Gli autonomi, nel senso dei lavoratori, sono una figura atipica e con sempre meno tutele e per la prima volta da quando l’Istat tiene il conto sono scesi sotto la soglia dei 5 milioni, per l’esattezza adesso sono 4,9 milioni in italia. Confrontando il primo trimestre dell’anno in corso con lo stesso periodo del 2020 i cosiddetti “occupati indipendenti” sono diminuiti del 6%, che diventa il 2% rispetto al quarto trimestre 2020, in numeri assoluti parliamo di 99 mila posti persi. Secondo l’ente di statistica a essere colpiti sono in particolare i giovani all’inizio dell’attività. La contrazione di occupati indipendenti, la definizione non è mia e vorrei ritornarci sopra, si è verificata anche in aprile con un calo 30 mila posti di lavoro. Secondo le nuove regole stabilite dall’Unione Europea, a partire dal primo gennaio del 2021 il lavoratore autonomo è considerato disoccupato se l’assenza dal lavoro supera tre mesi, la stessa regola che vale per il lavoro dipendente, e questo ha portato all’incremento dei disoccupati conteggiati tra gli autonomi, rimasti fuori dalle principali misure d’intervento pubblico come il blocco dei licenziamenti e la Cassa Integrazione per il covid. Il problema principale degli autonomi è infatti quello delle tutele.
Le misure messe in campo dal governo Conte prima e dal governo Draghi poi non sono riuscite a tamponare in profondità l’emorragia di posti di lavoro tra artigiani e piccoli commercianti, sono migliaia gli “occupati indipendenti” che non sono sopravvissuti economicamente ai primi mesi della crisi da covid. La categoria è completamente abbandonata a se stessa, molti benefit per il lavoro dipendente non hanno riguardato per niente il lavoro autonomo, come ad esempio i costi dello smart working che sono interamente a carico del professionista e non dell’azienda per cui lavora, con conseguente calo dei redditi anche tra chi ha conservato il lavoro durante la pandemia. A denunciare la situazione anzichè un foglio della sinistra rivoluzionaria è il quotidiano di Confindustria che nell’edizione di oggi, 14 giugno c’informa che: “Tutte e quattro le deleghe previste dal Jobs act del lavoro autonomo del 2017, per ampliare le tutele ed estendere misure di welfare a professionisti e partite Iva, sono scadute nell’indifferenza generale della politica. Sempre a detta degli esperti, sarebbero state misure utile, soprattutto oggi per salvaguardare di più e meglio in primo luogo l’occupazione femminile autonoma”.
La finzione che sta dietro i contratti di lavoro autonomo è clamorosa e conosciuta da tutti. In particolare sono rimasti per alcune categorie di lavoratori autonomi i cosiddetti Co.Co.Co. che dovrebbero lavorare in piena autonomia operativa, senza vincolo di subordinazione, senza un capo a cui fare riferimento in sostanza, vincolati al raggiungimento di un obiettivo. In realtà sono rapporti completamente organici all’azienda per cui lavorano, rispondono a un capo, hanno un rapporto unitario e continuativo con chi commissiona loro il lavoro. È un trucco per sottopagare e negare diritti sindacali a determinate categorie di lavoratori, per esempio quella dei tutor universitari, sottoposti al ricatto di contratti che si aggirano su una presunzione di costo orario intorno ai 7 euro l’ora, due euro l’ora in meno di un collaboratore domestico, dove il problema non è certo il collaboratore domestico. I contratti Co.Co.Co che dovevano essere aboliti con il Jobs Act sono invece in pieno vigore e restano come strumento a disposizione delle aziende per sottopagare il lavoro e aggirare le regole di tutela.
Il governo sostiene di volersi occupare delle scarse coperture legali ed economiche degli autonomi e di voler riformare gli ammortizzatori sociali. Il ministro del Lavoro Andrea Orlando propone di estendere i sussidi per il covid al mondo del lavoro indipendente senza però spiegare come intende fare e dove intende trovare i soldi. Un dato è interessante notare nella crisi del lavoro autonomo ed è geografico e di conseguenza politico. Se al Sud la flessione degli assunti ha interessato più il lavoro dipendente, -2,3%, rispetto a quello autonomo, -1,3%, al Centro Nord è avvenuto esattamente il contrario, rispettivamente -1,5% il lavoro dipendente e -3,6% l’autonomo. Il mercato in sostanza ha espulso le persone con i contratti e le competenze più deboli, per le quali sarà ancora più difficile rientrare nel mercato senza che accanto alla questione salariale venga posta la riqualificazione professionale.
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