L’occupazione delle aule del congresso americano da parte del movimento pro Trump ha una portata spettacolare pari all’attacco alle Torri Gemelle del 2001. Con una significativa differenza: allora si trattò del tragico spettacolo di un attacco esterno agli Usa, oggi siamo di fronte a una scenografia straniante, quanto di portata globale, che rappresenta la spettacolare implosione interna della politica istituzionale degli Stati Uniti. L’irruzione in parlamento da parte di manifestanti vestiti come cosplayer, la confusione cognitiva creata da personaggi demenziali in un luogo politicamente sacrale, è qualcosa di vertiginoso per chi analizza l’immaginario politico ma anche una frustata alla serietà del potere quindi al cuore del potere stesso.
Non è detto che lo spettacolo si trasformi in storia: le nostre società vivono di successioni di immagini che possono seppellire, anche pesantemente, il ricordo di ogni evento mentre, allo stesso tempo, i fatti possono finire in archivi consultati da pochi, isolati storici.
Va però detto che il precedente assalto al parlamento americano qualcosa ci suggerisce: avvenne durante la guerra tra Inghilterra e Stati Uniti del 1812-15 e, in aggiunta all’assalto del parlamento, gli inglesi bruciarono quella che oggi si chiama Casa Bianca che assunse quel colore proprio durante la ricostruzione del palazzo presidenziale successiva all’assalto delle truppe di sua maestà. Si parla di una guerra che si inquadrava nel contesto di una ristrutturazione dei rapporti commerciali tra Stati Uniti ed Europa dovuta ad una delle tante crisi economiche che accompagnano il capitalismo moderno. E, proprio per non sommare i danni della guerra a quelli economici, alcuni stati dei giovani Stati Uniti si rifiutarono di prendere parte al conflitto. Insomma, una radicale spaccatura interna a seguito di una grossa crisi dell’economia mondo dell’epoca. Ora, l’occupazione del parlamento USA, quasi 210 anni dopo l’attacco inglese avviene in un contesto che, dalla metà degli anni ‘10, è in qualche modo simile a quello dell’inizio del XIX secolo: quello che oggi vuole l’economia globale creare grosse spaccature interne alla società americana.
Ora, si può anche credere che Trump nel 2016 abbia vinto grazie alle fake news, confondendo lo strumento con la causa, ma c’è un dato di fatto: la vittoria, allora, negli stati chiave è stata ottenuta evidenziando gli effetti locali delle esternalizzazioni, di industria e di capitale, operate da finanza e industria americane su scala globale e, soprattutto, cinese. Se il messaggio politico della denuncia degli effetti locali della globalizzazione americana, nel corso di questi ultimi anni, non avesse trovato radicamento, Trump non avrebbe ottenuto 71 milioni di voti alle ultime elezioni, un risultato di gran lunga superiore alla performance di Obama nel 2008. Certo, la mobilitazione per battere Trump è stata superiore persino a quel risultato perché Biden ha pescato, giocoforza, molto oltre il proprio bacino elettorale. Trump e la crisi dell’America periferica e rurale di fronte alla globalizzazione hanno rappresentato quindi sia l’argomento per mobilitare elettori che per mobilitare elettori contro. Le convulsioni della crisi dell’America profonda dettano quindi legge, in modi diversi, nell’agenda politica degli Stati Uniti.
Quello che è accaduto a Washington ha mostrato un elemento di paralisi del potere istituzionale americano molto forte. È vero, come dimostrano le immagini su Twitter e altri social, che la security del senato solidarizzava coi manifestanti, e che la polizia ha sostanzialmente fatto entrare i proTrump nelle camere del congresso senza opporre reale resistenza. Ma più che un elemento, per quanto innegabile, di complicità della amministrazione Trump con quanto accaduto, si evidenza la paralisi complessiva del potere istituzionale statunitense: senza questa, visto che le camere sono protette da un potere bipartisan oggi evidentemente saltato, non avremmo potuto vedere le immagini del 6 gennaio 2021.
Sia nello schieramento proTrump che in quello proBiden si giocano, in modi molto diversi, due tipi di saldatura tra élite e popolo: nel primo c’è una élite miliardaria spregiudicata che ha una base militante nell’America che da rurale si è fatta neotribale interpretando così il declino di vaste zone del paese; nel secondo una elite liberal, delle professioni liberali e dell’evoluzione tecnologica, che si salda con l’opinione pubblica dei diritti civili che, per quanto metropolitana, risente delle forti diseguaglianze di reddito e della crisi. Socialmente parlando di tratta di due Americhe differenti, magari destinate a dissolversi politicamente dopo l’insediamento di Biden ma comunque rivelatrici delle fratture sociali degli Stati Uniti che si sono create tra crisi Lehman e crisi Covid lungo quasi un quindicennio.
Facendo un po’ di archeologia politica si vede che i proTrump fanno capire che la saldatura conservatrice tra élite e popolo è premoderna, anteriore anche a quella analizzata nel 18 Brumaio da Marx ma entrambe le saldature esprimono, al loro vertice, esigenze del capitale finanziario (in una nuova politica di defiscalizzazione alla Trump o in una del denaro a costo zero della Yellen oggi nello staff di Biden).
Ci sarebbe da chiedersi perché la mobilitazione antiTrump non esprime un progetto politico complessivo oltre Biden ma si andrebbe fuori tema. È invece qui centrato il tema della tribalizzazione dell’America rurale come espressione del ceto militante proTrump e di una nuova composizione sociale contrapposta a quella dell’America metropolitana. Le analisi di Henry Jenkins all’inizio degli anni zero avevano fatto capire come negli Usa la cultura popolare, nel momento in cui passava alla fase del consumo dei contenuti digitalizzati di massa, stesse cambiando: non più legata ai riti, alle cerimonie e al sapere del mondo fordista ma capace di assorbire come valore regolativo dei propri comportamenti fondamentali proprio la cultura di intrattenimento. Per Jenkins tutto ciò, a metà degli anni zero, significava che si stava creando negli USA un nuovo tipo di cittadinanza, molto attenta all’informazione proprio perché attenta, sempre grazie ai media, alla continua fruizione dei prodotti dell’intrattenimento.
Se questo era ed è vero nella cultura progressista, differente è quello che è accaduto per la cultura conservatrice che si è impadronita di una rielaborazione del mito e della superstizione, legittimati da quello straniamento della fruzione dell’informazione che è tipico del consumo di fake news. Non a caso proprio McLuhan parlava di esito possibile della società della comunicazione in termini neotribali: è avvenuto oggi attraverso una diffusione social delle credenze, delle vere e proprie superstizioni digitali (di cui il complottismo è la parte politica) che averebbe spaventato l’autore di Understanding Media. Ed in modo così radicale che dal borghese tea party, strumento di mobilitazione delle destre antiObama, siamo passati al tribalismo delle milizie.
Il tribalismo della ex America rurale ha poi un altro fattore di formazione: il divide educativo che attraversa, e non solo, gli Stati Uniti: le zone dell’America rurale sono le più svantaggiate da questo punto di vista. Si capisce quindi che, sia la rielaborazione, in termini regressivi, della cultura digitale, che l’assenza di un reale sistema educativo contribuiscano a strutturare la povertà cognitiva di un tribalismo aggressivo e pieno di credenze velenose e mutanti, di vere e proprie superstizioni e di teorie del complotto.
Insomma quello che abbiamo visto rappresenta una presa temporanea del potere da parte di soggetti che sembrano usciti da Idiocracy, il film di Mike Judge sulla prospettiva di un instupidimento assoluto della società americana?
Solo le modalità di uscita dalla doppia crisi, economica ed epidemica, da parte degli Usa ci potranno dare delle risposte sensate. Quello che abbiamo finora visto è che, negli Usa, quando l’economia globale preme troppo sulla crisi di vaste aree del paese ci sono risposte, come quelle che vediamo, che sembrano appartenere ad altri tempi quando, invece, sembrano ben proiettate nel futuro: emersione di poteri carismatici, tribalismo, culture della superstizione, conflittualità politica portata all’estremo. Del resto, per noi europei, gli Stati Uniti sono un paese pieno di sorprese che, come abbiamo visto, non cessano di manifestarsi neanche quando si crede di aver visto di tutto.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento