Un gruppo armato a bordo di motociclette ha ucciso sei operatori francesi in una Toyota Land Cruiser dell’organizzazione umanitaria Acted, assieme all’autista e al presidente dell’Associazione delle guide della riserva Kouré, parco nigerino dove si trovano un gruppo di rarissime giraffe dell’Africa occidentale, a un’ora di macchina dalla capitale Niamey.
A riferirlo è stato il governatore della regione di Tillaberi, Tijani Ibrahim Katiella, zona del profondo occidente nigerino, confinante a ovest con il Burkina Faso e a nord con il Mali.
Come riportano le agenzia stampa, l’attacco è stato particolarmente efferato, con l’autovettura crivellata di colpi da breve distanza e poi data alle fiamme, mentre una donna che era riuscita a darsi alla fuga è stata inseguita e colpita alle spalle.
Allo stato attuale l’attacco non è stato rivendicato da nessuna organizzazione, ma il luogo e la nazionalità delle vittime fanno scattare più di un campanello d’allarme.
Il presidente del Niger Mahamadou Issoufou ha condannato l’attacco come «vile e barbaro», l’omologo francese Emmanuel Macron ha promesso dal Libano che si farà tutto il possibile per chiarire le circostanze, mentre un Consiglio di difesa è previsto per domani al Palazzo dell’Eliseo.
L’estremismo violento che continua a imperversare nella regione del Sahel è stato denunciato dal presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keïta, e infatti il confine terrestre tra Mali, Burkina Faso e Niger è al centro di un’escalation di tensione tra gruppi armati vicini all’Isis e al Qaeda e le missioni militari internazionali, guidate in loco dalla Francia.
La francese Rfi riporta che l’attacco è avvenuto molto vicino alla strada asfaltata che collega Niamey ad Agadès, una zona densamente popolata dove c’è un grande passaggio di camion militari e gendarmi che fanno riferimento all’operazione Barkhane, missione militare francese operante nel cuore del Sahel, che dall’agosto 2014 ha sostituito quella denominata Serval.
Il contingente francese di circa 5 mila unità, con sede principale in Ciad, è assistito da quello europeo Takuba, “spada” in lingua Tuareg, e hanno come obiettivo pubblico la lotta alle milizie jihadiste che agiscono nella regione.
Come si vede nella cartina di fianco aggiornata al 2018 (di Agi.it), molti gruppi sono attivi a cavallo dei tre paesi, tra cui il Gsim (Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani) o l’Eigs (Stato islamico del Grande Sahara); il primo, il Gsim, ha già dichiarato domenica sera che non è stato coinvolto nell’attacco.
In questo quadro l’Italia sta assumendo un protagonismo maggiore nella regione, partecipando (in videoconferenza, come la Germania) con il Premier Guseppe Conte al vertice che si è svolto lo scorso fine giugno al G5 dei paesi del Sahel a Nouakchott, capitale della Mauritania, paese partecipante insieme a Burkina Faso, Ciad, Mali e appunto Niger.
L’assist, come riportato da questo giornale, venne lo scorso 27 febbraio da Emmanuel Maron nel vertice bilaterale con Conte a Napoli, dove chiese al governo italiano la partecipazione alla missione con le Forze speciali ed elicotteri da combattimento.
Un impegno che dietro la facciata della lotta al terrorismo sottende la volontà di potenza di Parigi nelle ex colonie, mentre le motivazioni dell’esecutivo italiano sembrano incastrate nella “salviniana lotta agli sbarchi” (così come il predecessore Marco Minniti e l’attuale inquilina del Viminale Luciana Lamorgese), che proprio da quelle regioni vedono partire, senza la sicurezza di arrivare all’agognato Mediterraeo, moltissimi dannati della terra.
Come spesso accade, chi paga fino in fondo le conseguenze della guerra sono le popolazioni martoriate dagli interessi politico-economici delle forze in campo, ma non sarebbe una sorpresa se anche l’attacco di ieri – a ora, ripetiamo, non ci sono notizie confermate in tal senso – si rivelasse come il primo atto di un nuovo fronte nigerino (la maggior parte delle organizzazioni per ora infatti agiscono sui confini del paese) dell’azione jihadista nella regione, o di un atto di rappresaglia (a scanso di equivoci, da condannare senza se e senza ma) verso dei rappresentanti, o giudicati come tali, dell’ingerenza straniera in terra d’Africa.
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