La Russia ha richiamato il suo ambasciatore negli Stati Uniti per consultazioni dopo che in un’intervista il presidente Usa Joe Biden ha parlato del presidente russo come di un “assassino”.
Il presidente statunitense in una intervista al network Abc News ha infatti definito Vladimir Putin come “un assassino” ed ha ha promesso che il Cremlino “pagherà” per il tentativo di interferenza nelle elezioni del 2020.
Le minacce del presidente Biden al presidente Putin appaiono decisamente inusuali dal punto di vista diplomatico e segnano indubbiamente un segnale pesantissimo nelle relazioni internazionali.
L’intervista di Biden arriva in seguito alla pubblicazione di un rapporto dell’intelligence Usa secondo cui Putin avrebbe autorizzato una serie di operazioni lo scorso anno al fine di danneggiare la campagna presidenziale dello stesso Biden.
Il documento dei servizi segreti Usa, ha sostanzialmente riciclato le accuse contro Putin e la Russia di cinque anni fa. Allora ne avrebbero favorito l’elezione e lo scorso anno avrebbero sostenuto la rielezione del presidente uscente, Donald Trump, con l’obiettivo di “seminare discordia per esacerbare la tensione negli Stati Uniti”, si legge nel rapporto.
Alle parole decisamente forti di Biden, oltre al richiamo in patria dell’ambasciatore a Washington, hanno replicato diversi alti funzionari russi.
Il presidente della commissione parlamentare della Duma di Stato per gli affari internazionali, Leonid Slutskij ha detto che le minacce contro la Russia da parte degli Usa “non passeranno inosservate, ma riceveranno una risposta chiara e adeguata”.
Il presidente della commissione del Consiglio della Federazione per la protezione della sovranità statale Andrej Klimov, ha parlato di “prosecuzione della politica russofobica” della Casa Bianca. “Biden, quando venne in visita in Russia in qualità di vice presidente, espresse delle opinioni in merito a chi dovrebbe essere il leader del Paese. Gli fu spiegato molto chiaramente che la Russia non è uno degli Stati Usa, o addirittura un membro della Nato”, ha dichiarato Klimov.
“L’impressione è che con un documento del genere i servizi speciali Usa vogliano semplicemente giustificare la loro esistenza e i budget colossali stanziati per il loro lavoro”, ha dichiarato la portavoce della del ministero degli Esteri Maria Zakharova.
Le dichiarazioni di Biden sono senza dubbio gravissime. Dette da un presidente in una intervista pubblica, quelle parole segnano una sorta di punto di non ritorno nelle relazioni con la Russia. E qui viene da chiedersi cosa ne pensano quelle e quelli che per anni hanno sottolineato ogni parola in eccesso o i tweet di Trump denunciando quanti pericoli contenessero.
Il problema dunque non erano le parole in eccesso di Trump né, contestualmente, quelle di Biden. Il problema che sta emergendo da tempo è quanta paura ha l’establishment statunitense di veder declinare il proprio status egemonico esercitato dal dopoguerra fino a pochi anni fa.
Il peso internazionale acquisito dalla Cina e dalla Russia, hanno palesato l’incubo dei neocons statunitensi almeno dal 1992: quello di non riuscire a impedire – dopo la dissoluzione dell’URSS – la nascita di una o più potenze rivali strategiche per gli Stati Uniti.
Alzare la tensione, rilanciare guerra fredda e corsa agli armamenti, costruire un nemico minaccioso, è stata la ricetta con cui gli Usa hanno tenuti stretti a se e subordinati gli alleati della Nato ma anche paesi asiatici come Giappone e Corea. Occorre vedere se questa ricetta funziona ancora. E se non funziona più gli Usa saranno costretti a scendere a patti con gli alleati ancora prima che con i “rivali strategici”.
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