, destrutturando e manipolando il formato
canzone, ma conservando sempre un occhio di riguardo per i canoni e
l'iconografia pop. Non a caso Kim Gordon e compagni diverranno le star
indie per antonomasia, grazie anche ai successivi "Evol", "Sister" e
soprattutto "Daydream Nation". Dai Nirvana ai Pavement, dai Fugazi ai Polvo, passando per gli Swans,
in tanti ringrazieranno questa congrega di blasfemi mestatori e le loro
danze profane attorno a quello spaventapasseri in fiamme.
Nel 1995 "Bad Moon Rising" sarà ristampato dalla Geffen con le bonus track
"Satan Is Boring" ed "Echo Canyon", oltre ai due lati B del singolo
"Flower"/"Halloween". Episodi sempre pregevoli, ma non paragonabili alla
potenza delle otto incandescenti pièce rumoristiche che fanno di questo monolite dei Sonic Youth uno dei capisaldi indiscussi del noise-rock.
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