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04/08/2020

L’odio di classe di Galli della Loggia

La pandemia e la crisi economica che l’accompagna, pur avendola preceduta, sta facendo cadere molti tabù, anche linguistici. Cose che prima era vietato scrivere, se non addirittura pensare, perché troppo orrende per essere pronunciate in pubblico con tanto di firma in calce, ora vengono squadernate come “normali”.

È una normalità nuova che puzza di ‘800, naturalmente. Perché la classe dominante, in specie i propri scriba (ammessi al salotto buono, ma sempre sul divano in fondo...), non ritengono più necessario rispettare un compromesso sulle “forme”, visto che quelli sulla “sostanza” (il rapporto di dominio nei luoghi della produzione e complessivamente nella società) sono stati aboliti.

Insomma, se un Carlo Bonomi, neo-presidente bocconiano di Confindustria, può permettersi di ripetere ogni giorno che le imprese debbono poter licenziare subito, senza attendere la fine della cassa integrazione straordinaria o in deroga che il governo vuol mantenere fino alla fine dell’anno; se lo stesso può indicare come “normale” l’abolizione dei contratti nazionali di lavoro e il pieno dominio dell’impresa sui dipendenti...

Perché mai non si può scrivere che i poveri – proprio come gli “extracomunitari”! – sono disgraziati senza speranza, “invidiosi” della ricchezza e addirittura “untori consapevoli”, meritevoli dunque della più dura punizione?

Direte voi: “ma avviene quasi tutti i giorni, sui giornalacci della destra o nelle trasmissioni Rete4 style...”

Vero. Ma ormai la “tendenza culturale” ha fatto breccia persino nel Corriere della Sera (che, qualcuno ricorderà, è da sempre il “salotto buono della borghesia italiana”, ora europea ed “europeista”, ci mancherebbe...). E addirittura nelle colonne degli editoriali a firma di Ernesto Galli della Loggia, censore di facili costumi con un archeologico passato “di sinistra”.

Un cumulo di scemenze che trasuda un “odio di classe” così esplicito che non si vedeva dai tempi dell’ancien regime, probabilmente. Quasi paradossale, in tempi in cui ogni quacquaraqua ben inserito nei quartieri alti si esercita in intemerate “contro l’odio”…

Un “crollo di stile” che ha scandalizzato, giustamente, anche un giovane ma beneducato cronista della rispettabile rivista Wired.

A voi il suo articolo, ovviamente senza privarvi del “piacere” – diciamo così – del “DellaLoggia-pensiero”... Ma in fondo, molto in fondo...

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Nel 2020 non si può leggere un editoriale come quello di Galli della Loggia sulle periferie

Simone Cosimi

L’editorialista del Corriere della Sera ha unito movida dei meno abbienti e coronavirus, accusando i giovani del “torbido proposito di seminare il contagio” fra i ricchi: com’è possibile pubblicare cose simili sul principale quotidiano italiano?

In uno scenario degno di un film di George Romero, l’editoriale di ieri di Ernesto Galli della Loggia in prima pagina sul Corriere della Sera disegnava i centri storici delle nostre grandi città come assediati da orde di giovani untori fuggiti dai recinti elettrificati delle periferie e pronti a infettare i salotti buoni “sputando sui citofoni dei fortunati che abitano in centro” in una sorta di confusa rivalsa di classe (sì, ha scritto proprio come nel virgolettato).

Secondo lo storico commentatore del principale quotidiano italiano, il “tema delle periferie” – che dovrebbe essere il cuore del suo articolo – si legherebbe in questo modo all’emergenza sanitaria. Come se Trastevere, piazza di Spagna, Navigli o Brera fossero ogni notte meta di “spedizioni punitive notturne senza mascherine” (lo citiamo ancora, e ancora increduli) simili a invasioni barbariche. Alcuni passi del prestigioso commento non fanno nemmeno lo sforzo di non sembrare parole da ancient regime:

Li muove, si direbbe, quasi il torbido proposito di seminare il contagio, d’infettare la società ‘per bene’ insieme ai posti che essa abita. Di distruggere quanto non possono avere

Come si possano usare certi termini, o anche solo avere questa mancanza totale di comprensione del mondo, sul più importante quotidiano italiano rimane un mistero. Ma il punto è anche un altro, cioè il retroterra che si nasconde dietro quella riflessione, che più che una riflessione sembra un riflesso incondizionato, una specie di scatto d’autoconservazione.

Altro che cancel culture: in Italia finisce nero su bianco il primo rigurgito che ci scappa sulla tastiera. Eppure il tema sarebbe enorme: perché affidarlo a chi evidentemente non possiede né la voglia né gli strumenti per approfondirlo in modo serio? Suonerà scontato ad alcuni, ma il Guardian o il Washington Post avrebbero mai pubblicato una tirata del genere, mettendo in gioco la loro rispettabilità?

“Da dove pensiamo mai che provengano in larga maggioranza le turbe di giovani che dappertutto stanno agitando le notti italiane di questa estate?”– scrive lo storico e accademico – “da dove, se non dalle invivibili periferie, dagli sperduti quartieri dormitori, dalle strade male illuminate che finiscono nel nulla?”.

Scopriamo così, con un clima angosciante che monta quasi come in un polpettone verista ottocentesco, che “al calar d’ogni sera” l’esercito della movida – sempre lui, quello che nei periodi più bui aveva addirittura tentato di riconquistare i Navigli – si rovescia nelle piazze e nei centri storici delle città.

Per quale ragione? Non eventualmente per bersi una birra e farsi una chiacchierata, ma perché ha un piano diabolico. I giovani sono “posseduti da un desiderio di rivalsa” che oggi si manifesta nel fregarsene di precauzioni e mascherine, facendosi “beffa in tal modo di ogni regola di civile convivenza”.

Se non facesse ridere sembrerebbe una descrizione della peste manzoniana, una favolaccia da teoria del complotto: e invece è Galli della Loggia nel 2020. Siamo al limite delle allucinazioni: non solo con una sciocca generalizzazione, ma anche con una grave mancanza di consapevolezza di come funzionano le città italiane.

A parte che nei centri storici non abita quasi più nessuno, e la desertificazione di questi mesi – specie a Roma – racconta semmai il contrario: che le città stanno scontando il fatto di aver pensato i loro nuclei antichi poco più che come parchi giochi per i turisti e scacchieri della rendita edilizia e commerciale a favore di piattaforme digitali che ne consentono una – non sempre trasparente – monetizzazione. Senza i turisti, infatti, si vede davvero poca gente in giro. E sarebbe ancora di meno se i reietti delle periferie così vituperati dall’editorialista non si concedessero un gelato e una passeggiata per godere delle loro bellezze in questa strana estate senza visitatori.

Il passaggio successivo del commento serve a inchiodare i veri responsabili: sono proprio loro, i giovani della periferia, non altri, quelli che stanno diffondendo la pandemia notturna nei sani e puliti corpi dei borghesi; sono bestie feroci che vogliono avvelenare i pochi esemplari rari rimasti a presidio della civiltà. Colpa loro, amici dei salotti, dato che ci sputano il virus sui citofoni: purtroppo vivono una “drammatica condizione di disagio, di diseguaglianza di standard socio-culturali” che li spinge a trasformarsi in spietati untori vendicativi a cui non resta che “l’arma della rappresaglia”. Gente evidentemente senza valori, geneticamente predisposta al contagio più degli altri, pronta come in una stampa medievale all’assedio della rocca.

Il conflitto di classe, anzi di classi, esiste ancora, per carità. Si consuma fra stabilità e precariato, fra ricca rendita e lavoro sottopagato, sulla formazione e sulle prospettive familiari. E senza dubbio, in molti casi, è esacerbato dall’emergenza abitativa, dal controllo del territorio della criminalità organizzata, dal fallimento di alcuni faraonici progetti (come, a Roma, le dimenticate nuove centralità urbane), da città sempre più grandi e peggio servite. Ma questi interventi, questa roba qui non servono ad alimentare un dibattito serio: sono ottimo materiale comico che speriamo qualcuno – magari Zerocalcare? – recuperi presto in uno sketch o in una tavola. Così che si possa giustificare la carta su cui sono stati stampati, quantomeno.

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L'"editoriale" del della Loggia

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