Intervista con Achille Lollo.
L’8 febbraio il giudice del Tribunale Superiore Federale (STF), Edson Facchin, ha annullato le condanne che il giudice Sergio Moro aveva appioppato a Lula che, in questo modo, potrà essere il candidato del PT nelle prossime elezioni presidenziali del 2022.
Di conseguenza il presidente Bolsonaro cerca di far dimenticare le sue posizioni negazioniste firmando l’accordo per l’acquisto massiccio del vaccino russo e di quello cinese oltre a presentarsi in pubblico con mascherina.
Un contesto che ha subito riacceso le velleità golpiste di alcuni generali, mentre l’insicurezza per il futuro politico del Brasile divide gli industriali ed i commercianti, sempre più minacciati dalla crisi economica e impauriti da un possibile “risveglio violento delle favelas”. Una situazione diventata sempre più grave con la passività e l’incompetenza del governo, che in questa pandemia ha registrato fin qui (ufficialmente) 11,4 milioni di contagi, 277.345 decessi, raggiungendo in questa ultima settima una media di 2.150 decessi al giorno.
Una situazione drammaticamente sempre più esplosiva che merita risposte approfondite ed obbiettive che abbiamo cercato con il giornalista Achille Lollo, che durante quindici anni è stato prima il direttore delle riviste Nação Brasil e Critica Social e poi fondatore di ADIATV.
Come si spiega l’annullamento da parte del giudice del TSF, Edson Facchin, delle due condanne inferte a Lula dal giudice federale di Curitiba, Sergio Moro, nominato Ministro della Giustizia da Bolsonaro e poi dimissionario il 24 maggio 2020?
Forse pochi sanno che il giudice Facchin, per tre anni, ha mantenuto insabbiato l’elaborato presentato dalla difesa di Lula ai giudici del TSF, Mendes e Lewendosky, per poi ritirarlo fuori solo quando questi due giudici stavano preparando gli atti per processare l’ex-ministro della giustizia Sergio Moro.
Una decisione coraggiosa che i giudici Mendes e Lewendosky hanno preso quando la sconfitta di Donald Trump ha letteralmente messo in difficoltà Bolsonaro, il suo governo e soprattutto i media che giustificavano tutte le malefatte commesse da questo governo e soprattutto dal giudice federale Sergio Moro.
In pratica l’annullamento delle condanne di Lula dovrebbe essere la moneta di scambio per insabbiare il processo nei confronti del giudice federale Sergio Moro, alias ex-Ministro della Giustizia del governo del presidente Bolsonaro e capo della Polizia Federale.
Perché il ritorno di Lula, in qualità di candidato del PT nelle elezioni presidenziali del 2022, ha immediatamente riacceso la fiamma del golpismo militare?
In Brasile la fiamma del golpismo non si è mai spenta. Infatti, il 31 agosto 2015 ci fu il golpe istituzionale, detto anche Impeachment, contro la presidente del PT Dilma Russeff, grazie alla partecipazione determinante dell’ex-senatore del PT, Helio Bicudo, al velato assenso dello Stato maggiore delle Forze Armate e, soprattutto alla supervisione del Dipartimento di Stato del “Democratico” John Kerry.
Un golpe che permise a Barak Obama di consolidare pacificamente la cosiddetta “riconquista geopolitica del Brasile”, diventato con Lula e Dilma un pericoloso alleato del Venezuela bolivariano.
La seconda fiammata golpista ci fu nell'aprile del 2018, quando il comandante dell’esercito, Eduardo Villas Boas, per evitare l’approvazione della richiesta di Habeas Corpus degli avvocati di Lula da parte dei giudici del TSF, pubblicò nella rete il messaggio che aveva inviato a tutti i comandanti delle regioni militari, con il quale chiedeva di mantenersi preparati ad intervenire nel caso Lula fosse tornato libero.
È inutile ricordare che i giudici del TSF negarono la richiesta degli avvocati di difesa di Lula, che continuò a restare nella prigione federale di Curitiba.
La terza fiammata golpista fu proprio l’elezione di Bolsonaro, ottenuta con la messa in scena di un falso attentato realizzato da un falso attentatore, qualificatosi prima militante del PSOL e poi del PT. In seguito, dopo l’elezione di Bolsonaro, i giudici federali concessero la semi-liberta all’attentatore considerato pazzo!
Recentemente il generale Eduardo Villas Boas ha confermato che il governo Bolsonaro fu un’opzione politica preparata dall’Intelighenzia militare per interrompere l’affermazione governativa e politica del PT. In seguito, il generale Luiz Eduardo Rocha Paiva e il presidente del Club Militar, generale Eduardo José Barbosa hanno criticato pubblicamente la decisione del giudice Facchin, facendo capire che il ritorno di Lula nelle elezioni presidenziali del 2022 potrebbe rimettere in marcia l’intervento delle Forze Armate per difendere la cosiddetta sovranità nazionale”.
Ciò significa che se Lula vincerà le elezioni i carri armati usciranno dalle caserme?
Oggi, nei paesi che hanno sofferto gli effetti della dittatura militare, non è più necessario mettere soldati e carri armati nelle strade e praticare la cosiddetta “caccia ai sovversivi comunisti”, come negli anni '70. Purtroppo il solo ricordo dei desaparecidos, della tortura, della censura e del clima di repressione generalizzata ha prodotto degli effetti “pedagogici” determinanti.
Purtroppo quegli anni fanno ancora paura, soprattutto nel proletariato e nella classe media brasiliana, che oltre alle minacce dei militari, sempre rilanciate dai media, soffrono ogni giorno i ricatti e le angherie delle Milicias. Vale a dire di quei corpi para-militari, molti dei quali associati o al servizio dei narcotrafficanti, che controllano quasi tutti i quartieri popolari delle grandi città.
Per esempio, a Rio de Janeiro le Milicias controllano il 25% dei quartieri popolari, il che significa che 33,1% degli abitanti di Rio, vale a dire 2.300.000 di persone, devono sopportare la presenza e pagare il pizzo ai paramilitari per la cosiddetta “protezione”. Da sottolineare che i membri delle Milicias sono tutti a favore del presidente Jair Bolsonaro!
I militari potrebbero usare Bolsonaro e le Milicias per tentare di offuscare o addirittura di impedire lo svolgimento di una normale campagna elettorale con l’eventuale assalto finale in Brasile in stile Trump?
Mirelle Franco e, recentemente, altri 8 candidati del PSOL e del PT sono stati assassinati nello stato di Rio de Janeiro proprio perché denunciavano la presenza delle Milicias, soprattutto nelle favelas. L’uso elettorale dei Milicias da parte del clan Bolsonaro è una minaccia reale, che può garantire a Jair Bolsonaro circa il 15% del voto dai para-militari; nelle grandi città ricorda molto l’esperienza colombiana.
Comunque, io non mi preoccupo dell’eventuale assalto violento dei bolsonaristi neo-fascisti al Parlamento di Brasilia. Il grande pericolo sta, invece, nella campagna elettorale quando le Milicias, il narcotraffico e una buona parte delle chiese evangeliche cercheranno di comperare e di cooptare il voto popolare, riaprendo nuovamente questa piaga della storia elettorale brasiliana.
D’altra parte con la gravissima crisi economica e l’esplosione della disoccupazione provocata dalla pandemia, il voto è l’unica cosa che il povero può vendere a buon mercato!
Ci sarà un ulteriore aggravamento della crisi economica?
I due governi guidati da Inàcio Lula da Silva, oltre a dare una grande stabilità al settore pubblico avviarono massicci programmi assistenziali che, durante otto anni, hanno rinvigorito e arricchito soprattutto l’industria privata nazionale e non le multinazionali.
Il governo Bolsonaro, invece, in appena due anni ha smontato quasi tutti i programmi assistenziali, promuovendo anche lo smantellamento delle imprese statali per poi privatizzare con più facilità a “prezzi di banana”. Le colonne dell’industria brasiliana, come la Petrobras (gas, petrolio e raffinerie), l’Elettrobras (dighe, centrali e distribuzione elettrica), Banco do Brasil e Caixa Geral (banche e casse di risparmio), oltre al sistema portuale e aereoportuale, sono in via di privatizzazione.
Nello stesso tempo, per accontentare le élites della borghesia industriale e gli oligarchi agrari, il governo ha letteralmente disarticolato il sistema previdenziale, la formazione occupazionale, oltre ad aver permesso la distruzione di una buona parte dell’Amazzonia.
Dopo soli due anni di governo, i risultati sono drammatici, con la crescita record della disoccupazione; circa 13.925.000 lavoratori sono senza occupazione, vale a dire un tasso di disoccupazione del 14,1%, cui si devono aggiungere i 5.800.000 lavoratori che non cercano più lavoro vivendo di espedienti.
Una situazione che, logicamente, favorisce il proliferare del lavoro in nero, che oggi occupa 9.700.000 brasiliani e che non offre nessun spiraglio di ripresa.
In realtà il liberalismo ortodosso di Bolsonaro e del suo ministro dell’Economia, Paulo Guedes, hanno messo in ginocchio l’economia del Brasile. In seguito, con la pandemia il Brasile si è trasformato in un vero girone dell’Inferno.
Nelle ultime settimane il presidente Bolsonaro ha ascoltato le richieste dei governatori cambiando il programma di lotta al COVID-19. Farà lo stesso anche per arginare la drammatica situazione economica e sociale?
Assolutamente no, poiché ci sono grandi interessi in ballo, quelli per cui era stato eletto Bolsonaro. Infatti, se il presidente blocca le misure ultra-liberiste del suo ministro dell’economia, se per esempio mette in discussione il programma di privatizzazioni, o se introduce la tassazione sui profitti delle multinazionali, immediatamente le teste d’uovo del capitale faranno approvare in Parlamento una delle 68 richieste di Impeachment e Bolsonaro sarà dimesso e sostituito dal suo vice, cioè dal generale Hamilton Mourão.
Per questo Bolsonaro continua imperterrito nel suo programma ultra-liberista. Infatti, l’aumento della benzina del 54%, del diesel del 41,6%, associati all’aumento del 103,79% dell’olio di soia, del 76,01% del riso, del 17,97% delle carni bovine e del pollame, e in generale del 14,09% per tutti gli alimenti e le bevande, hanno colpito non solo i ceti popolari delle favelas, ma anche i settori della classe media, della piccola e della media borghesia, in particolare i commercianti delle grandi città brasiliane (São Paulo, Rio de Janeiro, Porto Alegre, Salvador, Belo Horizonte e Recife).
Questi settori, molto numerosi e influenti in termini elettorali, hanno criticato duramente le decisioni del governo Bolsonaro, mettendo in discussione la competenza del ministro Paulo Guedes e l’efficacia del suo programma ultra-liberista. Nonostante ciò Bolsonaro e il suo ministro dell’Economia continuano a fare regali alle istituzioni finanziarie in cambio di un velato silenzio del mercato sullo stato di crisi in cui versa il Brasile.
L’ultimo regalo per i broker del mercato è stata la legge che concede al presidente della Banca Centrale del Brasile la competa autonomia, seguita dalla trasformazione in legge di un altro decreto presidenziale che permette l’apertura di conti correnti direttamente in dollari. In questo modo le banche brasiliane e straniere operanti nel Brasile avranno la libertà di utilizzare questi depositi per operare investimenti in paesi stranieri.
Cioè il governo ha finalmente ufficializzato l’uso del dollaro, come moneta esclusiva delle élite imprenditoriali, degli oligarchi dell’agro-bussines, dei manager delle multinazionali e logicamente dei broker delle istituzioni finanziarie del mercato, sempre a caccia di investimenti speculativi in combutta con le banche dei paradisi fiscali. Una legge che permetterà soprattutto ai narcos di lavare gli ingenti profitti illegali con più facilità.
L’aggravamento della crisi economica e l’arrivo di una terza ondata di COVID-19, potranno destabilizzare la campagna elettorale dei partiti che continuano a sostenere la rielezione di Bolsonaro?
Certamente, visto che il blocco politico che si era formato nel 2018 per eleggere Bolsonaro, attualmente, ha sofferto profonde fratture. I partiti del centro-destra, con l’aiuto dei gruppi mediatici, in particolare la TV Globo ed il giornale Folha de São Paulo, hanno cercato di promuovere nuovi leader politici, capaci di arginare la crisi e far sognare i brasiliani.
Però le promesse del governatore dello stato di São Paulo, João Doria, o quelle del lider del PSDB, Aécio Neves, sono subito svanite, poiché non hanno alcun presupposto programmatico. Nello stesso tempo, sia Doria che Neves non sono leader di spessore nazionale; cioè, sono molto votati negli stati di São Paulo e Minas Gerais, ma risultano degli emeriti sconosciuti negli stati del nordest brasiliano. Inoltre ambedue sono privi di un’esperienza governativa.
Anche nei partiti di destra c’è molta confusione. Gli elementi politici che ancora li mantiene fedeli a Bolsonaro sono due: l’assenza di leader capaci di sostituire Bolsonaro e la crescita del sentimento fascistoide e razzista anti-PT, subito dopo il ritorno politico di Lula nella partita elettorale del 2022.
Altro fattore determinante, che oggi preoccupa molti settori della borghesia brasiliana, è la comprovata incompetenza governativa degli otto ministri militari presenti nel governo di Bolsonaro e dei 2.500 ufficiali superiori che occupano la direzione o incarichi di grande responsabilità, in 21 settori del governo federale.
Comunque, quello che ha ferito maggiormente l’opinione pubblica è stato l’operato irresponsabile del ministro dell’Ambiente, Riccardo Salles, e l’incompetenza del ministro della Salute, il generale Eduardo Pazuello, che i giudici del TSF stanno indagando per aver provocato la morte di migliaia di brasiliani nello stato di Amazonas con la distribuzione della clorochina al posto dei vaccini.
Cosa sta succedendo all’interno delle Forze Armate? Accetteranno la possibile sconfitta di Bolsonaro o, come nel 2018, cercheranno di essere i grandi garanti dell’ordine repubblicano per poi far pesare in termini elettorali la propria autorità?
Anche nelle Forze Armate la situazione è complicata, nel senso che da un lato abbiamo le dichiarazioni pseudo-golpiste del Clube Militar di Rio de Janeiro, che rappresenterebbe l’intelighencia degli ufficiali con cinque stelle. Dall’altro abbiamo le differenti posizioni degli ufficiali delle caserme delle regioni militari brasiliane (maggiori, capitani e tenenti) che, essendo in maggioranza figli di una classe media delusa e impoverita, cominciano ad avere profonde divergenze con l’élite militare. Che poi è quella che ha ricevuto immensi favori finanziari da Bolsonaro.
Questo fatto escluderebbe la certezza e l’efficienza operativa per realizzare un golpe militare subito dopo l’eventuale vittoria elettorale di Lula. Invece è certo che che il peso politico dei militari crescerà se durante la campagna elettorale i gruppi neo-fascisti bolsonaristi, protetti dalle Milicias, cominceranno a far uso della violenza per provocare nelle piazze lo scontro con l’elettorato del PT.
In quel caso i generali a cinque stelle riuscirebbero a riunificare le Forze Armate intervenendo per salvaguardare il cosiddetto “ordine democratico repubblicano”.
In realtà, il Brasile, nel 2022 potrebbe soffrire gli effetti nefasti di una Strategia della Tensione, che permetterebbe ai media di manipolare il regolare andamento delle elezioni presidenziali, invocando l’intervento “pacificatore” delle Forze Armate presentandole, per assurdo, come “salvatorici della patria”!
Un pericolo che Lula ha subito capito, motivo per cui il suo primo discorso politico è stato abbastanza moderato.
È per questo motivo che il Fronte della Sinistra è stato sostituito dal Fronte Ampio?
Certamente! Anche perché, in questi ultimi due anni, il Fronte delle Sinistra è stato un buon esercizio di retorica politica, presentato dai vari dirigenti dei partiti riformisti del centro sinistra, senza produrre aggregazione concrete.
Molti analisti politici, tra cui lo stesso José Luis Fiori, affermano che soltanto la candidatura di Lula potrà evitare la frammentazione dei partiti del centro-sinistra e della cosiddetta sinistra, ammesso che ancora si possa parlare di sinistra.
A questo proposito ricordo che lo storico dirigente comunista del PCdoB, Aldo Rebelo, è passato nel PSB soltanto per avere la certezza di essere rieletto deputato nel 2022! Da ricordare che Rebelo fu il ministro della difesa nel primo governo Lula!
Per questo motivo i leader del centro-destra, che rappresentano una parte della borghesia industriale e di molti settori della classe media urbana, come João Doria, Rodrigo Maia, Bruno Covas e lo stesso Aelcio Neves, appoggiano la creazione di un Fronte Ampio insieme al PT di Lula, al PDT di Ciro Gomes, al PCdB di Luciana Santos, il PSB di Carlos Siqueira ed il PSOL di Luiz Araujo.
Come spieghi il discorso moderato di Lula associato al mantenimento della bandiera rossa con lo stellone giallo da parte del PT?
Il simbolismo politico ha sempre giocato un ruolo importante nel marketing elettorale del PT. Per esempio, nel 2002, la direzione del PT, controllata dal gruppo di Lula chiamato Articulação, per sbiadire l’immagine sinistrorsa del partito, cambiò la storica bandiera rossa con una bianca, utilizzando una stellina rossa, o a volte una viola quando il pubblico era femminile o LGBT.
Comunque bisogna chiarire che Lula, come pure tutta la corrente maggioritaria del PT e della confederazione sindacale CUT, cioè Articulação, non sono mai stati marxisti. Negli anni ottanta erano dei sinceri riformisti socialdemocratici, molto legati alla socialdemocrazia tedesca e olandese e alla CGIL italiana.
Oggi, invece sono dei perfetti social-liberisti che vogliono condividere con la borghesia e il mercato la responsabilità di amministrare il Brasile. Una caratteristica politica che ha motivato e accelerato la trasformazione politica e ideologica di personaggi storici come José Dirceu, José Genoino e la stessa Dilma Rousseff, che furono le colonne del marxismo rivoluzionario negli anni della resistenza alla dittatura militare.
Nel 2002 il discorso di Lula e del PT fu ugualmente moderato, poi espresso con la famosa Carta aos Brasileiros (Lettera ai Brasiliani). Un documento programmatico che si rivolgeva non ai lavoratori, ma ai banchieri e agli industriali preannunciando una pace sociale, in cui il nuovo governo del PT avrebbe fatto di tutto per modernizzare il capitalismo selvaggio brasiliano.
Un’operazione che Lula realizzò con successo insieme al suo vice, rappresentato dall’industriale del settore tessile del Minas Gerais, José Alencar.
Oggi, nel PT è trapelato che nel 2022, quasi certamente, il vice di Lula sarà la leader dei commercianti, Luiza Trajano, proprietaria della rete di negozi Magalu e Magazine Luiza!
Ciò significa che il discorso moderato di Lula preannuncia un governo ugualmente moderato, in cui i partiti del centro sinistra divideranno le poltrone con quelli del centrodestra?
Molti, oggi, si scandalizzano per questo Fronte Ampio comandato da Lula e dal PT. Però c’è da dire che questo Fronte Ampio è il limite massimo per il PT e dello stesso Lula in termini politici e ideologici. Vale a dire: l’intercalassimo classico, la difesa dei principali interessi del capitalismo brasiliano, la dipendenza dagli USA, la presenza soffocante delle multinazionali, il mantenimento dei privilegi finanziari per il mercato... il tutto condito con un rinnovato assistenzialismo, qualche decisione ecologica di effetto per controllare la massa di poveri e illudere gli ambientalisti.
D’altra parte, tutti i partiti riformisti, primo fra tutti il PT e il PCdoB, non vogliono minimamente rinunciare ai benefici offerti dal parlamentarismo, sia a livello federale sia statale e municipale. Cioè nessun dirigente vuole perdere la poltrona e il ricco stipendio per difendere la realizzazione di profonde riforme strutturali che cambierebbero il Brasile.
Motivo per cui la retorica e il simbolismo sinistreggiante continuerà per impedire l’esplosione delle favelas sempre più impoverite, mentre nelle sale del potere si realizzeranno norme e programmi per salvaguardare il profitto dell’agro-bussines e dei differenti settori industriali.
D’altra parte, bisogna ammettere che il PT, senza questo Frente Ampio e senza il discorso moderato di Lula, si fermerebbe al 32%! Per questo motivo, Lula, da buon animale politico, ha aperto il gioco delle alleanze con i partiti del centro-destra, tanto è vero che la Borsa di Valori brasiliana (BOVESPA), subito dopo il discorso moderato di Lula ha reagito positivamente chiudendo le operazioni con un attivo del 1,30%, mentre il valore del dollaro è sceso del 5,6%.
Ma il MST, il MTST e soprattutto il PSOL, che con la scissione del PT avrebbe dovuto mobilizzare l’elettorato di sinistra del PT, che ruolo avranno nelle prossime elezioni?
In realtà giocano un ruolo da leone, anche se però si tratta di un leone fondamentalmente vegetariano e con i denti cariati! Cioè è un leone simbolico che non morde! Basti pensare che la leader storica del PSOL, la ex-senatrice Heloisa Helena, icona troskista della IV Internazionale, per continuare ad essere eletta nella città di Maceiò ha abbandonato il PSOL per unirsi al partito di Marina Silva – altra storica traditrice del PT e degli ideali di Chico Mendes – diventando anche evangelica per captare i voti del bigottismo pentecostale.
Purtroppo nel PT, nel PDT, nel PCdB e nello stesso PSOL la macchina elettorale ha preso il posto della storica e ideologica direzione nazionale.
Tutto è in funzone dei risultati elettorali. Nei partiti si è formata una macchina che è un aggregato dei numerosi apparati creati dalle correnti (soprattutto quelle troskiste nel PSOL) che in questo modo si fanno reciprocamente la guerra nella cosiddetta “lotta interna per il controllo del partito”.
Con gli anni questi apparati elettorali hanno monopolizzato e frammentato la militanza, “professionalizzando” i suddetti apparati, sempre più retribuiti e sperimentati nel trasformare le correnti in autentici partitini all’interno del PSOL.
Purtroppo la voracità della macchina elettorale ha inghiottito anche lo storico dirigente del PSOL di Rio de Janeiro, Marcelo Freixo, che portava avanti un discorso di pura rifondazione socialista del partito. Un contesto che a Rio de Janeiro, la cosiddetta lotta interna delle correnti troskiste, ha determinato l’abbandono politico di Renato Cinco, uno dei più validi giovani leader della sinistra alternativa di Rio de Janeiro. Per cui il Fronte Ampio sarà accettato anche dal PSOL se Lula gli garantirà una partecipazione nel governo federale.
Nel marasma pantanoso del “riformismo progressista”, il MST di João Pedro Stedile cerca di mantenere aperto il discorso sulle storiche riforme formulate dalla sinistra nel 1979, subito dopo il ritorno alla democrazia. Vale dire la riforma dei media, la riforma politica dei partiti, la riforma fiscale e soprattutto la riforma agraria. Riforme che se approvate dal Parlamento cambierebbero la struttura sociale ed economica del Brasile, rivelandosi un autentico colpo rivoluzionario. Per questo restano li, scritte e sognate, nel limbo della sinistra brasiliana.
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