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26/06/2021

“La rovina dell’Italia siete voi”: la lotta dei lavoratori dell’ex-Ilva scuote Genova

Alle 18 uscito dalla Prefettura di Genova, insieme alla delegazione delle Rappresentanze Sindacali dello stabilimento ex-Ilva di Cornigliano, Franco Grondona, dirigente storico della Fiom, non usa mezzi termini parlando agli operai ed ai solidali presenti nel piazzale antistante: “noi oggi non ce l’abbiamo fatta a sospendere la Cassa Integrazione”.

Parole come pietre quelle del leader della Fiom genovese che a 74 anni si dice comunque orgoglioso dell’azione dei lavoratori dell’acciaieria – 981 in tutto quelli che lavorano nello stabilimento – che entreranno in CIG lunedì prossimo, il 28 giugno.

Non sono stati sufficienti “il coraggio, la grinta, la determinazione e la volontà” dimostrati in questa terza giornata di sciopero consecutiva, con blocchi e cortei nel ponente genovese mercoledì e venerdì.

La politica a tutti i livelli ha dato l’ennesima dimostrazione della sua vacuità di fronte ai diktat della multinazionale indiana che chiede la Cassa Integrazione – di tredici settimane – per motivi di mercato nonostante il settore, complice la ripresa post-pandemica, sia tutto meno che in crisi.

Grondona usa una efficace metafora per descrivere l’atteggiamento della filiera di poteri politici che hanno chiuso letteralmente le porta in faccia agli operai delle acciaierie dal Comune alla Regione, con il Prefetto Franceschelli che solo tardivamente li ha convocati alla fine di una giornata di lotta partita dai cancelli della fabbrica con un corteo verso il centro cittadino. Non una parola da Bucci e da Toti contro l’ipotesi di Cassa Integrazione.

Di fronte a loro i lavoratori dell’ex-Ilva hanno incontrato “una palude nebbiosa, oscuri poteri che fanno i prepotenti con i deboli” afferma il leader della FIOM, ma forse è più efficace il coro che in questi giorni ha caratterizzato le iniziative di lotta, cantato a squarciagola dagli operai: “siete voi, siete voi, la rovina dell’Italia siete voi!”.

Un giudizio netto, su una classe politica indecente che ha abdicato al suo ruolo di cerniera con la società civile e che ha derubricato il conflitto sociale a mera questione di ordine pubblico, con le forze dell’ordine a difendere il “fortino assediato” dei palazzi del potere chiusi ai lavoratori ed un bilancio di poco meno di una decina di feriti in modo lieve tra polizia e carabinieri, e parecchi lividi sui corpi degli operai per i tafferugli intercorsi.

Questa classe dirigente è frutto di un modello di sviluppo che ha mostrato tragicamente le sue storture con più evidenza nel capoluogo ligure rispetto ad altre città, in cui gli interessi del privato si sono letteralmente mangiati il patrimonio pubblico, speculandoci sopra senza uno straccio di visione del futuro e di cui l’era Riva è stata una dimostrazione lampante.

Nello stesso giorno della lotta dell’Ilva infatti, una banchina nel terminal portuale dato in concessione a Spinelli ha ceduto sotto il peso della gru, per fortuna senza conseguenze per i lavoratori.

Una situazione che si ripete quasi quotidianamente in altre banchine, dove la sete di profitto dei terminalisti e l’indifferenza dell’Autorità di Sistema che dovrebbe governare il porto ha come suoi corollari l’aumento della produttività e il risparmio sulla sicurezza, provocando quella scia di sangue nei porti, puntualmente denunciata dal coordinamento portuale di USB attraverso documenti circostanziate ed azioni all’altezza della sfida.

Sempre venerdì, la Procura di Genova dopo tre anni di indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio per 59 persone per il crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto del 2018, tra cui ex dirigenti di Aspi.

Il crollo costò la vita a 43 persone, oltre a 11 feriti, e più di 500 persone sfollate. Un lutto quello del viadotto Polcevera di cui la città serba ancora una memoria viva.

La privatizzazione ha fallito che si tratti di un comparto strategico come quello dell’acciaio, di una infrastruttura come le autostrade, o di una struttura fondamentale per il trasporto come è il porto, ma nonostante le numerose evidenze empiriche nessuno – o quasi – sembra avere il coraggio di ammetterlo.

Tornando alla lotta degli operai dell’ex-ILVA, viene mantenuto lo stato d’agitazione fino all’incontro al MISE ottenuto l’8 luglio con Giorgetti, Orlando, l’Azienda e le Rappresentanze Sindacali che dovrebbe discutere del destino del gruppo.

Secondo Grondona che ha rilanciato per lunedì mattina alle sette fuori dai cancelli un’assemblea degli operai, l’INPS avrà difficoltà a concedere la Cassa per ragioni di mercato, facendo intravedere uno spiraglio nella complicata situazione che si è venuta a creare da qui alle prossime settimane.

Di fronte all’ottusità aziendale, il leader della FIOM da indicazione di “avvelenare i pozzi”, ma è chiaro che si apre una fase piuttosto delicata non solo per lo stabilimento di Cornigliano ma per quello di Taranto, dove USB denuncia e agisce da tempo sulle storture dell’azione dello Stato che “finanzia effetti privati” e della proprietà, tra cui un devastante impatto ambientale.

Come aveva dichiarato Francesco Rizzo all’assemblea nazionale dei delegati operai e dei lavoratori di USB di sabato scorso: “tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un bambino”.

Un combinato disposto per cui alle conseguenze ambientali esterne si unisce la precarietà delle condizioni di lavoro. Come ha dichiarato un operaio, salvatosi per miracolo durante un incidente sul lavoro a Taranto e licenziato (sic!): “la mia unica colpa è quella di non essere morto”.

Un aspetto di quel “fascismo aziendale” che è costato un provvedimento disciplinare ad un altro operaio per il fatto di avere semplicemente condiviso sulla sua pagina FB l’annuncio di una fiction Rai dedicata proprio alle vicende ambientali attorno all’ex-Ilva di Taranto.

Questa la condizione operaia accerchiata da una manovra a tenaglia da Confindustria, un governo che fa gli interessi delle oligarchie europee sostenuto da un Partito Unico che va da Salvini a LeU, e da una dirigenza confederale nazionale di CGIL-CISL-UIL che invece di proporre e confliggere, accompagna gli interessi padronali e divide quelli dei lavoratori.

Le crepe della pace sociale e gli albori di una azione collettiva che abbiamo visto con il riuscito sciopero di 24 ore indetto dalla USB nei porti il 14 giugno, con la giornata di mobilitazione nazionale della logistica il 18 – in cui è morto il militante del SiCobas Adil Belakhdim – e le iniziative successive e ora le mobilitazioni degli operai dell’acciaieria di Cornigliano sono un segnale che va colto.

La classe operaia, oggi più che mai è sola contro tutti, ed è nelle sue mani la rinascita di un Paese in balia dei tecnocrati di Bruxelles, dello strapotere delle multinazionali e dei peggiori politici della storia Repubblicana.

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